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Dalla fabbrica allo smart working: come cambia il tempo di lavoro



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La trasformazione digitale ha ridefinito il tempo di lavoro, rendendolo più fluido e meno legato a vincoli spaziali e temporali. Una nuova flessibilità con implicazioni profonde, sia dal punto di vista produttivo che personale, che richiede una riflessione su modelli organizzativi, benessere individuale e coesione sociale

Pubblicato il 15 lug 2025

Emiliano Mandrone

Primo ricercatore Inapp



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Il mondo digitale consente una grande flessibilità nella prestazione di lavoro, ovvero si può erogare la prestazione ovunque e in qualsiasi momento. Spazio e tempo sono completamente diversi nel piano digitale rispetto a quello tradizionale, analogico. Ciò comporta una gestione del tempo nuova, un galateo adatto alla nuova organizzazione resa possibile dalla tecnologia, un equilibrio tra possibilità e vincoli.

Un bilancio complicato tra possibilità e vincoli, gradi di libertà e disconnessione. In generale, questo processo di convergenza delle tecnologie produce forti economie di scala e libera tempo. Questo sia sul versante del tempo lavorato che del tempo libero.

Il baratto tra tempo di lavoro e retribuzione

Oggi, sui tavoli negoziali, i contratti si chiudono spesso con concessioni sulla durata e la forma della prestazione lavorativa piuttosto che con aumenti retributivi. Meno ore di lavoro, erogate in modalità ibrida, da remoto o smart, con sistemi di controllo legati sempre più ai risultati e sempre meno ad orari, verifiche e presenza. Più giorni di ferie, più permessi, meno turni scomodi o sgraditi. Si baratta tempo per denaro.

La riduzione dell’orario è un processo assai risalente nel tempo: in Italia lavoravamo 3.000 ore all’anno nel 1870, oggi solo 1.600, se a fine secolo saranno 1.000 ore non ci sarà da stupirsi.  Lo diceva ai suoi nipoti Keynes, quasi un secolo fa. È il lato positivo della disoccupazione tecnologica: lavorare meno, lavorare tutti. Dovremmo rallegrarci!

Disallineamento e segmentazione del mercato del lavoro

Fortunatamente, non siamo più nella Inghilterra della rivoluzione industriale dove c’era perfetta scalabilità tra un qualsiasi bracciante e un operaio. Oggi, non c’è perfetta sostituibilità tra una biologa e un cassiere, tra un’interprete e un idraulico, tra una maestra e uno chef. C’è tanto disallineamento tra domanda e offerta, mismatch di ogni tipo. È fisiologico in un sistema complesso (Mandrone, 2022). È difficile convergere: da un lato la qualità della prestazione, poi il luogo di erogazione, la durata del contratto, il trattamento economico, le esigenze familiari e, dall’altro, i vincoli della prestazione, le istanze produttive, le competenze specifiche, le necessità dei clienti o la natura del lavoro.

Ci sono infiniti sub-mercati del lavoro separati, con caratteristiche e competenze specifiche e vincoli di tempo connaturati alla natura dell’occupazione. Se ne dimenticano quelli che pensano che un posto di lavoro possa essere occupato da un qualsiasi lavoratore, interpretando i posti di lavoro disponibili (vacancies) solo come un indicatore di indisponibilità a lavorare (carenza di manodopera specifica) e non in termini di allocazione inefficiente (istruzione, retribuzione, competenze diverse).

Qualità del tempo lavorato e libero

Serve una domanda di lavoro di qualità per avere tempo, salari e prospettive di qualità.

Le aspettative e le rigidità si formano nella società, non solo nel mercato. Le persone parlano, vedono, confrontano e definiscono le loro soglie di accettazione sugli aspetti retributivi, contrattuali, orari, di soddisfazione e carriera… Krugman (2021) nota: “I lavoratori non vogliono i loro vecchi lavori alle vecchie condizioni”.

E gran parte di questo cambio di preferenze è riferibile al tempo.

Cosa si faccia del tempo libero – come, del resto, sul come si spendono i soldi – è una questione privata. Bisognerebbe parlarne perché in entrambi i casi se ne può far buon uso o sprecarlo, guadagnarci molto o perderci tutto.

Molto del denaro che guadagniamo è indisponibile per noi perché è trattenuto per fini fiscali o contributivi. Draghi (2009) notava che collettivamente alcuni servizi sociali e rischi personali si gestiscono meglio, in maniera più efficiente. E quindi si limita la sovranità personale per un bene superiore: l’interesse collettivo (che è pure nostro).

Anche parte del tempo non è disponibile: lo usiamo per studiare o lavorare, per espletare carichi di cura o incombenze varie, spesso parassite. Di quello che rimane – a nostra esclusiva disposizione – ne sapremo fare tutti buon uso? Non è scontato, molte volte si sperimenta depressione o insoddisfazione per come si è speso il tempo, per quello che si è fatto o meno, per quali contenuti abbiamo prodotto…

Valore e uso consapevole del tempo

Sprecare denaro o tempo ha costi diretti e indiretti molto simili. Serve parsimonia e generosità, oculatezza e metodo, competenza e sostegno, condivisione e autonomia.  

Aleggia l’horror vacui aristotelico, l’ansia di lasciare uno spazio eccessivo di autonomia all’uomo. Si può vedere questo problema in termini di libertà? Non avere vincoli è la massima libertà per alcuni o avere regole consente a tutti di esserlo? È il paradosso della perfetta anarchia che consente meno libertà di una imperfetta democrazia.

La Ministra del Lavoro spagnola Yolanda Diaz nel 2021, dopo aver ridotto l’impiego del lavoro atipico che nel tempo era divenuto la modalità prevalente di assunzione, generando enorme precarietà e problemi sociali, ha avuto il coraggio di rompere il tabù/folclore dei tempi lenti spagnoli, modificando convenzioni sociali insostenibili quali l’orario di lavoro (passando da 40 a 37 ore a settimana) e, soprattutto, i tempi di lavoro (anticipando la chiusura di ristoranti e uffici). “Non si possono convocare riunioni alle 20:00. E non si possono tenere aperti i ristoranti all’una di notte“. Non ci sono esigenze specifiche ma solo (mal)costumi radicati. Quale libertà è prevalente?

È come per i bambini che fanno tante attività ma quando restano soli, senza nessuno che li guida, si annoiano o si annientano con la playstation. Come vivere al meglio il tempo libero? Si è in equilibrio precario tra otium e ricreazione, tra riposo e riflessione.

Ritmi biologici e disallineamento sociale

Inoltre, se da un lato abbiamo cercato di organizzare il tempo rispetto alle istanze produttive e i vincoli sociali, dall’altro riemergono le regolarità della natura, le esigenze fisiologiche e le istanze biologiche che, nonostante tutto, riaffiorano ogni qualvolta le persone vengono portate su ritmi che non gli appartengono.

Abbiamo, dati alla mano, perso un’ora di sonno rispetto alle generazioni precedenti. L’obiettivo di fare sempre di più – con il mantra della crescita di profitti, di Pil, di impegni, di successi sociali – ci ha portato ad essere cronicamente stanchi. Clinicamente, chi dorme sistematicamente meno di 6-7 ore si sta danneggiando in misura analoga a chi fuma o beve. Chi dorme meno di 5 ore corre un rischio di ammalarsi il 30-40% in più rispetto a chi dorme 7-8 ore» (Plos Medicine, 2022).

La natura ha un piano evolutivo perfetto, raramente ci sono errori. Perché mai, allora, al variare degli usi e costumi, al crescere del benessere e alle transazioni tecnologiche e organizzative continuiamo ad avere bisogno di dormire 7-8 ore per stare bene? Si riposa l’apparato cardiocircolatorio e pure la corteccia celebrare, dove albergano i ragionamenti, le riflessioni, lo stress e le buone idee.

L’orologio biologico rilascia ormoni, governa il sistema immunitario e il metabolismo, avvia i movimenti intestinali attraverso il nucleo soprachiasmatico dove confluiscono le fibre dei nervi ottici. La cronobiologia ha identificato l’associazione tra la presenza di luce e la produzione di melanopsina, di serotonina (“la molecola della felicità”) e il cortisolo (che sovraintende alla veglia e contribuisce però allo stress). Viceversa, al crepuscolo, c’è rilascio di melatonina (che conduce al sonno).

Il corpo si regola in base alla luce, ai pasti, al movimento e ad altri stimoli. Se riceve stimoli incoerenti va in crisi. Il disallineamento tra gli stimoli ambientali e le necessità fisiologiche porta a chronodisruption: rottura dei ritmi, foriera di malessere psicofisico. La cronobiologia, snobbata fino all’inizio del ‘900, si è guadagnata nel 2017 il premio Nobel (Jeffrey Hall, Michael Rosbash e Michael Young) che hanno identificato i geni clock che servono a adattare le funzioni del corpo al moto della Terra.

I ritmi biologici che l’individuo rispetta naturalmente sono detti “meccanismi circadiani” e devono trovare un equilibrio con le esigenze socioeconomiche. Ma alcuni limiti fisiologici sono incomprimibili. Il loro mancato rispetto è inefficiente, dispendioso e innaturale, non ecologico, comporta malessere e depressione.

Cronoterapia e cronolavoro: una nuova organizzazione del tempo

La cronoterapia sostiene che i turni di vita dovrebbero convivere al meglio con i ritmi biologici. Il termine cronolavoro è stato coniato dalla giornalista Ellen Scott per dire ai dipendenti di abbandonare gli orari d’ufficio standard e scegliere invece orari che corrispondano ai loro “cronotipi” personali: c’è chi è più attivo di mattina, chi di sera.

Accomodare le attività umane in base al tempo più favorevole è una attenziona foriera di benessere ed efficienza come sanno bene le persone che vivevano a diretto contatto con la natura. Le convenzioni sociali non sono così diverse rispetto ai vincoli biologici!

Per estensione possiamo intendere la cronoterapia come l’uso migliore del tempo, inserendo tra i ritmi umani anche quei costumi sociali radicati, divenuti para-fisiologici, tanto che, quando vengono meno, producono gli stessi effetti (negativi) del mancato rispetto dei ritmi biologici. Pure il lavoro agile è un cambiamento nel ritmo della nostra vita lavorativa, Mandrone (2021). Il tempo del lavoro va quindi ripensato, le persone vanno accompagnate su nuovi piani organizzativi e i costumi si adegueranno.

Tempo libero e collocazione sociale del riposo

Jonathan Crary (2013) scrive che godersi il riposo senza sensi di colpa è uno dei grandi atti di oltraggiosa resistenza degli esseri umani alla voracità del capitalismo contemporaneo. Un baluardo contro la cronofagia dei nostri giorni: lavorare, consumare, impegni di cura, relazioni sociali, felicità a tratti…

Il tempo libero non è una quantità assoluta. La collocazione del tempo libero incide sul suo valore. Dipende se consente di stare con chi ami, di fare le cose che ti piacciono o sbrigare i propri oneri di cura. Essere libero ha un valore commisurato al piacere di passare del tempo con chi si vuole, di alimentare relazioni sociali o interessi personali. La collocazione del tempo libero, quindi, non è neutrale. Riposare il lunedì o la domenica non è la stessa cosa, smettere di lavorare alle 10 del mattino o alle 19 di sera non è indifferente. Le opportunità cambiano.

Lavoro da remoto e nuove disuguaglianze temporali

Un esempio di come le convenzioni sociali, anche le più radicate, possano cambiare e produrre straordinari risultati è l’introduzione del lavoro da remoto che ha mandato in frantumi cent’anni di routine consolidate (l’Economist, 2020). Anche questa innovazione ha mostrato di avere effetti forti (positivi e negativi) sugli equilibri personali, familiari e dei luoghi di lavoro, in termini di tempo, costi e modalità di erogazione delle prestazioni. Certo ci siamo arrivati impreparati e ancora non usiamo le possibilità che ci fornisce la tecnologia al meglio. Qualche problema di connessione, un po’ di mal di schiena, un po’ di confusione… Ora, in pochi anni, è il “new normal”.

L’accesso al lavoro da remoto si sta affermando come la nuova segmentazione del mercato del lavoro (Mandrone, 2018 e 2021). Il razionamento all’accesso al lavoro da remoto dipende dalla professione, dal settore, dalla dimensione dell’impresa, dalla cultura, dalle infrastrutture, ecc. Il 50% dei white collar lavora da remoto in Italia (Inapp Plus 2022) contro poco più del 15% dei blue collar. Ben il 30% dei colletti bianchi già oggi possono erogare oltre il 70% delle loro attività da remoto, contro il 70% dei colletti blu che lavorano meno del 30% da remoto. È una segmentazione, della società che conduce a disuguaglianze severe.  Se ne sta discutendo? È nell’agenda politica?

Tempo di lavoro e ruolo della politica e della società

Ci fu un ampio dibattito sul finire degli anni ’60 sui “turni di lavoro antisociali” sostenuto dai sindacati, dal Partito Comunista e dalla Chiesa, insieme, a difesa delle istanze di socialità delle famiglie. Riflessioni andate perdute, confronti sugli assetti da dare alla vita, sensibilità scomparse. Dobbiamo rimetterci intorno ad un tavolo.

Bisogna aggiornare il sistema, per ottimizzare il tempo che abbiamo. L’attuale polarizzazione tra chi è oberato di lavoro con orari lunghissimi e chi ha meno vincoli e orari più brevi deve essere ricomposta e va sostenuta la qualità del tempo libero, anche di chi è meno attrezzato ad impiegarlo o farne buon uso. Siamo ai primi passi.

Il tempo come misura della civiltà del lavoro

Riprendendo la metafora tempo-denaro: ci sono lavoratori poveri e lavoratori poveri di tempo. Come si tratta il tempo delle persone sarà la cifra della civiltà di un Paese.

Riferimenti bibliografici

Draghi M. (2009) “I motivi dell’assicurazione sociale”, Lezione Onorato Castellino, CEPR, Collegio Carlo Alberto,

Crary J. (2013), “Le tecniche dell’osservatore”, Piccola Biblioteca Einaudi

INAPP, Bergamante F., Mandrone E. (a cura di) (2022), “Rapporto PLUS 2022. Comprendere la complessità del lavoro”, Roma, Inapp.

Mandrone E. (2018), “Cambiamento tecnologico e design sociale”, DigitCult – Rivista scientifica sulle culture digitali, v. 3, n. 1, p. 121-132, ISSN 2531-5994

Mandrone E., Pastore F., Quintano C., Radicchia D., Rocca A. (2022), “Determinants and wage effects of overeducation in Italy. A comparison of five indicators of educational mismatch”, Sinappsi, XII, n.3, pp.130-155

Mandrone E. (2021), “Digital oddities: technological change and cultural elaboration”, Sinappsi, XI, n.3, pp.36-59

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