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Geopolitica dei dati: la via per una “Pax Digitalis”



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L’intervento di Luciano Floridi all’evento AI, HPC & QUANTUM ha messo in luce come la geopolitica dei dati influenzi infrastrutture, investimenti in AI e dinamiche di potere globale, anticipando una futura fase di stabilizzazione digitale

Pubblicato il 7 ott 2025



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La geopolitica dei dati non si misura soltanto nelle dispute sulle piattaforme digitali, ma soprattutto nel controllo delle infrastrutture analogiche che sostengono l’universo digitale. Cavi sottomarini, satelliti e la produzione di semiconduttori a Taiwan rappresentano i veri punti di vulnerabilità e al tempo stesso di potere. Chi gestisce questi snodi decide chi può accedere all’informazione, con implicazioni immediate per economie, governi e società.

Luciano Floridi, filosofo e studioso di etica del digitale, ha messo in rilievo queste dinamiche nel suo intervento all’evento AI, HPC & QUANTUM – Reshaping the Technology Landscape organizzato da E4 Computer Engineering. Nelle sue parole emerge una lettura che intreccia infrastrutture, finanza e scenari globali, evidenziando il rischio di una bolla speculativa sull’intelligenza artificiale e anticipando la prospettiva di una futura “Pax Digitalis”.

Cultura digitale e potere delle infrastrutture

Il digitale è ormai l’ambiente naturale in cui si sviluppa la cultura contemporanea. Generazioni cresciute con Netflix e piattaforme online non hanno memoria di un mondo senza rete. Eppure, Floridi sottolinea come «sia l’analogico a controllare il digitale, e il digitale a controllare la nostra cultura».

La frase richiama l’attenzione sul paradosso: l’immateriale dipende dal materiale. Satelliti che possono essere disattivati, cavi che attraversano snodi strategici come Suez, navi sospette nei mari del Nord o la centralità di Taiwan nella produzione di microchip mostrano come la geopolitica dei dati abbia fondamenta tangibili. Un guasto o una decisione politica possono determinare il ritorno improvviso all’analogico, con conseguenze globali.

L’euforia degli investimenti in AI

Accanto alla dimensione geopolitica, Floridi ha analizzato la corsa agli investimenti sull’intelligenza artificiale. Il venture capital, ha spiegato, gestisce «miliardi su miliardi» e per sua natura deve allocare costantemente questa liquidità. Oggi la destinazione privilegiata è l’AI, non sempre per convinzione sul potenziale tecnologico, ma per mancanza di alternative.

Da qui nasce il rischio di una bolla: valutazioni considerate «ridicole» alimentano un entusiasmo che potrebbe avere lo stesso destino delle dot-com o dei subprime. La logica è quella del “gioco del fiammifero”: gli investitori sanno che l’euforia scoppierà, ma sperano di guadagnare prima di passare il rischio ad altri.

La forbice tra capitale finanziario e capitale industriale

Un segnale preoccupante è la crescente distanza tra investimenti speculativi e investimenti industriali. Floridi ha mostrato dati recenti secondo cui le grandi aziende, quelle con oltre 250 dipendenti, hanno ridotto il ritmo di crescita degli investimenti in AI. Non significa un arresto, ma un rallentamento rispetto all’espansione vertiginosa del capitale di rischio.

La memoria storica offre un parallelo: alla fine della bolla delle dot-com, la maggior parte delle imprese fallì, mentre pochi attori – Google, Amazon – consolidarono posizioni dominanti. L’ipotesi di Floridi è che lo stesso avverrà per l’AI: sopravvivranno pochi grandi player capaci di gestire l’enorme patrimonio di dati e le infrastrutture necessarie.

AI come commodity e la questione dell’integrazione

Floridi ha descritto l’evoluzione dell’intelligenza artificiale come quella di una commodity. «Operiamo ormai in versione AI come elettricità» ha affermato, evidenziando che la vera sfida non è l’acquisto della tecnologia, ma la sua integrazione nei processi produttivi e decisionali.

L’aneddoto citato riguarda una grande azienda che, dopo aver sottoscritto un contratto pluriennale con OpenAI, si è trovata a chiedere come utilizzare concretamente la tecnologia. L’immagine è quella di imprese che comprano pacchetti di AI senza una chiara strategia, vincolandosi in contratti “capestro” e rinviando la riflessione su applicazioni concrete.

L’avvento degli agenti AI e del Model Context Protocol

Un altro punto di svolta riguarda l’emergere degli AI agentici e del Model Context Protocol (MCP), introdotto da Anthropic nel 2023 e diffusosi dal 2025. MCP consente di coordinare più servizi da un’unica interfaccia, permettendo operazioni complesse come ricerca accademica, bibliografie e verifica delle fonti.

Floridi ha evidenziato come diversi modelli abbiano funzioni specifiche: ChatGPT per la ricerca grazie all’ampiezza dei dati di addestramento, Gemini per la verifica delle fonti e Claude per la qualità della scrittura. L’utente, in questo scenario, diventa un direttore d’orchestra che combina strumenti differenti per ottenere un risultato coerente.

La metafora della Conferenza di Berlino

Per spiegare la futura evoluzione del mercato digitale, Floridi ha richiamato la Conferenza di Berlino del 1884-85, quando le potenze europee si spartirono l’Africa tracciando confini con righe e compassi. Una pagina di colonialismo che, nell’analogia, illumina le dinamiche di spartizione del “continente digitale”.

La fase attuale è ancora quella della competizione, in cui i grandi attori si contendono il controllo dell’intelligenza artificiale generativa. Ma, come accaduto in altri settori – dalla ricerca sul web al video streaming – il mercato tende a stabilizzarsi intorno a pochi vincitori. Da qui la previsione di una futura «Pax Digitalis», una spartizione del digitale che ridurrà i conflitti diretti tra giganti tecnologici.

Stabilizzazione e riduzione dell’incertezza

Secondo Floridi, la curva tipica delle tecnologie – entusiasmo, declino, stabilizzazione – si ripeterà anche per l’AI. Non si tratta di un processo decennale, ma di alcuni anni o addirittura mesi. Una volta raggiunto l’accordo tra attori principali, ciascuno presidierà la propria area, favorendo un ritorno a investimenti più equilibrati.Il punto centrale, ha osservato, è che «il vero nemico qui è l’incertezza. Le aziende la sentono già». L’assenza di scenari chiari condiziona le scelte strategiche e rende instabili i mercati. La geopolitica dei dati, intrecciata a dinamiche economiche e tecnologiche, definisce dunque non solo i rapporti di potere globali, ma anche il grado di prevedibilità con cui le imprese affrontano il futuro.

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