L’accordo di Nvidia con l’Arabia Saudita per la fornitura di chip AI destinati a progetti infrastrutturali locali.
La partecipazione a iniziative strategiche come il data center co-gestito con OpenAI negli Emirati Arabi Uniti.
Fino al famoso progetto Stargate di OpenAI battezzato da Donald Trump.
Tre indizi che fanno una prova: segnano passaggio storico nel ruolo geopolitico dell’intelligenza artificiale. Con gli Stati ad assumere un ruolo centrale sull’intelligenza artificiale.
Indice degli argomenti
Ecco l’AI sovrana
Non solo con incentivi e dazi – com’è stato finora – ma con un protagonismo finanziario e infrastrutturale importante.
L’AI non è più semplicemente una tecnologia abilitante o uno strumento di efficienza aziendale. Sta assumendo il rango di infrastruttura critica, al pari dell’energia, delle telecomunicazioni o delle reti finanziarie. Lo ha esplicitato Jensen Huang, CEO di Nvidia, in un incontro con analisti: “Ogni Paese avrà la propria AI, come ha il proprio sistema telecom”. In questo contesto, il concetto di “AI sovrana” si configura come l’estensione digitale della sovranità nazionale, in cui la capacità di possedere, controllare e sviluppare tecnologie AI diventa simbolo di autonomia strategica, potere economico e influenza diplomatica.
AI e diplomazia del chip: una nuova guerra fredda?
La corsa all’AI non è più solo una gara tra aziende in cerca di leadership di mercato, sta diventando una sfida sistemica tra Stati che ambiscono al controllo strategico delle infrastrutture digitali globali. L’intelligenza artificiale, nelle sue declinazioni più avanzate, è ormai parte integrante della competizione geopolitica. Le restrizioni imposte dagli Stati Uniti all’export di chip verso la Cina, in particolare i modelli di Nvidia e AMD, rappresentano solo la punta dell’iceberg.
Trump di recente ha revocato l’AI Diffusion Rule, normativa introdotta dall’amministrazione Biden nel gennaio 2025, progettata per limitare l’esportazione di chip avanzati per l’intelligenza artificiale (IA) e dei parametri dei modelli AI (noti come “weights”) verso Paesi considerati a rischio.
La revoca ha mostrato quanto le scelte normative possano influenzare direttamente le dinamiche commerciali e industriali globali, ma anche quanto il chip sia diventato il simbolo di un nuovo equilibrio di potere.
Il fatto, che la vendita di semiconduttori possa oggi essere subordinata a negoziati bilaterali o ad alleanze strategiche, evidenzia come la diplomazia del chip stia sostituendo, o almeno affiancando, le logiche tradizionali della diplomazia energetica e militare. Il chip non è più solo un componente, è un asset strategico, una leva negoziale, e in prospettiva, una potenziale moneta di scambio tra blocchi tecnologici rivali.
Chi controlla l’AI: governi, big tech o entrambi?
Come ha scritto il lettore Robert Hahn nei commenti all’articolo del Wall Street Journal: “Non è innovazione, è controllo.” Una provocazione che centra il cuore del problema, chi detiene davvero il potere nell’ecosistema dell’intelligenza artificiale? Da un lato, i governi, che attraverso regolamentazioni, restrizioni all’export e investimenti strategici cercano di indirizzare lo sviluppo tecnologico secondo obiettivi nazionali e geopolitici. Dall’altro, le big tech, che controllano infrastrutture, modelli linguistici, dataset e know-how e operano in una posizione di oligopolio sempre più evidente.
Il punto d’incontro tra questi due poteri, visibile nei grandi progetti come quelli tra Nvidia e le monarchie del Golfo, inaugura una nuova forma di simbiosi pubblico-privato, dove gli interessi si allineano ma i rischi aumentano. Si moltiplicano le preoccupazioni per una possibile concentrazione di potere senza precedenti, che potrebbe alimentare monopoli globali, creare nuove dipendenze tecnologiche e rafforzare meccanismi di sorveglianza pervasiva. In gioco non c’è solo il controllo dell’innovazione, ma la definizione stessa di libertà, trasparenza e democrazia nell’era digitale.
L’illusione del contenimento: la Cina non aspetta
Diversi analisti e osservatori internazionali mettono seriamente in dubbio l’efficacia delle restrizioni imposte dagli Stati Uniti all’export di chip verso la Cina.
In un’economia globale caratterizzata da filiere frammentate e altamente interconnesse, contenere la diffusione tecnologica è un’illusione. La Cina ha già dimostrato di saper aggirare restrizioni commerciali attraverso triangolazioni, accordi paralleli e acquisizioni mirate in mercati più permissivi.
Parallelamente, sta accelerando gli investimenti per costruire una supply chain nazionale autonoma, con lo sviluppo di chip proprietari, piattaforme di AI addestrate su dati interni e una rete di fornitori locali.
La strategia cinese punta a ridurre la dipendenza da player occidentali come Nvidia e AMD, ma anche a costruire un ecosistema tecnologico resiliente e integrato. Le restrizioni, quindi, rischiano di produrre effetti contrari a quelli desiderati, invece di rallentare la Cina, potrebbero rafforzarne la determinazione a conquistare la leadership tecnologica su basi indipendenti e, nel lungo termine, meno vulnerabili alle pressioni geopolitiche.
La seconda economia mondiale sta perseguendo con forza lo sviluppo dell’IA. Secondo un rapporto pubblicato il mese scorso da Morgan Stanley, tra il 2000 e il 2023 i fondi di venture capital sostenuti dal governo cinese hanno investito 184 miliardi di dollari in startup specializzate nell’IA. Nvidia stima che il mercato potenziale totale in Cina per gli acceleratori IA, i chip utilizzati principalmente nell’elaborazione dell’intelligenza artificiale, sia di circa 50 miliardi di dollari.
I chip Huawei
L’assenza di Nvidia dal mercato cinese dell’intelligenza artificiale per via dei dazi di Trump sta dando un vantaggio ai concorrenti locali come Huawei.
Morgan Stanley stima che la Cina sia in grado di soddisfare circa il 34% del proprio fabbisogno di chip per l’intelligenza artificiale con fornitori locali, con un “tasso di autosufficienza” che raggiungerà l’82% nel 2027. E se Nvidia riuscisse a rientrare nel mercato, dovrebbe comunque fare i conti con l’ambizione del governo cinese di avere una tecnologia propria al centro di tutti i suoi settori chiave.
Ciascuno degli ultimi chip Ascend 910C AI di Huawei è potente solo un terzo rispetto a quelli di Nvidia, ma nei supercomputer CloudMatrix 384 AI dell’azienda ne sono installati cinque volte di più. In termini di potenza pura e nella fondamentale metrica della quantità di memoria installata in ciascun computer CloudMatrix, Huawei sta già battendo Nvidia.
E sebbene il CloudMatrix 384 di Huawei richieda quattro volte più elettricità, la Cina ha un enorme vantaggio in termini di produzione di energia, afferma Doug O’Laughlin, analista di SemiAnalysis che ha studiato i nuovi supercomputer AI di Huawei.
Il mercato alternativo: l’AI sovrana come nuovo cliente “strategico”
Bank of America stima il mercato globale dell’AI sovrana in circa 50 miliardi di dollari all’anno, una cifra che conferma la trasformazione dell’intelligenza artificiale in una vera e propria industria strategica.
Non si tratta solo di geopolitica, ma anche di una riconfigurazione profonda dei modelli di business e delle catene del valore. Per aziende come Nvidia e AMD, l’emergere di Stati sovrani come clienti diretti rappresenta un’opportunità rilevante per diversificare i flussi di entrate e ridurre la dipendenza da un gruppo ristretto di hyperscaler statunitensi, Microsoft, Amazon, Google, Meta, che dominano il mercato del cloud e delle piattaforme AI.
Questi attori, sebbene potenti, presentano ciclicità negli investimenti e una forte sensibilità alle dinamiche finanziarie. I governi, al contrario, possono garantire commitment pluriennali legati a piani industriali, nazionali o militari. Ne è un esempio concreto l’accordo siglato da AMD con l’Arabia Saudita per la fornitura di componenti destinati alla Human venture, un’iniziativa da 10 miliardi di dollari che punta a costruire capacità AI endogene nel cuore del Golfo. In questa prospettiva, il concetto di “AI sovrana” diventa anche leva per ridisegnare i mercati globali, spostando il baricentro delle tecnologie emergenti verso una geografia più distribuita e meno dipendente dalla Silicon Valley.
Uno scenario instabile: tra potere e incertezza
Ma attenzione, l’AI sovrana è anche fonte di instabilità e ambiguità. Gli accordi multimiliardari annunciati in contesti politici possono non tradursi in ricavi reali o in implementazioni efficaci. I rischi di esagerazione, strumentalizzazione mediatica e manipolazione del consenso sono reali, soprattutto quando la posta in gioco è la leadership tecnologica globale. In questo quadro, alcune voci critiche si sono levate per denunciare l’assenza di limiti etici nel nuovo mercato dei semiconduttori AI.
C’è chi ha osservato che i produttori di chip rischiano di assumere un ruolo simile a quello dei trafficanti d’armi, vendono a chiunque abbia le risorse, senza porsi troppe domande sulle finalità d’uso. Una provocazione estrema, ma coglie un punto: l’attuale domanda globale di AI rischia di travolgere le logiche di responsabilità e trasparenza, alimentando una corsa agli armamenti tecnologici in cui il valore economico prevale sulla valutazione dei rischi politici e sociali.
L’Europa? Ancora spettatrice o potenziale regista?
Mentre Stati Uniti, Cina e Paesi del Golfo stanno accelerando in modo coordinato sull’adozione e la produzione strategica di tecnologie legate all’intelligenza artificiale, l’Europa si trova ancora in una posizione di rincorsa. Il Chips Act europeo, pur rappresentando un passo importante verso la sovranità tecnologica, fatica a trasformarsi in risultati concreti.
L’Unione Europea è ancora debole sul fronte della produzione di semiconduttori avanzati, soffre la mancanza di campioni industriali capaci di competere con Nvidia o TSMC, e non dispone di modelli linguistici generalisti open source all’altezza delle alternative statunitensi o cinesi. Il rischio concreto è che la partita dell’AI sovrana venga giocata interamente altrove, lasciando all’Europa il ruolo di consumatore e regolatore, ma non di attore protagonista.
Eppure, proprio la frammentazione attuale potrebbe essere il punto di partenza per un’inversione di rotta: investimenti comuni, centri di calcolo condivisi, procurement strategico e un progetto europeo di cloud pubblico per l’AI potrebbero rappresentare l’embrione di un ecosistema autonomo, resiliente e trasparente. Serve però una visione politica chiara e la volontà di agire con urgenza e coesione.
AI sovrana: scenari futuri
L’era dell’AI sovrana è solo all’inizio. Sta emergendo un ordine tecnologico in cui la capacità di progettare, addestrare e distribuire intelligenze artificiali diventa una leva strategica pari a quella dell’energia o delle telecomunicazioni. Ma è un equilibrio instabile. La dipendenza dai chip avanzati, oggi dominati da pochi attori, potrebbe ridursi nei prossimi anni grazie a un cambio di paradigma, modelli linguistici leggeri, ottimizzati per girare su CPU e NPU locali, potrebbero affrancare molte applicazioni da infrastrutture cloud complesse e costose.
In questo scenario, la supremazia tecnologica potrebbe non basarsi più solo sulla disponibilità di H100, ma sulla capacità di integrare hardware e software in modo efficiente e sostenibile. Nel frattempo, lo scenario geopolitico evolve rapidamente. Le mosse aggressive dell’amministrazione Trump, tra restrizioni all’export e uso strumentale dei trattati commerciali, potrebbero accelerare una presa di posizione europea. L’idea di un “Buy European” in ambito AI e semiconduttori, oggi timida e frammentata, potrebbe trasformarsi in una risposta sistemica. Soprattutto se l’Europa vorrà evitare di restare ostaggio di decisioni altrui, in un mondo dove sovranità significa anche infrastruttura digitale autonoma.
Il futuro dell’AI, quindi, non sarà deciso solo dalla quantità di denaro investito o dal numero di chip prodotti. Sarà il risultato di scelte politiche, tecnologiche e culturali, di alleanze nuove e architetture più leggere, distribuite, aperte. La partita è ancora aperta, l’Europa, se vuole, può ancora giocare un ruolo da protagonista.