La gig economy è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni, trasformando anche il mercato del lavoro a livello globale. Questa crescita è stata alimentata dalla digitalizzazione e dalla crescente domanda di flessibilità sia da parte dei lavoratori che delle aziende.
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Gig economy: flessibilità e incertezze per i lavoratori
Le piattaforme digitali mettono in contatto lavoratori (“gig worker“) con clienti che necessitano di servizi specifici, che vanno dalla consegna di cibo al trasporto passeggeri, dal lavoro freelance di consulenza a compiti più occasionali.
Nonostante i vantaggi in termini di flessibilità e accesso a nuove opportunità di guadagno, la gig economy solleva importanti interrogativi. La questione principale riguarda la classificazione dei lavoratori. Sono lavoratori autonomi o dipendenti? La risposta a questa domanda ha implicazioni significative in termini di diritti dei lavoratori, protezione sociale, tassazione e responsabilità delle piattaforme. I lavoratori della gig economy spesso non godono degli stessi benefici e tutele dei lavoratori tradizionali, come il salario minimo, le ferie pagate, l’assicurazione sanitaria e i contributi previdenziali. E i diversi Paesi nel mondo hanno fatto spesso scelte opposte.
Un’altra sfida cruciale è la trasparenza degli algoritmi. Le piattaforme utilizzano algoritmi per gestire le assegnazioni di lavoro, le tariffe, le valutazioni dei lavoratori e persino le sospensioni. Se vi è mancanza di trasparenza in questi processi si possono creare discriminazioni, decisioni arbitrarie e una riduzione della possibilità di controllo dei lavoratori sulle proprie condizioni di lavoro.
Modelli regolatori a confronto: Ue, Usa e Canada
Le risposte normative alla gig economy variano considerevolmente tra i Paesi, riflettendo diverse filosofie legali e socio-economiche. Abbiamo analizzato i dati raccolti da Ius Laboris, la più grande alleanza internazionale di esperti in materia di lavoro, ed aggiornati a maggio 2025.
Europa
L’Unione Europea si sta muovendo verso una maggiore regolamentazione per proteggere i lavoratori della gig economy. La direttiva sulle piattaforme digitali proposta dalla Commissione Europea mira a stabilire una presunzione di rapporto di lavoro subordinato per i lavoratori delle piattaforme che soddisfano determinati criteri, spostando l’onere della prova sulla Piattaforma che dovrà dimostrare l’insussistenza del rapporto di lavoro subordinato.
Molti Paesi europei hanno già intrapreso azioni legislative. Ad esempio, in Spagna, la “Ley Rider” ha introdotto una presunzione legale di dipendenza per i rider e ha richiesto alle piattaforme di rendere trasparenti i loro algoritmi. Nel Regno Unito, sebbene la Brexit abbia un impatto sul recepimento diretto delle direttive UE, decisioni giudiziarie significative, come i casi Pimlico Plumbers Ltd v Smith e Uber v Aslam, hanno stabilito che i lavoratori della gig economy possono essere classificati come “workers”, una categoria intermedia che garantisce alcuni diritti fondamentali come il salario minimo e le ferie retribuite, pur non essendo pienamente dipendenti. In Italia, la normativa, diverse sentenze e accordi collettivi hanno cercato di definire lo status dei rider, spesso riconoscendo un rapporto di lavoro subordinato o forme di tutela rafforzata.
Usa e Canada
Negli Stati Uniti, il dibattito sulla classificazione dei lavoratori è molto acceso, con approcci diversi a livello statale e federale.
La California, con la legge AB5, ha tentato di riclassificare molti lavoratori della gig economy come dipendenti, anche se questa legge ha affrontato significative resistenze e modifiche. A livello federale, l’amministrazione Biden ha mostrato interesse a rafforzare i diritti dei lavoratori della gig economy, ma una legislazione unificata deve ancora emergere. In Canada, la situazione è più frammentata, con alcune province che esplorano modifiche alle leggi sul lavoro per includere i lavoratori delle piattaforme, mentre altre mantengono un approccio più cauto.
Asia-Pacifico: soluzioni ibride e attenzione alla governance
In questa regione, l’approccio è spesso più orientato alla “via di mezzo” o alla promozione di un equilibrio tra flessibilità e protezione. Singapore ha adottato un approccio che cerca di fornire alcuni benefici sociali ai lavoratori delle piattaforme senza necessariamente riclassificarli come dipendenti, riconoscendo la loro specificità. L’Australia ha visto diverse indagini parlamentari e raccomandazioni per migliorare le condizioni dei lavoratori della gig economy, anche se non si è ancora arrivati a una riclassificazione generalizzata. In Hong Kong, l’attenzione è più rivolta alla privacy dei dati e all’uso etico dell’intelligenza artificiale nelle piattaforme, riflettendo una preoccupazione più ampia per la governance tecnologica.
Trasparenza algoritmica e protezione dei dati nella gig economy
La trasparenza degli algoritmi è diventata un punto focale nella regolamentazione della gig economy. Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) dell’UE, in particolare l’articolo 22, è un punto di riferimento importante. Questo articolo limita le decisioni del datore di lavoro basate unicamente sulla profilazione automatizzata e che producono effetti giuridici o significativamente simili per l’interessato. Ciò significa che i lavoratori delle piattaforme hanno il diritto di non essere soggetti a decisioni completamente automatizzate che li riguardano negativamente (ad esempio, la sospensione da una piattaforma) e di richiedere un intervento umano.
Oltre al GDPR, molti Paesi stanno esplorando normative specifiche per la trasparenza algoritmica nel contesto della gig economy. La già citata legge spagnola “Ley Rider” è un esempio lampante, in quanto impone alle piattaforme l’obbligo di informare i rappresentanti dei lavoratori sugli algoritmi e i sistemi di intelligenza artificiale che possono influenzare le condizioni di lavoro.
La protezione dei dati personali dei lavoratori è un’altra area critica. Le piattaforme raccolgono una vasta quantità di dati sui lavoratori, dalle loro performance alle loro abitudini. Assicurare che questi dati siano raccolti, utilizzati e conservati in conformità con le leggi sulla protezione dei dati è fondamentale per prevenire abusi e garantire la privacy dei lavoratori. La violazione di questi principi può portare a sanzioni significative, come dimostrato nel caso di una causa che ha visto coinvolta HSBC Bank (Singapore) Limited, che ha evidenziato l’importanza della conformità alle normative sulla protezione dei dati anche in contesti non direttamente legati alla gig economy, ma che sottolineano l’attenzione crescente su questo tema.
In sintesi, la gig economy è ancora un fenomeno in evoluzione che richiede risposte normative agili e mirate. La sfida principale per i legislatori globali è trovare un equilibrio tra la promozione dell’innovazione e della flessibilità che le piattaforme offrono, e la garanzia di diritti e protezioni adeguate per i lavoratori, con la classificazione dei lavoratori e la trasparenza algoritmica che emergono come le questioni più pressanti. Le diverse risposte internazionali evidenziano la complessità di questa sfida e la necessità di un dialogo continuo per sviluppare soluzioni efficaci e sostenibili.












