Nell’ecosistema digitale contemporaneo, la costruzione narrativa della realtà è diventata un meccanismo centrale nella produzione dell’informazione. In questo quadro, il giornalismo si confronta con una trasformazione profonda del proprio ruolo, sempre più orientato alla narrazione e meno alla verifica oggettiva dei fatti. Questa tendenza si manifesta con forza soprattutto nella società delle piattaforme, dove la frammentazione dei contenuti e l’influenza delle emozioni ridefiniscono le modalità del racconto del reale.
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Giornalismo, narrazione e verità alternative
Non c’è nulla al mondo più forte di una buona storia. Niente può fermarla, nessun nemico può sconfiggerla perché tra i poteri del racconto c’è anche quello di ingannare (Brooks, 2022, 11).
Secondo Brooks (2022), dopo la fine delle “grandi narrazioni” nell’ecosistema mediale ibrido contemporaneo siamo sedotti dalle storie e nei social ci ritroviamo “inondati da una moltitudine di mini-narrazioni, individuali o collettive e, in molti casi, narcisistiche” (Brooks, 2022, p.13); tale proliferazione pervasiva e planetaria di racconti è evidente anche in ambiti diversi dai media digitali, come in quello politico o in altre istituzioni sociali, al punto che il discorso pubblico, che dovrebbe essere basato sull’analisi razionale, è ormai dominato dalla iperinflazione delle storie di racconti, diventate armi cruciali per governare e per comprendere l’ambiente circostante.
Nella società delle piattaforme (Van Dijck, Poell, & De Waal, 2018), la narrazione sembra essere definitivamente accettata come l’unica forma di conoscenza, via indispensabile per la comprensione della realtà (Brooks, op. cit, pp.11-13) ed è usata dai leader politici come strategia retorica efficace per trasmettere i propri contenuti e per controllare le narrazioni dei media.
L’esito della conquista definitiva messa in atto dallo storytelling si rivela nella presenza di un nuovo ordine narrativo (Salmon, 2008) connesso ad un incessante processo di “costruzione narrativa della realtà” che, nell’era dei social media pervasivi e planetari, assume i contorni di una generale tendenza al controllo narrativo dell’esperienza, radicalmente diverso dalla presenza delle narrazioni, che hanno caratterizzato la storia umana anche in epoche pre-mediali.
Se è indubbio che, come sostenuto da Barthes, “non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti” (Barthes, 1969, trad. it. p.7), in anni recenti l’espressione diNiles (2010), homo narrans ha evidenziato la centralità del racconto come elemento costitutivo dell’esistenza umana: le storie hanno sempre rappresentato una parte indispensabile dell’interazione tra un individuo ed il mondo circostante fin dall’infanzia (Bruner, 1991); del resto, è possibile sapere cosa è accaduto attraverso le versioni raccontate dei fatti, vale dire quando gli eventi sono trasformati in storie (Brooks, op. cit., p.18), come ha scientificamente confermato anche la psicoanalisi di Freud, per la quale la via per la comprensione del sé è l’uso di sequenze narrative grazie alle quali è possibile individuare cause e origini dei percorsi psicologici individuali.
Tuttavia, rispetto ai contesti predigitali, la centralità odierna della narrazione svela alcuni tratti peculiari del clima culturale contemporaneo della post-verità (Corner ,2017; McIntyre, 2018; Joux, 2023), nel quale dilaga una frattalizzazione della verità in una produzione incessante di racconti individuali ed emotivamente coinvolgenti sulla realtà, legittimando verità multiple che circolano a livello planetario, e all’interno di bolle auto-isolanti, consentono pratiche di interazione caratterizzate da tendenze all’omofilia, all’evitamento della dissonanza ed al confirmation bias. In tale contesto, più attento all’efficacia emotiva che alla oggettività dei fatti, i social media incoraggiano pratiche di storytelling in cui soggetti differenti (individui, leader politici, istituzioni, aziende) sono quotidianamente impegnati nella produzione di contenuti informativi frammentati e svincolati dalla mediazione professionale e dai limiti testuali dei formati giornalistici tradizionali.
Nelle pagine seguenti l’attenzione verrà focalizzata sulle ricadute della nuova centralità della narrazione sul giornalismo, al quale spetta il compito di selezionare e raccontare fatti in una fase storica dominata da un marcato processo di storificazione della realtà, per cui tutti gli eventi entrano nell’orbita della narratività e gli individui agiscono e si percepiscono esclusivamente in un mondo di “storie”. Nella società delle piattaforme sono favorite pratiche di narrazione individuale, si offrono spazi inediti di democratizzazione del privato, di autorappresentazione (Castells, 2009) e di auto-narrazione, nei quali “la notizia è sempre meno pensata come documento e sempre più come “racconto” che punta molto sulla proiezione individuale, sull’identificazione e sull’appassionamento” (Lorusso, 2018, 119).
Erede di rilevanti processi già avviatisi nei decenni scorsi (come la spettacolarizzazione della realtà o l’accentuazione della componente emotiva per attrarre destinatari nel contesto della crescente competizione nel mercato editoriale in forte crisi economica), l’informazione prodotta nei social e per i social propone, pertanto, testi giornalistici intessuti da logiche narrative, che si inseriscono in sceneggiature condivise: prende così forma un sistema granulare di news, attento più all’efficacia narrativa che all’attendibilità, che presenta, nella forma della plausibilità, vale a dire del verosimile, verità “opache” ma perfettamente in grado di diventare oggetto di storytelling (Groot Komerlink, Costera Meijer 2015).
Narrazione e rappresentazione: il rapporto tra fatti e storie
Per comprendere la nuova rilevanza del processo di costruzione narrativa della realtà e le sue conseguenze per la professione informativa, il punto di partenza più utile è la premessa della differenza basilare tra ciò che è accaduto (l’evento) e il racconto dell’evento, vale a dire la “tra realtà e la sua rappresentazione”, distinzione proposta dai formalisti russi come dicotomia tra intreccio e fabula: “la fabula corrisponde agli avvenimenti narrati nel loro ordine cronologico naturale, mentre l’intreccio è la presentazione degli eventi nella narrazione che leggiamo o ascoltiamo, eventi che possono non rientrare nell’ordine cronologico, che possono essere riordinati, ingranditi, minimizzati, distorti. Quindi, l’intreccio non è innocente: è una ripresa di una prospettiva, una disposizione” (Broooks, op. cit, 21).
Tale distinzione ha rappresentato il pilastro fondamentale per l’evoluzione del giornalismo il cui destinatario è, sin dalle origini secentesche, il lettore nato nell’era gutemberghiana, membro di un pubblico senza luogo per il quale è giunto al culmine il processo di sgretolamento della linearità rigida del libro/testo scritto e di declino del carattere sociale dell’esperienza condivisa della lettura ad alta voce, che già si era avviato prima della stampa. Con il libro moderno il testo è progressivamente diventato accessibile, nel tempo e nello spazio, ad un pubblico di lettori non fisicamente compresenti, costituendo la base della lettura silenziosa e del ragionamento individuale, tratti tipici dell’esperienza testuale sequenziale propria del giornalismo moderno (Cappello, Rizzuto, 2024).
Un momento di svolta epocale nel rapporto tra narrazione e realtà è riconducibile all’affermazione del romanzo borghese settecentesco, con il quale viene segnata la “distinzione tra realtà (esterna) e finzione (interna al testo), cioè tra realtà reale nella sua quotidianità e messa in scena del reale, grazie alla produzione di un mondo parallelo separato e, al contempo, connesso nelle forme della narrazione» (Boccia Artieri 2006: 192).
Questo genere letterario punta a raccontare il mondo e costruisce una realtà artificiale, che si contrappone alla realtà vera, creando un circuito comunicativo in cui i lettori si possono identificare con storie e personaggi, e, quindi, accedono al mondo reale dei sentimenti umani attraverso la narrazione di vite “non reali”. La narrazione romanzesca offre un allargamento dello spazio sociale rappresentato, che ha avuto enormi ricadute sul processo di legittimazione sociale del giornalismo, riconosciuto come ambito autonomo caratterizzato da un sempre più solido patto fiduciario tra giornalista/narratore/fonte e destinatari, rafforzato dalla periodicità che crea relazioni permanenti tra fonti e lettori.
Giornalismo tra informazione e fiction: due modelli in conflitto
Nel caso dell’informazione, infatti, a differenza del romanzo, la questione della buona fede e dell’affidabilità del narratore diventa cruciale e costitutiva e i lettori devono distinguere ciò che è degno di fiducia da ciò che è sospetto, poiché nei giornali non può esserci l’illusione romanzesca, vale a dire quella “sospensione volontaria dell’incredulità con cui i lettori si avvicinano ai romanzi, non necessariamente per ingenuità o per ottusità, ma perché questo fa parte del piacere intellettuale ed emotivo del leggere un romanzo” (Brooks, op. cit, pp. 36-37), il cui destinatario sa che si tratta di una finzione, ma accetta di sottostare alla simulazione del reale e di credere che la storia sia vera.
L’attenzione alle questioni epistemologiche della narrazione e alla sua relazione con fatti reali è, quindi, stata centrale nel giornalismo: al contrario delle narrazioni fictionali, per la scrittura giornalistica si sono così delineate due direttrici di sviluppo, che hanno dato vita a modelli narrativi radicalmente differenti, anche se sempre in un intreccio complesso di interazioni conflittuali e scambi (Broesma, 2007): da un lato, l’information model, per il quale l’aderenza rigida ai fatti è stata la base costitutiva della professione informativa, dall’altro, lo story model, che ha mirato soprattutto all’ampliamento del pubblico, proponendo storie attraenti e accattivanti costruite grazie al ricorso a tecniche narrative più vicine al racconto romanzesco (Cappello, Rizzuto 2024).
La narrazione giornalistica nella platform society
Accanto al rapporto fondativo con la realtà, l’evoluzione della narrazione giornalistica è stata segnata anche dai radicali cambiamenti delle tecnologie della stampa (Flichy 1995), che in un percorso plurisecolare hanno imposto differenti modelli di esperienza testuale, compresenti nell’universo informativo fino al Novecento, pur con significative discrasie o accelerazioni, che con i media digitali sono giunti alla totale ibridazione: il primo modello è stato definito da Eugeni (1996) “centripeto e sequenziale” ed è quello del racconto scritto o del film, caratterizzato dalla progressiva smaterializzazione del testo e dalla scarsa visibilità della fruizione; il secondo “policentrico e reticolare” è quello della stampa periodica o dei manifesti pubblicitari, caratterizzati da spazialità grafica e da una precisa griglia progettuale.
Un posto centrale, inoltre, anche per la storia del giornalismo, è stato occupato dall’uso delle immagini stampate che dalle illustrazioni ottocentesche è arrivato fino al fumetto e alla fotografia, dando vita a forme miste di testualità, in cui la prospettiva inserisce lo spettatore nel testo, diventa matrice di tragitti interpretativi, struttura lo spazio e impone un potere ordinatore esterno alla storia, che delinea la grammatica (logico-sequenziale) della narrazione.
Nell’ecosistema digitale ibrido le pratiche narrative con le quali gli individui presentano e condividono continuamente emozioni ed esperienze hanno prodotto conseguenze rilevanti sia per le modalità di interazione che per il giornalismo, imponendo una radicale ridefinizione del suo campo e dei suoi oggetti, così come una riflessione sul significato del ruolo socialetradizionalmente attribuito al giornalista, cioè quello di agente di mediazione per i fruitori, a cui proporre quotidianamente una lettura degli eventi più rilevanti, utile per la loro partecipazione consapevole al dibattito pubblico. Rispetto alla sfera pubblica dell’era predigitale i giornalisti oggi selezionano e raccontano i fatti inserendosi in un dibattito pubblico in cui le piattaforme favoriscono circuiti di polarizzazione ideologica e processi di saturazione comunicativa, nei quali aumenta il rischio di disinformazione, fino al rischio di privilegiare l’adozione della menzogna come elemento strutturale della comunicazione (Sorice, 2020, pp.382-383).
In tale contesto, se è indubbio che le tecnologie digitali hanno trasformato il modo di produrre e diffondere le notizie, segnando una crisi inarrestabile del giornalismo cartaceo tradizionale, diventa rilevante comprendere come e quanto alla rivoluzione delle routine produttive e della fruizione delle informazioni sia riconducibile la crisi della fiducia nel prodotto giornalistico e alla sua capacità di continuare a raccontare la realtà sulla base della dicotomia vero/falso, che ne è stata per secoli il parametro costituivo (Groot Kormelink, Costera Meijer, 2015; Sorrentino, Splendore, 2022). Rispetto al supporto cartaceo tradizionale, il mezzo televisivo aveva già avviato un processo di commistione tra i criteri referenziali del newsmaking e gli imperativi commerciali della logica infointrattenitiva: nella fase pre-digitale si era realizzata vera e propria contaminazione reciproca, sia sul piano delle tecnologie che su quello delle strategie narrative, con la conseguenza che si sono prodotte molteplici forme di ibridazione tra modelli professionali differenti fino alla definitiva affermazione di un giornalismo anfibio, che racconta frammenti di realtà servendosi di un linguaggio visuale teatralizzante. In altri termini, la tv ha rivoluzionato gli stili narrativi per attrarre audience distratte con la conseguenza che il giornalismo televisivo ha abbandonato quasi del tutto lo stile dell’argomentazione razionale e della “verità” come obiettivo desiderabile per il professionista dell’informazione.
Già alla fine degli anni Novanta, pertanto, l’idea del giornalismo come sistema altamente standardizzato di produzione di resoconti obiettivi dei fatti, ma anche come luogo del confronto tra idee, sembra essere regredita alla logica darwinista della pura e semplice contrapposizione emotiva, dell’obbligatorietà dello schieramento manicheo, della ricerca di facili capri espiatori, con esigue capacità di approfondimento in news, che ricostruendo i fatti all’interno di nuovi formati e generi tv, “narrano” il mondo in pochi secondi, presentando semplici capsule informative, nelle quali sono sempre più usati gli stilemi del racconto fictional (Rizzuto, 2023).
Nell’era digitale, i continui cambiamenti nel comportamento dei consumatori e la crescente migrazione del pubblico verso le notizie online, oggi fonti primarie per l’accesso all’informazione, hanno imposto una radicale innovazione nel modo in cui si raccontano le notizie e sui criteri di notiziabilità che ne determinano i contenuti (Pavlik, 2000; Giles, 2004).
Secondo Pavlik, le narrazioni giornalistiche proposte in ambiente digitale tendono a definire un nuovo tipo di storytelling giornalistico definito contextualized journalism, che presenta cinque dimensioni o aspetti basilari: ampiezza delle modalità comunicative, ipermedialità, coinvolgimento del pubblico, contenuti dinamici customization. Come evidenziato da Zaganelli e Marino (2016) il giornalismo on line può raccontare storie utilizzando differenti codici con i quali costruire un racconto arricchito, in cui il lettore può essere coinvolto da più punti di vista sensoriali oltre che nella decodificazione cognitiva della narrazione, ad esempio, potenziando le narrazioni visive.
Una delle caratteristiche più rivoluzionarie del giornalismo digitale è l’ipermedialità, che associa all’arricchimento mediale integrato su un unico canale comunicativo, quello digitale, un arricchimento semantico creato per mezzo di link che connettono le notizie e rendono possibile un percorso di lettura tematico, oggi confluito nella produzione di contenuti crossmediali. Naturalmente, la peculiarità principale dell’informazione on line è il nuovo ruolo dei destinatari: rispetto al giornalismo della carta stampata, lo storytelling immersivo degli ambienti digitali, garantisce al singolo utente la possibilità di interagire con la notizia a più livelli, dalla semplice selezione delle preferenze di lettura all’integrazione di informazioni (Zaganelli e Marino, 2016, p. 99). In un contesto in cui la notizia è diventata una monade fluida e dinamica, essa può essere continuamente esposta ad aggiornamenti che la rendono sempre una notizia in tempo reale: la conseguenza più significativa è che “la narrazione delle notizie si sovrappone al flusso delle vita e non è più solo uno snodo informativo che precede le azioni, ma le accompagna costantemente” (ibidem).
Infine, la presenza nelle redazioni di un marcato orientamento al cliente, che si concretizza nella personalizzazione del flusso informativo nel suo rapporto con il lettore, che può scegliere le notizie e il modo di associarle, oltre che richiedere contenuti particolareggiati e approfondimenti dettati da interessi personali. La crescente customizzazione delle news ha determinato una svolta significativa nelle pratiche della scrittura giornalistica, vale a dire la messa in discussione del sistema a “piramide rovesciata”, che organizza i fatti in ordine decrescente di importanza e che è stato per decenni uno dei pilastri della pratica giornalistica e dello storytelling (Norambuena et al., 2020). Anche se, come osservano Kulkarni et al. (2024) questo metodo di scrittura è ancora predominante per scrivere storie di “hard news”, nella platform society i nuovi media consentono una miriade di nuove modalità di narrazione, in cui l’istanza narrativa e quella ricettiva, anche se di fatto non coincidono, sono immerse nella rapidità del flusso comunicativo e sembrano sovrapporsi, creando possibilità inedite di coinvolgimento tra utenti e notizie.
La questione delle strategie narrative del giornalismo digitale è al centro di numerosi studi che focalizzano l’attenzione sul declino recente dell’attenzione dei pubblici rispetto alle forme tradizionali di storytelling (soprattutto tra le fasce più giovani), e si chiedono se, nell’era digitale e dei social media, esistano modi alternativi (più informativi e coinvolgenti) che i professionisti dell’informazione possono usare per raccontare le notizie.
A dire il vero, la storia del giornalismo è stata da sempre attraversata dalla ricerca costante di nuove forme potenzialmente più coinvolgenti di storytelling informativo, in quanto sebbene le notizie possano attrarre lettori, spettatori e ascoltatori per il loro contenuto, il modo in cui tali contenuti vengono presentati spesso ne determina l’impatto. Secondo Canavilhas (2007), l’affermazione della narrazione a “piramide rovesciata” è emblematica e può essere ricondotta all’inizio del XIX secolo, periodo durante il quale i giornalisti inviavano le notizie servendosi del telegrafo, tecnologia che gli imponeva di strutturare i testi in paragrafi, obbedendo all’imperativo di comunicare i fatti in ordine di importanza (Pöttker, 2003). Da questo momento si è così affermato un tipo molto particolare di gerarchia informativa, in netto contrasto con la struttura narrativa cronologica, in cui gli eventi sono sistematicamente riportati nell’ordine in cui si sono verificati e dove il culmine della storia giunge alla fine (Norambuena et al., 2020; Thomson et al., 2008; Walters, 2017). Dal punto di vista produttivo e organizzativo, questo modello si è rivelato vantaggioso per la stampa, perché ha consentito ai redattori di tagliare i testi dal basso verso l’alto senza perdere gli elementi chiave della storia (Pöttker, 2003).
Inoltre, con l’informazione prioritaria rispetto alla suspense (Van Krieken, 2018; Van Krieken, Sanders, 2019), la piramide rovesciata ha reso le notizie più veloci da scrivere e più veloci da leggere: successivamente, in seguito alla ridefinizione del giornale come bene di consumo quotidiano, tale schema di scrittura giornalistica si è affermato come il modello più efficace ed economico per la comunicazione delle notizie (DeAngelo e Yegiyan, 2019), non solo per il giornalismo cartaceo, ma anche per quello radiotelevisivo, e, molto più tardi, è stato adottato dalle notizie online sui nuovi media. In generale, il successo della narrazione a piramide rovesciata può essere compreso prendendo in considerazione il fatto che essa si adatta bene alla crescente enfasi sulle ultime notizie, vale a dire sull’obbligo dell’aggiornamento: con il tempo, però, è stata erroneamente associata all’obiettività, con la conseguenza che viene data rilevanza sempre più ai fatti e meno all’interpretazione giornalistica, facendo prevalere l’idea che le narrazioni lineari significhino un resoconto “meno oggettivo” nonostante l’evoluzione di ogni evento sia sempre logicamente cronologica.
Nell’era delle capsule informative prodotte e diffuse nei social, il predominio della narrazione a “piramide rovesciata” nel giornalismo rimane significativo, radicato in routine e forme consolidate, ma la sua efficacia come forma di comunicazione è sempre più messa in discussione, tanto che, per alcuni, è diventata “una specie di dinosauro” (Yaros, 2006 p. 287). Secondo Ward, infatti, questo modello implica comunque “un intervento interpretativo più strutturato rispetto alla narrazione lineare, in cui i giornalisti impongono necessariamente una gerarchia di importanza fattuale nel racconto di storie in divenire”. (Ward, 2009 p. 299).
La rigidità delle strutture narrative tradizionali si è scontrata con quella online e molti studi recenti si sono si concentrati sui modi in cui gli elementi strutturali delle notizie possono influenzare il ricordo, la comprensione e la percezione, vale a dire sull’impatto della narrazione riguardo ai livelli di comprensione e coinvolgimento del pubblico, esplorando anche altre forme di narrazione, come ad esempio la crescente sovrapposizione tra i generi giornalistici e lo stile comico/satirico dei meme.
Mettere in discussione la rilevanza dei formati giornalistici consolidati rimane fondamentale, soprattutto nel contesto del calo del pubblico per la maggior parte dei formati giornalistici tradizionali: la riflessione scientifica sulle strutture narrative all’interno delle notizie sembra supportare l’affermazione gli sviluppi del giornalismo online abbiano messo in crisi il predominio del modello della piramide rovesciata e che si stia diffondendo un giornalismo narrativo che fa ricorso a “stili narrativi più creativi e meno strutturati” (Johnston, 2017 p. 14) ricercando modi per diffondere notizie e informazioni più efficaci e accessibili al pubblico.
La rivoluzione digitale ha pertanto trasformato il campo giornalistico, favorendo il passaggio dai tradizionali processi sequenziali (selezione, verifica, gerarchizzazione, presentazione, fruizione) ad un intreccio magmatico tra produzione, distribuzione e consumo, a cui è riconducibile una nuova declinazione della compenetrazione tra logiche di intrattenimento e di partecipazione, che, dando maggiore rilevanza alla componente emotiva (Wahl-Jorgensen, 2020), contribuisce al declino di credibilità degli attori tradizionali della mediazione, come fonti autorevoli e affidabili di verità. Il modo in cui le notizie vengono prodotte e consumate nell’era digitale ha reso più opaco il confine tra producer e consumer, con la conseguenza che il linguaggio dell’informazione sta diventando sempre più multicanale, all’interno di una narrativa con testualità iper-frammentate, nelle quali la perfetta aderenza ai fatti, viene relegata in posizione secondaria rispetto alla dimensione emozionale e la verità diventa un ambito di scontro tra diverse visioni del mondo.
Il modello orientato alla legittimità di tutte le opinioni si impone sempre più anche nella logica editoriale dell’informazione che trasforma la realtà in una controversia, rispetto alla quale occorre elaborare scelte di posizionamento: la conseguenza più significativa è un giornalismo che presenta tutte le versioni di una storia, con il rischio di “dare visibilità a contro-narrazioni che sono false, ma che comunque competono in un agone, che finisce per essere più narrativo che informativo” (Bentivegna, Boccia Artieri, 2021 p.118).
Digitale, interazione e crisi della mediazione informativa
Nell’ambiente digitale le regole che determinano la costruzione dell’involucro narrativo vengono ridiscusse alla luce di un’istanza che prevede la partecipazione del lettore in questo processo.
Negli ultimi anni, la digitalizzazione ha determinato una radicale complessificazione delle dinamiche informative: nel sistema convergente e ibrido contemporaneo è stata possibile la deterritorializzazione dell’informazione, che ha reso difficile sia l’individuazione degli attori sociali coinvolti nella produzione e diffusione di notizie, che le loro finalità, lasciando intravedere il potenziale collasso della funzione di gatekeeping da parte dei professionisti dell’informazione.
In un contesto mediale in cui tecnologie del passato si trovano accanto ai nuovi strumenti, l’esigenza di essere informati o di far circolare idee può essere oggi soddisfatta “da un’offerta che non si esaurisce in quella costruita dagli attori tradizionali della mediazione informativa ma coincide addirittura con l’ambiente mediale nel suo complesso” (Bentivegna, Boccia Artieri, op. cit., p. 40). Il lettore è sempre più interessato al racconto e sempre meno alle sue fonti. Più che tradurre la realtà, “la narrazione agisce nella realtà: stimola mode, crea tendenze, detta abitudini di consumo, favorisce atteggiamenti cognitivi e passionali. Ed è il controllo del racconto, e non delle sue fonti, che determina il controllo dell’impatto sociale di ogni narrazione” (Zaganelli, Marino, op. cit., p. 93).
Le pratiche interattive, grazie alle quali la notizia può essere smontata e rimontata per venire approfondita da molteplici punti di vista (Usher, 2014), così come le tendenze alla narrazione estesa e alla multiautorialità, tipiche della transmedialità (McErlean 2018) impongono alla ricerca di analizzare il ruolo dei nuovi fornitori di notizie e trasmettitori di eventi (García-Orosa, López-García, Vázquez-Herrero 2020), soprattutto al tempo in cui le tecnologie di intelligenza artificiale, sono ormai perfettamente capaci di produrre costruzioni narrative fluide e verosimili, che si inseriscono velocemente in dinamiche virali planetarie.
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