IA Text-To-Video

Il cinema nell’era del pensiero artificiale: il regista è un romanziere



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Una riflessione sul cortometraggio Air Head e su Sora di OpenAI, analizzando come il passaggio da testo a video trasformi il regista in romanziere solitario, rivoluzionando la produzione cinematografica e alterando l’ontologia del cinema

Pubblicato il 4 mar 2025

Marco Ongaro

Cantautore, librettista, saggista



IA nel cinema (1)

In seguito alla recente comparsa di Air Head, il primo cortometraggio del gruppo Shy Kids realizzato interamente con Sora, l’Intelligenza Artificiale text-to-video di OpenAI concepita per generare video ultra-realistici a partire da input testuali, alcuni interrogativi di natura squisitamente estetica si uniscono alle preoccupazioni dei lavoratori di Hollywood.

air head · Made by shy kids with Sora

Impatto dell’IA text-to-video sull’industria cinematografica

È vero che l’uso dell’IA text-to-video nella produzione di film potrebbe ridisegnare il settore cinematografico abbattendo costi di produzione con il taglio di diversi posti di lavoro, tra comparse, sceneggiatori, aiuto registi, operatori e altre maestranze grazie al sempre più elevato livello di realismo ottenuto con materiale archiviato. Niente è filmato e tutto è creato sullo spunto di suggerimenti testuali, questa sarebbe la straordinarietà dell’operazione.

Il potere evocativo delle parole

Ma cosa c’è di straordinario in un sistema di parole che suscita immagini? Non è forse il meccanismo standard di un qualunque processo mentale durante una chiacchierata? Meglio ancora, non è il procedimento base di un poeta veggente? Bene, la scienza è riuscita a riprodurre digitalmente il meccanismo per fare film, applausi.

È forse più potente e insondabile il congegno della semplice associazione di idee, text-to-text, scandagliato a scopi terapeutici da Freud & Co. agli albori del secolo scorso. Le parole fanno scattare altre parole. Suscitano immagini spontanee in un andirivieni da conscio a preconscio a inconscio e viceversa senza soluzione di continuità, sollevando ricordi, accendendo e spegnendo reminiscenze fuori dal controllo dell’individuo fin dalla preistoria.

La sofisticazione del pensiero e l’evoluzione del linguaggio umano

La simbolizzazione verbale trova nella reazione immaginifica la sua risposta più automatica, si potrebbe dire la più banale. È più sofisticato un sistema di pensiero che passi da testo a testo senza intromettervi la scorciatoia tanto idolatrata della rappresentazione figurativa del concetto, stimolata per associazione o descrizione. È più raffinato il passaggio da un concetto a un altro senza ricorrere alla rozza rappresentazione per immagini. Un po’ la differenza che c’è tra un testo filosofico e una graphic-novel. Le figure aiutano a capire ma non hanno l’accuratezza di un concetto espresso con la precisione astratta della simbolizzazione alfabetica o matematica.

Ci furono ere in cui l’evoluzione umana in merito all’espressione del pensiero andava dall’ideogramma all’alfabeto e non al contrario. Senza considerare gli evidenti vantaggi economici tanto invisi al sistema sindacale dello spettacolo, come si è arrivati a credere che text-to-video sia più appetibile di video-to-text?

Il cinema come traduttore di pensiero

C’entra forse la sempre più tralasciata abitudine di scrivere recensioni di film che non siano mere sinossi. Il testo è pensiero, dunque la macchina Sora sarebbe più correttamente definibile un dispositivo traduttore da-pensiero-a-video, così come il cinema è un apparato traduttore da-video-a-pensiero. Il testo in questo caso è giusto un medium tra il pensiero e le immagini. È vero che siamo affamati di immagini, o la televisione il cui messaggio è sé stessa non avrebbe avuto alcun successo.

Ma il libro regge ancora per questo: la simbolizzazione si moltiplica da testo a pensiero suscitando figure derivanti da un alfabeto evoluto un giorno dalle immagini. Questo è il miracolo del linguaggio, mezzo di comunicazione ma anche universo a sé, questo è il dono di Hermes.

Cinema come linguaggio universale

Che cosa è il cinema, si chiede André Bazin in una serie di saggi raccolti in libro tra il 1958 e il 1962. Il fondatore dei Cahiers du cinéma sviscera il fenomeno di realtà ontologica rappresentato dal mezzo cinematografico per poi giungere, nel centro delle sue riflessioni, a dichiarare che “il cinema è un linguaggio”. La capacità di riprodurre il vero attraverso ombre e luci, propria della fotografia, muta di valenza nello scorrere illusoriamente unitario dei fotogrammi fino a formare, grazie allo strumento manipolatore chiamato montaggio, una effettiva comunicazione che si serve di un nuovo alfabeto visivo e di una sintassi tutta sua.

Festival cinematografici e produzioni indipendenti

Ma il cinema è anche altro. Fin dalla sua infanzia, attraverso l’infanzia di un’umanità stupita dalle immagini in movimento come potrebbe esserlo una tribù di primitivi, è passato da intrattenimento formativo a finestra sul mondo per la sua propensione a cogliere le differenti realtà nelle opere marginali e indipendenti prodotte anche in angoli sperduti del globo e ritrasmesse nelle trincee resistenti dei cinema d’essai. Lo splendore dei festival cinematografici non sta tanto nei titoli di richiamo dell’industria hollywoodiana quanto nelle innumerevoli produzioni indipendenti che brulicano nei premi di contorno, nelle rassegne laterali, nei Certain regard che un apparato sommerso di appassionati porta all’attenzione di chi voglia cibarsene in apposite sale e piattaforme.

Il cinema come comunicazione universale

Proprio in virtù della sua natura di linguaggio, di comunicazione universale a prescindere dagli alfabeti delle diverse nazioni, il cinema è fruibile a qualunque latitudine squarciando la barriera delle distanze e illuminando realtà ignote a favore di chiunque ami conoscere l’universo in cui vive.

Se il libro è un mezzo di comunicazione da-pensiero-a-pensiero, il cinema lo è da-video-a-pensiero. E nel trasmettere il proprio messaggio sviluppa una doppia funzione: quella di testimonianza e quella d’invenzione di una realtà fantastica. Il cinema è un linguaggio bifronte che da una parte attesta una verità e dall’altra garantisce l’immaginazione.

Se la fotografia era potenzialmente realismo certificato, il cinema è diventato anche felice inganno realistico teso a creare visioni oniriche di mondi fantasmagorici. La potenzialità di rappresentare l’inesistente ne ha fatto “la fabbrica dei sogni”, una struttura che produce senso tramite immagini anche impossibili. L’immaginazione non è che una delle funzioni del pensiero.

Il cortometraggio Air Head: un esempio di IA text-to-video

Il cortometraggio Air Head è ben realizzato per “il piacere degli occhi”, una delle ragioni del successo del mezzo cinematografico. Le immagini concepite con il fascino di un levigato spot pubblicitario si lasciano vedere con gusto soprattutto grazie alla commistione tra reale e surreale che sta alla base del potenziale cinematografico. Il protagonista, un uomo con un palloncino giallo al posto della testa, suggerisce l’idea di vuoto e leggerezza mentre cammina per strada, fragilità in una serra di cactus, libertà quando la testa spicca il volo per visitare luoghi suggestivi degni della promo di un’agenzia di viaggi. In metropolitana tra gli umani denota alienazione, in una foto ricordo scolastica insinua l’idea di uno scherzo, a una festa di bambini invasa da altri palloncini senza corpo offre uno scorcio di impossibile integrazione. Gli sfondi sono stati inevitabilmente generati pescando nel catalogo quasi infinito di combinazioni figurative del brodo primordiale internettiano, campionario a origine umana e selezione artificiale con buona pace dei copyright mondiali.

Si potrebbe anche dire che inserire un palloncino al posto di una testa e una voce fuori campo, probabilmente anch’essa sintetica, è molto più facile che far muovere e parlare e fornire di impeccabili espressioni una testa umana creata da qualcosa (o qualcuno?) che umano non è.

Il confronto con Max Headroom

Operazione ben diversa dalla creazione del fenomeno Max Headroom, definito “il primo personaggio televisivo generato dal computer” ma in verità interpretato dall’attore Matt Frewer truccato con protesi facciali e un abito da sera di fibra di vetro. Era lo sfondo geometrico astratto in movimento sovraimpresso grazie alle riprese su schermo blu a illudere sulla virtualità di un personaggio da serie TV concepito nel 1985 da George Stone, Annabel Jankel e Rocky Morton.

IA sospensione dell’incredulità

L’uomo fingeva di essere virtuale, ora la macchina non ha il coraggio di fingersi umana e si mette un palloncino al posto della testa. A differenza del cinema a interpolazione tecno-intelligente, tipo fantascienza per intenderci, qui si sa dal principio che, sebbene munito di mani, braccia e gambe, il protagonista non è stato un uomo mai. L’idea di sospensione dell’incredulità connaturata alla nascita del cinema viene così privata del suo movente principale: il mondo effettivo di cui le immagini fornivano una copia, seppur rimaneggiata dal montaggio.

Ci vorrà tempo prima che il camuffamento dell’IA con il suo creatore sia completo. Le sempre più complesse ed estese fasi di autonomia del dispositivo partono ancora da un input creativo esterno all’Intelligenza Artificiale. Se il cinema è proverbialmente la fabbrica dei sogni, la macchina non sa ancora sognarli da sola ma ci sta arrivando a partire da un testo, rendendo individuale un processo finora industriale.

Il regista come romanziere

Infine il regista cinematografico sarà come il romanziere, un uomo solo davanti alla pagina bianca che trasforma in immagini le sue parole. Meno industria e più libertà creativa, tutto sommato. Il pensiero di una sola persona potrà diventare subito un film, come quando ci perdiamo a sognare a occhi aperti. La “politica degli autori” teorizzata da François Truffaut sarà finalmente implementata.

Questo potrà mai riprodurre l’essenza del cinema come il cinema ci ha insegnato a considerarla nella sua evoluzione fino a oggi? Se passiamo dalle parole alle immagini grazie al dispositivo Sora, che finestra apriamo e su quale mondo? Come per il romanzo, ci troviamo di fronte a un prodotto che per essere realistico deve fingere. Il valore del mezzo, inaugurando inesplorate opportunità, è spostato in altri ambiti e smette la sua funzione preziosa di rivelazione di realtà concrete ancora sconosciute, destinate all’attesa in recessi dimenticati dell’esistenza. Potenzia dall’altro lato l’aspetto inventivo. Ma pur facilitando la creazione di mondi impossibili, nel rimaneggiarne e miscelarne le componenti sarà comunque difficile ottenere che Sora crei per noi, text-to-video, una fedele fototessera utile per il passaporto.

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