motori di ricerca

Il giornalismo nella “morsa” della SEO: ecco perché ora i topic valgono più della notizia

Oggi troppi giornalisti si fanno condizionare dalla SEO, contravvenendo non solo alle regole del giornalismo “di una volta” ma anche al buon senso. Certo, occorre conoscerla per farne un buon uso e per potersi difendere da eventuali manipolazioni. Però non deve diventare la bussola per decidere cosa pubblicare

Pubblicato il 12 Gen 2021

Marco Brando

Giornalista e scrittore

Photo by form PxHere

Nelle redazioni di certi media oggi occorre avere coraggio per sostenere che il linguaggio SEO (Search Engine Optimization) – quando diventa la bussola principale o prevalente nel lavoro di chi informa – è una minaccia per il giornalismo. Ovviamente, come tutti i mezzi che usiamo, è pericoloso per il modo in cui troppi lo utilizzano, dato che si fanno diventare i motori di ricerca una specie di Oracolo di Delfi 4.0.

Infatti, va precisata una circostanza a proposito della Search Engine Optimization: non si basa su una fonte disinteressata. Gli algoritmi che fanno funzionare i motori di ricerca (così come quelli che governano i social network) vengono realizzati da esseri umani, i loro proprietari, molto ricchi e potenti. Dunque la scelta dei contenuti da indicizzare avviene sulla base di decisioni legate a interessi economici e politici.

Le recenti proposte normative dell’Europa (Digital Markets Act in primis), l’inchiesta dell’antitrust UE su presunte distorsioni del motore di ricerca Google, la causa antitrust del Dipartimento di Giustizia Usa di ottobre e anche la nuova causa americana posta sulle stesse basi dovrebbero essere sufficienti per farci dubitare dell’oggettività di questi algoritmi.

Condizionati dalla SEO

Ciononostante, oggi troppi giornalisti, direttori ed editori si fanno condizionare dalle regole della SEO, contravvenendo non solo alle regole del giornalismo “di una volta” ma anche al buon senso. Ma ancora più grave il rischio di essere condizionati – in modo piuttosto subdolo – dalle “entità” che governano i motori di ricerca (e che, per inciso, si sono sostituiti a quegli stessi media nel governo della comunicazione globale).

Così può capitare di sentirsi dire: “Questo pezzo non va bene perché i suoi contenuti non vengono indicizzati abbastanza dai motori di ricerca”. Ovviamente non bisogna prendersela con chi svolge con la legittima professione di “esperto di linguaggio Seo”. Perché in effetti va studiato e conosciuto: per farne un buon uso e anche per potersi difendere da eventuali manipolazioni. Però non deve diventare il direttore che decide quello che va pubblicato.

Nei media, tuttavia, la ribellione contro la dittatura degli algoritmi si leva di rado, un po’ per timore di essere sostituiti da qualcuno più malleabile, un po’ perché qualche redattore non si rende conto di essere pilotato da un direttore virtuale. Tra chi ha tirato fuori questo discorso c’è la giornalista Guia Soncini: ha puntato il dito contro certi capi rapiti dalla lettura di manuali per la SEO.

Scrive: “Dicono, quei manuali, un sacco di robe orribili. Che bisogna cominciare con la parola del giorno, e poi la virgola. Lockdown, virgola. Stati generali, virgola. Premio Strega, virgola. Che quella parola bisogna ripeterla molte volte nel corso dell’articolo, perché l’algoritmo… per capire che l’articolo parla di Trump deve trovare ogni tre parole il nome Trump; non ‘l’inquilino della Casa Bianca’, non ‘il presidente degli Usa’… Insomma, nel magico mondo del SEO il New Yorker dovrebbe essere introvabile su Google, e letto da nessuno. Con quei pezzi lunghi, con quella impostazione che se la prende comoda, che ti racconta cose, mica ti gonfia a quaranta righe una notizia da due ripetendo molte volte lo stesso nome acciocché venga indicizzato per bene”.

Google trends come fonte di ispirazione dei giornalisti?

Lo sfogo della Soncini fa sorridere. Ma anche no. Dipende dai punti di vista. Perché si rischia che, invece di cercare le notizie, il giornalista (o chi, pur senza l’iscrizione all’Ordine, scrive qualcosa da vendere come notizia) consideri come prevalente fonte di ispirazione Google Trends (significa “tendenze di ricerca”): questo strumento fornisce i trend topic online (“termini di tendenza sul web”), che spesso diventano il fulcro di ogni discussione in qualsiasi redazione (incluse quelle di grandi testate) prima ancora della notizie vere. Guarda caso, il servizio è fornito dal più ricco e usato motore di ricerca, già citato.

Cliccando Google Trends, si intravede quello su cui puntano 3 miliardi e mezzo di utenti che, in tutto il mondo, svolgono 4,5 miliardi di ricerche quotidiane. L’analisi, offerta anche in italiano, si può raffinare e circoscrivere. Spontaneamente, la home page ci fa sapere subito che cos’è di tendenza. Per esempio, alle 14,40 del 3 dicembre 2020 in Italia vinceva le ricerca su “Lombardia zona gialla” (1°, con più di 100.000 quesiti online), seguita da quella (più di 20.000) dedicata alla storia del fidanzamento tra Francesco Rutelli e Barbara Palombelli (2°) e dalla scomparsa di Giscard d’Estaing (3 °); poi – con più di 10.000 visualizzazioni – ecco storie varie: dal cashback natalizio (4° posto) ai rapporti di Paolo Brosio con la morosa di 22 anni (6°), dal Barcellona (7°), che non paga gli stipendi ai calciatori, fino al nuovo Dpcm governativo con le misure natalizie anti-Covid (solo al 10° posto). Nel giro di poco tempo le indicizzazioni possono cambiare. Per scrivere un pezzo online di successo in quel momento si sarebbe dovuta dare la seguente notizia: “Mentre vagavano nella zona gialla della Lombardia, Francesco Rutelli e Barbara Palombelli si sono commossi pensando al loro fidanzamento, incuranti della sorte di Giscard d’Estaing”.

Non è tutto SEO quel che luccica

Viene di nuovo da sorridere, certo. Invece è una questione terribilmente seria. Per capire meglio, è interessante andare su l sito di Valentino Mea, molto professionale, che offre consulenza Seo e Google Ads (un software che permette di inserire spazi pubblicitari all’interno delle pagine di ricerca di Google), Propone una guida. Titolo: “SEO per Giornalisti: regole pratiche per il Giornalismo Online”. Esordisce spiegando che “la SEO per giornalisti è fondamentale per scrivere articoli che vengono trovati e per far arrivare da Google un numero maggiore di lettori interessati sui propri articoli. Questo si traduce in più soldi in pubblicità, più abbonamenti, maggiore forza del marchio”. Poi: “Fare il giornalista oggi non è facile: mentre una volta il grosso del lavoro era andare a cercare le notizie, adesso sono le notizie che vengono a cercare te e arrivano a ondate che non è semplice cavalcare senza farsi sommergere”. Ancora: “Tra le variabili che influiscono sul ciclo di vita delle notizie c’è anche Google che, in base alle ricerche effettuate dagli utenti, decide se mettere in evidenza un certo topic (argomento, ndr) e se mantenerlo in SERP (Search Engine Results Page, “pagina dei risultati del motore di ricerca”, ndr) più o meno a lungo”. Infine: “Se vuoi essere supportato in questo difficile compito e imparare a scrivere articoli giornalistici SEO oriented, richiedi pure una consulenza SEO oraria”.

Il fatto che il giornalista SEO-orientato non venga descritto come un cacciatore incallito di notizie, ma una persona che non sa più dove metterle perché ne viene travolta, rende l’idea della piega che potrebbe prendere questa delicata professione. Certo, va ribadito: è bene che un cronista conosca i meccanismi con cui funzionano i motori di ricerca e gli interessi delle aziende che li gestiscono; è pure opportuno che sappia quali sono le chiavi attraverso le quali una notizia può apparire nelle ricerche. Però il redattore, prima di diventare un campione nell’uso degli strumenti della SEO, dovrebbe ricordarsi del “giornalismo di una volta”: quello che si basa sulla fondamentale regola delle 5 W: Who, What, Where, When, Why.

Conclusioni

In altre parole (italiane), il giornalista dovrebbe prima di tutto chiedersi chi c’è dietro quella selezione di cosiddetti topic, cosa fa, dove lo fa, quando e come lo fa (cioè, in funzione di quali interessi). Non dovrebbe mai trasformarsi in uno strumento passivo di quel sistema, né di altri. Purtroppo, invece, allarma la passività con cui molti di coloro che scrivono notizie online – anche su importanti testate – si stanno adattando alle pretese degli algoritmi e dei loro mandanti. Col rischio che le basilari 5 W siano sacrificate, insieme alla professionalità e al diritto/dovere di cronaca, sull’altare di Google Trends.

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