La tanatologia digitale è un campo di studi emergente che analizza le trasformazioni del rapporto con la morte nell’era delle tecnologie digitali. Profili social che restano attivi, algoritmi che ripropongono ricordi, memoriali virtuali: la morte non è più un evento circoscritto ma una presenza persistente nella rete, che ridefinisce identità, memoria e comunità.
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La nascita della tanatologia digitale nell’era della rete
La morte rappresenta un evento biologico inevitabile per ogni attività antropica, ma anche un fatto sociale totale, come avrebbe detto Marcel Mauss, capace di catalizzare l’emersione di credenze, riti, pratiche culturali e organizzazioni collettive (Mauss, 1934).
Nella contemporaneità, caratterizzata dall’espansione delle tecnologie digitali, la morte non si esaurisce più nello spazio fisico della famiglia o nelle istituzioni religiose e civili deputate a gestirla, ma invade la rete e le sue piattaforme. Nasce così la tanatologia digitale, ossia lo studio sociologico, antropologico e culturale delle forme con cui la società affronta la morte in un contesto digitale always networked.
Tale ambito di ricerca nasce dalla constatazione che le tecnologie dell’informazione hanno modificato profondamente il rapporto con il concetto di morte: profili social che restano attivi, fotografie che continuano a circolare, algoritmi che ripropongono ricordi: tutto ciò ridisegna l’esperienza del lutto, ampliandone i confini sociotemporali (Walter, 2015).
La tanatologia digitale non è una semplice evoluzione dei riti funebri, ma una trasformazione più ampia che interroga e ridefinisce il concetto stesso di identità, memoria e comunità nell’era della rete.
Dalla morte nascosta alla morte visibile: evoluzione storica
La tanatologia ha conosciuto un forte sviluppo a partire dal XX secolo, soprattutto grazie ai contributi della psicologia e della sociologia. Philippe Ariès (1977), nella sua monumentale opera L’homme devant la mort, ha mostrato come le rappresentazioni della morte abbiano due caratteristiche fondamentali: siano storicamente determinate e culturalmente variabili.
La modernità ha spinto verso una progressiva medicalizzazione e a una privatizzazione della morte, contestualizzandola in ospedali e strutture sanitarie, lontano dallo spazio pubblico. Questa trasformazione ha reso la morte un evento sempre più nascosto, tanto che la società contemporanea è stata definita come caratterizzata da una sorta di “tabù della morte” (Bauman, 1992).
Tuttavia, l’emergere del digitale sembra invertire questa tendenza, riportando la morte nello spazio visibile, non attraverso riti tradizionali, ma mediante pratiche inedite che passano attraverso lo schermo. L’arrivo delle tecnologie digitali ha modificato in profondità le condizioni di comunicazione e di memoria. Se prima la commemorazione era legata a monumenti, fotografie fisiche o ricorrenze familiari, oggi essa passa attraverso server, piattaforme social, archivi multimediali.
La morte, lungi dal rimanere un evento limitato, diventa oggetto di condivisione continua. Gli studiosi hanno notato come la digitalizzazione abbia creato una nuova forma di “presenza assente”, in cui il defunto rimane accessibile tramite le tracce digitali (Brubaker et al., 2013). Questa condizione altera il confine tra vita e morte, rendendo il lutto un processo più fluido, meno delimitato, ma anche più complesso da gestire.
Eredità digitale e la nuova biografia virtuale
Oggi ogni individuo elargisce una quantità notevole di dati: messaggi, e-mail, fotografie, interazioni sociali. Questa mole di informazioni costituisce una vera e propria eredità digitale, non si tratta solo di contenuti multimediali, ma di veri e propri frammenti identitari che, uniti insieme, compongono una biografia virtuale (Mayer-Schönberger, 2011).
La gestione di questa eredità apre nuove questioni: chi ha il diritto di accedervi? Le famiglie possono richiederne la cancellazione o la conservazione? Le piattaforme hanno stabilito regole proprie, ma manca ancora una disciplina giuridica unitaria che regoli questi aspetti (Öhman, Floridi, 2017).
Social network e memoriali online: i nuovi cimiteri virtuali
I social network, come Facebook, Instagram, X, hanno introdotto la possibilità di trasformare il profilo di un utente in una pagina commemorativa. Tale opzione consente alla comunità dei follower, familiari e amici, di lasciare messaggi, rivivere ricordi e continuare a interagire con il defunto attraverso la sua memoria.
Questi spazi, però, sono caratterizzati da logiche aziendali: l’accesso, la visibilità e la durata delle commemorazioni stesse dipendono dalle regole stabilite da un’impresa privata e non secondo rituali condivisi e attualizzati dalla collettività. I memoriali online assurgono, quindi, al ruolo di luoghi virtuali del ricordo, svolgendo una funzione simile a quella dei cimiteri tradizionali, come spazio immateriale di preghiera e di memoria (Gibson, 2007).
La differenza fondamentale risiede nell’accessibilità: mentre i cimiteri richiedono una presenza fisica, i memoriali digitali sono immateriali, aperti in ogni momento e da qualsiasi parte del mondo, essi rappresentano un rituale collettivo, capace di rafforzare legami comunitari e di dare un nuovo senso alla perdita. Il dolore esteriorizzato, espresso pubblicamente, diventa condiviso, contribuendo a creare una narrazione comunitaria della morte (Walter et al., 2011). Tuttavia, la memoria digitale non è priva di conflitti.
Diverse cerchie sociali possono attribuire significati differenti al defunto, generando tensioni su come ricordarlo. Inoltre, la persistenza dei dati può entrare in contrasto con il desiderio di oblio o con la necessità di elaborazione e superamento del lutto.
La memoria digitale, a differenza di quella tradizionale, non ha un termine naturale: essa permane finché le piattaforme lo consentono, alimentando così una memoria potenzialmente eterna ma anche problematica e eterogestita (Kasket, 2012).
Identità algoritmica e immortalità digitale post-mortem
La sociologia ha da tempo sottolineato come l’identità sia una costruzione sociale, dinamica e relazionale (Goffman, 1959). Nella dimensione digitale, questa costruzione non termina con la morte biologica.
I profili restano attivi, i contenuti continuano a circolare, gli algoritmi li ripropongono agli utenti. In questo modo, il defunto rimane parte della vita sociale, sebbene in forma mutata. L’evoluzione delle tecnologie di intelligenza artificiale apre scenari ancora più radicali. Oggi è possibile creare chatbot o avatar digitali capaci di simulare la voce, lo stile comunicativo o le preferenze del defunto.
Queste forme di “immortalità algoritmica” pongono interrogativi profondi: si tratta ancora di identità o di semplici simulacri? La relazione con tali entità è un prolungamento del lutto o una negazione della sua necessità?
Il lutto pubblico: dall’intimità alla condivisione collettiva
Il lutto, tradizionalmente, era un processo privato, condiviso principalmente all’interno della famiglia o della comunità locale.
Con il digitale, esso diventa un’esperienza collettiva e pubblica. Post, commenti, fotografie e messaggi assumono il ruolo di rituali che scandiscono le tappe dell’elaborazione del dolore (Lingel, 2013). Il carattere permanente del digitale fa sì che il lutto non abbia più una durata definita.
Ogni anniversario, ogni ricordo riproposto dall’algoritmo, ogni visita al profilo commemorativo rinnova la memoria e prosegue il processo di rielaborazione. Questo prolungamento può essere di conforto, ma può anche impedire la chiusura del lutto, mantenendo la perdita sempre viva (Stokes, 2012).
Piattaforme private e capitalismo della memoria digitale
Un aspetto fondamentale della tanatologia digitale è il ruolo delle piattaforme private. Sono le aziende tecnologiche a stabilire le regole della commemorazione, decidendo chi può accedere ai dati e come questi debbano essere conservati. La memoria diventa così una risorsa gestita da soggetti economici, e non più esclusivamente un patrimonio comunitario (Öhman & Floridi, 2017).
Questa situazione solleva questioni politiche ed etiche rilevanti: fino a che punto è giusto che imprese private detengano il potere sulla memoria collettiva? Chi garantisce la dignità dei defunti e la libertà dei vivi? La tanatologia digitale, in questo senso, non è solo un tema culturale, ma anche un campo di battaglia della società contemporanea, in cui si intrecciano economia, politica e diritti fondamentali (Zuboff, 2019).
Trascendenza digitale tra promessa e minaccia
Le società tradizionali hanno sempre cercato di superare la morte attraverso la religione, i miti e le narrazioni collettive. Oggi, le tecnologie digitali sembrano proporre una nuova forma di trascendenza.
L’immortalità non è più legata all’anima o al ricordo familiare, ma alla permanenza dei dati e alla possibilità di interazioni post-mortem. Questa nuova trascendenza, tuttavia, solleva inquietudini: la presenza eterna dei dati rischia di cristallizzare il defunto in una memoria che non lascia spazio all’oblio, elemento essenziale per l’elaborazione della perdita (Etkind, 2013).
L’immortalità algoritmica diventa così al tempo stesso promessa e minaccia, conforto e ostacolo.
Verso un nuovo equilibrio tra memoria e oblio
La tanatologia digitale mostra come la morte, pur rimanendo un evento universale e ineluttabile, venga continuamente ridefinita dalle condizioni storiche, sociali e tecnologiche di una determinata comunità.
Nell’era della rete la morte non è più assenza, ma persistenza di tracce, dati, immagini e identità che continuano a interagire con i vivi. Tale processo implica una trasformazione dei processi di elaborazione del lutto, dei rituali e delle forme di comunità. Il digitale rende la memoria più accessibile e collettiva, ma anche meno trasparente, perché sottoposta alle logiche del mercato e alla permanenza forzata dei dati.
Il futuro della tanatologia digitale dipenderà dalla capacità di trovare un giusto equilibrio tra la possibilità dicotomica di mantenere viva la memoria e la necessità di rispettare il diritto all’oblio, che si pone tra l’apertura comunitaria e la tutela della dignità individuale. La morte, nella società digitale, non segna più soltanto la fine, ma definisce nuove forme di presenza che ci obbligano a ripensare radicalmente e a rinegoziare il rapporto tra vita, tecnologia e memoria.














