Il vero super potere di Sam Altman è uno: sa raccontare storie, che gli portano miliardi di finanziamenti a fondo (per ora) perduto.
L’ultima è la tanto decantata partnership con Jony Ive, mitico designer degli iPhone ai tempi di Steve Jobs, per il lancio di un altrettanto mitico, o forse sarebbe meglio dire mitologico, prodotto innovativo successore degli smartphone. Senza schermo, con tanta AI.
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Le favole di OpenAI
Ultimo episodio di tanti.
Il capo della famosa OpenAI (quella di Chatgpt) riuscito a convincere tutti che non solo un’allucinazione chiamata Intelligenza Artificiale Generale possa esistere, ma che sia necessario crearla per il bene dell’umanità, e che proprio lui, forte dell’aver lanciato il primo generatore di fuffa, sia a un passo dal crearla.
Con questa dote, Altman ha costruito il baraccone più finanziato della storia, OpenAI, e da tre anni viene adorato da media e investitori come se le storie che racconta fossero vere.
Lui, in cambio, continua a raccontarne di sempre più immaginifiche, e nessuno che gli chieda mai conto della differenza fra le sue favole e la realtà.
Ma adesso Sam Altman ha un problema. Dopo tre anni di finanziamenti a pioggia ora Altman ammette candidamente che non potrà avere profitti prima del 2029, e che per allora avrà bruciato altri 44 miliardi di dollari.
Ma sono 44 miliardi di dollari che Altman ancora non ha. Per arrivare al 2029, e con tutti quei soldi, occorre una storia nuova.
AI Generale e agenti
L’intelligenza artificiale generale, che farà di più e meglio di ogni essere umano in ogni campo, sostituendoci nel lavoro e facendoci vivere tutti in paradiso di abbondanza, è storia dell’altro ieri, e non si può tirare fuori di continuo prima che magari qualcuno cominci a controllare le date per le quali era stata promessa, e non solo da Altman.
I famosi “agenti intelligenti”, la storia di ieri, non dovevano sostituirci nel lavoro, ma affiancarci svolgendo al nostro posto i compiti più tediosi.
Peccato che realizzarli a partire dai modelli linguistici è un’idea talmente sconclusionata che non è sopravvissuta nemmeno alle prime demo.
Il gadget di Jony Ive con OpenAI
Occorre qualcosa di nuovo. Qualcosa che cambi completamente, di nuovo, il fuoco dell’attenzione e che magari abbia una qualche possibilità di funzionare, così da poter servire come base per puntellare le altre, di storie.
Quindi, fine del lavoro no, assistenti intelligenti sul lavoro no, si potrebbe magari smettere di parlare di un mondo senza o con meno lavoro e contare sul fatto che il pubblico continui ad avere l’intervallo di attenzione di un pesce rosso.
Ci vorrebbe un gadget. Qualcosa di tangibile, che parli di futuro, ovviamente del futuro che ha in testa Altman, che faccia figo e non impegni, uno status symbol che tutti vogliano avere.
Ci vorrebbe Steve Jobs. Piccolo problema: è morto.
Però è ancora in giro il suo product designer di fiducia, Jony Ive.
Chi meglio dell’uomo che ha venduto come rivoluzionarie dieci generazioni di telefoni tutte assolutamente identiche può realizzare la visione del nuovo raccontafavole supremo?
Detto fatto, l’annuncio: OpenAI acquista per 6,5 miliardi di dollari la startup io, fondata l’anno scorso da Jony Ive e un gruppo di ex Apple. OpenAI e io collaboreranno per la realizzazione di un “AI companion” che Altman vuole vendere in 100 milioni di esemplari. Questo aumenterà il valore di openAI di altri mille miliardi di dollari.
Fin qui la narrazione.
Perché OpenAI-Jon Ive è una storia poco convincente
Vediamo una versione un po’ meno immaginifica e un po’ più fattuale:
– un’azienda (openAI) senza alcuna competenza di sviluppo hardware
– acquista una startup (io di Ive) senza alcuna storia, prodotto o proprietà intellettuale
– pagandola in “azioni” che non esistono, cioè sostanzialmente in partecipazioni ai profitti futuri
– per produrre un misterioso device che dovrà essere lanciato a fine 2026.
E questo senza dimenticare che ,OpenAI ha un’indebitamento di decine di miliardi di dollari, che non ha mai generato profitti, non ne genererà almeno fino al 2029 per ammissione dello stesso Altman, e per arrivare al 2029 avrà bisogno almeno 44 miliardi di dollari che non ha,
Non è finita. io è stata fondata un anno fa. Ma Altman ci dice che i contatti fra le due aziende vanno avanti da almeno due anni, e che negli ultimi diciotto mesi sono stati portati avanti dal Vice President of Product di openAI, Peter Welinder.
Quanto al misterioso oggetto, secondo Altman sarà, e cito:
“pienamente consapevole della vita dell’utente e di ciò che lo circonda, sarà discreto, potrà stare in tasca o sulla scrivania e sarà il terzo dispositivo fondamentale che una persona mette sulla propria scrivania dopo un MacBook Pro e un iPhone”.
Guarda che strano, questo nuovo prodotto è talmente rivoluzionario da sembrare identico al AI Pin o al Rabbit R1, due tentativi di sostituire lo smartphone con un device a intelligenza artificiale.
Il primo è stato un flop completo, il secondo vivacchia ancora dopo un anno dal lancio e i suoi casi d’uso sembrano essere, vediamo, ah sì, chiamare Uber e prenotare DoorDash senza usare lo smartphone.
Questa della fusione fra fisico e digitale è una storia che continuano a riproporci ma, alla prova dei fatti, nessuno vuole davvero vivere in un mondo dove chiunque incontri ha addosso telecamera e microfono. Ne abbiamo già abbastanza delle telecamere di sorveglianza per mettercene anche una addosso.
Hanno provato con i Google Glass (e ora Google ci vuole riprovare, come si vede nell’I/O di maggio), con i Rayban di META, e alla fine sono cose che vanno bene all’influencer di turno per la durata di una campagna.
Forse la cosa che più si avvicina a un successo è Alexa di Amazon, ma sospetto fortemente che sia solo perché serve a poche cose precise e soprattutto perché se ne resta a casa quando esci.
Ciononostante, ora Altman ha deciso che è il suo turno di provarci, a metterci addosso telecamera e microfono per essere connessi ai suoi servizi ventiquattr’ore al giorno.
Io sotto sotto spero quasi che il prodotto lo sviluppino davvero, e che venga ricevuto come furono ricevuti a suo tempo i Google Glass, con la gente che te li strappava di dosso e i bar che mettevano i cartelli “qui si entra solo senza Google glass”.
Io ho forti dubbi che da questo annuncio uscirà qualcosa di tangibile.
Produrre hardware non è una cosa che si improvvisa, openAI non ne sa niente e se Ive è un famoso designer, fra un design e un prodotto c’è un abisso.
Vedremo. Altman non è nuovo a sparate acchiappatitoli e ad annunci di cifre da fantascienza.
OpenAI a caccia di soldi
Non più tardi di un anno fa, Altman era quello che andava cercando 5 mila miliardi di dollari per poter produrre negli USA abbastanza microchip per le sue IA.
A gennaio ha annunciato un round di finanziamenti da 40 miliardi di dollari, che ha portato la valutazione di openAI a oltre trecento miliardi di dollari.
Trecento miliardi di dollari per… cosa?
OpenAI non ha un prodotto, non ha profitti, non ha casi d’uso realistici, non ha un mercato di riferimento.
Non solo, OpenAI è in pratica l’IA, perché tutti gli altri, Google, Amazon, Microsoft, perfino META, arrancano e cercano visibilmente di contenere le perdite di investimenti miliardari.
Solo Altman persiste nel vendere le sue storie. Sam Altman, l’uomo che ha risposto alla domanda “e sticazzi?” dando al mondo chatGPT.
E Amodei, certo, Amodei di Anthropic, che è uscito da OpenAI perché Altman non credeva abbastanza che la IA avrebbe cercato di sterminarci.
Rileggo queste frasi e non riesco a credere che sto parlando di fatti reali.
Quando questa bolla scoppierà, tremo al pensiero di cosa potranno lo shock di fronte alla banalità della realtà, il disprezzo per i venditori di fumo e l’odio per i creduloni e i sicofanti che si sono prestati al loro gioco.
Che gli dèi ci assistano.