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Professione creator, come funziona: gioie e dolori

Sui social media i creator fanno intrattenimento e informazione. Ecco quali opportunità offre la professione e quali difficoltà i creator devono superare, per monetizzare la propria popolarità sulle piattaforme digitali

Pubblicato il 03 Feb 2022

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info

Professione creator: fra visibilità social e problematiche nel monetizzare il proprio lavoro sulle piattaforme digitali

Sui social media tutti i creator di Instagram, TikTok, Facebook e YouTube hanno un obiettivo: fidelizzare i follower, aumentarli e migliorare l’engagement. 

Ma il mondo rutilante, apparentemente patinato, ricco di opportunità dei creator non è una strada in discesa verso la popolarità, bensì un percorso complesso, faticoso e costellato di difficoltà e problematiche sempre in agguato. Il duro lavoro è l’altra faccia del magico mondo dei creator.

“Non si può più improvvisare”, commenta Vincenzo Cosenza, Chief Marketing Officer di Boozole, ex Microsoft Italia e BlogMeter, autore del Blog Vincos.it, “se si sceglie il lavoro del creator come professione stabile, bisogna avere una serie di skill che spaziano dalla propria passione, da mettere al centro dei propri contenuti (per esempio la passione per il disegno), alle competenze necessarie che servono per essere presenti su ogni social, dove ogni social media ha le sue specificità, e per venire a patti con l’algoritmo, intercettandolo e rendendosi il più possibile visibili”. Essere attenti alle novità e curiosi, ma sempre professionali sono caratteristiche cruciali per affrontare questa professione, ma le problematiche non mancano, soprattutto per ricavare un guadagno e così poter vivere del proprio lavoro. Ne abbiamo parlato con gli esperti del settore.

Chi sono i creator social

Un filo rosso unisce il nostro comico preferito su Instagram, l’esperto di foraging che seguiamo su TikTok (che ci spinge ad andare sulle orme delle nonne alla ricerca di erbe spontanee e gratuite dai sapori insoliti) e i video di controfigure e stuntman per le serie di “stunt tales” su YouTube. Sono tutti creator sui social e su Internet.

I creator sono appassionati e professionisti che sui social media e YouTube realizzano contenuti digitali per intrattenere e informare follower e utenti, cercando di invogliarli a condividere post e video, a mettere Like, grazie a forme di engagement sempre più coinvolgenti e interattive.

“La caratteristica che unisce tutti i creator è la costanza”, continua Vincenzo Cosenza: “Le piattaforme premiano i contenuti che vengono aggiornati con costanza e in maniera continuativa, quindi, oggi il creator deve rinunciare a produrre un contenuto perfetto, preciso, ma fatto una volta tanto, per puntare su contenuti continuativi, anche se meno perfetti2.

“Altro aspetto importante”, prosegue l’esperto, “è studiare la specificità, la grammatica delle singole piattaforme: come funziona un social media, quali contenuti privilegia, senza però diventare ossessionati dal cercare di capire tutti i meccanismi, per riuscire a offrire visibilità ai propri contenuti, perché al centro deve rimanere la passione e la voglia di condividere i contenuti con il proprio pubblico, evitando di cadere nella trappola di creare contenuti di bassa lega solo perché “piacciono” all’algoritmo e quindi diventare schiavi dei click e dei Like”.

La scelta delle piattaforme

“Ogni social media richiede le sue skill. TikTok e Instagram richiedono competenze diverse e particolari: il primo pretende una capacità di performance superiore, una capacità, rara, di stare in video e al contempo di creare contenuti brevi, utilizzare gli effetti di montaggio, le transizioni“, sottolinea Cosenza.

“Invece Instagram”, prosegue, “ha sempre privilegiato la foto statica, anche molto patinata e ricca di dettagli, ma ora sta inseguendo le estetiche di TikTok. Negli ultimi anni, tutte le piattaforme tendono ad assomigliarsi in termini di formati”.

Come si diventa creator

I professionisti del digitale stanno sperimentando la promessa (o l’illusione?) di Internet di abilitare ogni utente della rete a diventare creator, in grado di trarre guadagni dalla creator economy.

I creator divertono. E la loro presenza sui social si pone a cavallo fra l’intrattenimento digitale e l’attività degli influencer, capaci cioè di influenzare i consumatori su ciò che propongono o sui brand che pubblicizzano, sulla musica da ascoltare, in grado di intercettare le nuove tendenze social, di coinvolgere i propri follower con un engagement sempre più profondo, tanto che sono i follower ad andare a cercare i nuovi post degli influencer (o i nuovi video degli youtuber preferiti sui loro canali) quando essi non appaiono nella timeline della bacheca o nelle ricerche online.

La passione è la prima molla per diventare creator sui social media. Ma è un lavoro? Certamente sì, e il talento non basta.

“Il lavoro dei creator e degli influencer è appunto un lavoro. Una professione di costante attenzione anche ai cambiamenti degli algoritmi”, commenta Andrea Lamperti, Direttore dell’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano: “Il 50% del lavoro è purtroppo influenzato dall’algoritmo che cambia le logiche con cui i contenuti possono emergere oppure no. C’è dunque un lavoro da svolgere sui contenuti digitali, sull’audience di riferimento, sull’engagement costante, anche per cercare di ridurre l’impatto che un’eventuale modifica dell’algoritmo possa avere sulla visibilità”.

Le competenze dei creator

Sottolinea Lamperti: “I creator e gli youtuber devono riuscire ad instaurare un buon rapporto con i follower, in modo da trasformare gli utenti in fan che vanno a cercare i nuovi post dei creator anche a dispetto delle modifiche apportate agli algoritmi. Il lavoro dei creator digitali sui social è anche conoscere l’algoritmo, riconoscerne i cambiamenti al volo, adattarsi subito alle novità introdotte dalle piattaforme e adeguare anche la sua creatività al social e alla community in cui opera”.

“Un esempio”, conclude Lamperti: “Instagram è nato per mostrare fotografie, immagini e colori, ma dall’introduzione delle Stories è cambiata l’impostazione del social network, e da allora ha aperto le porte ai creator dei video e all’interattività con i sondaggi, in cui il professionista deve misurarsi non solo con il lato creativo, manche con le capacità di adattamento per soddisfare la community di riferimento e le richieste del proprio ecosistema”.

Monetizzare la professionalità dei creator

Ma proprio per ciò che fanno, i creator, i professionisti di Internet con cui condividiamo le stesse passioni, rappresentano una sorta di cartina di tornasole per stabilire ciò che funziona e cosa no nell’economia digitale.

Sempre più creator non si accontentano più della visibilità acquisita grazie agli algoritmi dei social media e vorrebbero sedersi al tavolo delle trattative, per trovare un accordo e aggiudicarsi una fetta della torta dell’advertising digitale che aumenta i fatturati delle piattaforme e delle Big Tech.

La maggior parte dei cybernavigatori lavorano gratis online. Tuttavia non esisterebbero Facebook, Instagram, TikTok, YouTube, Snapchat o Reddit senza i post, i meme, i video e i gruppi di appassionati che i cybernauti creano volontariamente, per passatempo, hobby o per lavoro.

Alcuni creator sono riusciti a monetizzare la propria popolarità social, vendendo merchandise, facendosi pagare dai propri fan e firmando cospicui accordi pubblicitari con i brand. Ma non tutti i creator entrano nella star economy. Eppure chi posta online vorrebbe poter partecipare ai meccanismi di revunue-sharing e ottenere dalle piattaforme social la condivisione di una parte dei loro guadagni.

Le piattaforme stanno iniziando finalmente a remunerare i creator”, commenta Mafe de Baggis, professionista del settore comunicazione, a cui si rivolgono creator e influencer, “e questo è un segnale di grande forza per i creator. Secondo me, i digital creator non sono sfruttati dalle piattaforme, anche se ne sono dipendenti e rischiano sempre di essere bloccati, ma questa ricerca di un modo per offrire una remunerazione diretta ai creator sui social è un segno di forza e dimostra ancora una volta che è una professione seria”.

Come guadagnano i creator

“I social network rappresentano i principali luoghi digitali in cui i brand coinvolgono e ingaggiano i creator in due diverse tipologie di comunicazione”, spiega Andrea Lamperti degli Osservatori Digitali: “Il primo modo è il più classico: quello in cui l’azienda o il marchio acquista spazi advertising, post sponsorizzati, banner, e chiede al creator di usare la sua creatività, basata sull’interattività e sull’engagement, per riempire questi spazi; la seconda modalità consiste in un coinvolgimento in campagne da influencer, con molta più libertà di azione, ideazione, storytelling, in cui il creator può sprigionare la propria creatività per generare engagement, passa-parola e che non si ferma negli spazi pubblicitari a pagamento, ma entra nei profili delle aziende”.

Ma le difficoltà non mancano. Infatti “da tempo”, continua Lamperti, “i social media, da Facebook in giù, permettono sempre meno ciò che si definisce la visione organica dei post. E questa logica andrà ad intensificarsi: se anni fa un utente postava un contenuto sul suo profili, tutto gli amici tendenzialmente riuscivano a vederlo, senza necessità di fare sponsorizzazione; col passare del tempo, la diffusione dei contenuti personali si è ridotta, un po’ per il sovraffollamento, un po’ per i cambiamenti dell’algoritmo non solo di Facebook. Significa che se uno non paga, non emerge dalla massa. Vale sui profili personali, ma allo stesso modo per le aziende”.

Come sono emersi gli influencer

“Anche per questa dinamica, sono riusciti ad emergere alcuni influencer, posizionandosi meglio delle aziende all’alba di questi fenomeni, e dunque sono diventati personaggi di riferimento che i loro fan vanno a cercare. Le persone seguono creator e influencer sulle loro bacheche, e non si fermano alla timeline. Inoltre, la base di follower ampia di creator e influencer, fa sì che siano più seguiti dei brand (che magari non vendono oggetti particolarmente iconici, dunque faticano maggiormente dei creator e degli influencer a raccogliere follower).

I creator del mondo social possono costruire una campagna di comunicazione perché hanno audience che li seguono, nonostante le modifiche degli algoritmi. E, ricordiamoci, che non ci sono solo gli influencer dai grandi numeri, ma i creator possono raccogliere cluster di follower di varie dimensioni (nano, micro, fino alle celebrity) e soprattutto avere audience molto specifiche e di nicchia oppure generaliste e mainstream: ciò li rende appetibili ai brand e alle aziende, a seconda delle campagne mirate che devono condurre sui social, perché anche un nano influencer è più vicino a soddisfare un dato bisogno”, conclude Lamperti.

Quanto guadagnano gli influencer

Secondo le stime di DeRev e HopperHQ, nano o micro influencer (che oscillano fra i 5mila e i 50mila follower) possono guadagnare da 50 a 500 euro a post. I mega influencer o le celebrity, invece, salgono a cifre che sfiorano i 15mila fino ai 60mila euro, anche se Chiara Ferragni, con oltre 26 milioni di follower, si posiziona oltre la soglia dei 200mila euro, pari ad oltre 16mila euro al mese.

Le soglie per accedere ai guadagni sono: almeno 2000 follower e almeno 300 utenti abbiano visualizzato l’ultimo video.

Secondo inchieste giornalistiche, chi vanta 100mila follower, guadagna da zero a 500 euro a post e con oltre 500mila follower, da 500 a 5mila euro per ciascun post.

I modelli per guadagnare:

  • Influencer marketing: guadagnare su Instagram attraverso post sponsorizzati e collaboration;
  • affiliate marketing: la possibilità di raccomandare prodotti e servizi alla platea dei propri follower, in cambio di una commissione sull’acquisto.

Il ruolo delle piattaforme digitali

  • Dal 2007, Google vende pubblicità su YouTube e ha condiviso con gli youtuber, che abbiano superato un livello di popolarità, più di metà del suo fatturato proveniente dall’advertising online. Quando YouTube aumenta i ricavi, anche i video maker guadagnano di più.
  • Altre Big Tech, fra cui spiccano Meta (il colosso di Facebook) e il colosso dello streaming Twitch, sono molto meno generose di YouTube nel retribuire i video maker con le entrate dell’advertising.
  • Tiktok e Instagram stanno inoltre sperimentando da qualche giorno abbonamenti che i creator possono proporre ai propri utenti, così come i superfollow di Twitter.

Retribuire sistematicamente i propri creator digitali rimane comunque al momento una delle peculiarità di YouTube. Hank Green è un creator molto popolare sia su YouTube che su TikTok: ha girato un video per confrontare quanto guadagna da YouTube (bene) e quanto da ricava da TikTok (non altrettanto bene).

Infatti, TikTok ha creato un fondo per retribuire i creator, ma questo fondo ha un enorme difetto: è un fondo a cifra fissa, in cui la condivisione del denaro avviene secondo una formula considerata complessa e farraginosa.

Anche se TikTok guadagna di più, i creator della piattaforma non ricevono più denaro. E, anzi più cresce la popolarità di nuovi TikToker, più la fetta dei ricavi si assottiglia, dal momento che la torta complessiva non si allarga.

Dunque, i creator si chiedono perché le piattaforme social non adottino il modello di YouTube e se non sia l’ora di condividere una maggiore percentuale delle entrate advertising, dal momento che i brand investono in pubblicità, anche grazie alla popolarità dei creator e alla frequenza con cui i follower seguono ogni loro post sui social.

La campagna acquisti delle piattaforme

L’aumento dei creator”, spiega Vincenzo Cosenza, “che riescono a raccogliere molti follower intorno a sé e non vedono l’ora di monetizzare la propria popolarità sta scatenando la competizione fra le diverse piattaforme che non vedono l’ora di accaparrarsi i digital creator più talentuosi e popolari: c’è una vera e propria campagna acquisti da parte di chi cerca di strappare, per esempio, uno youtuber dalla piattaforma di Google e portarlo su Twitch. La campagna acquisti avviene offrendo nuovi strumenti ed opportunità di monetizzazione dei contenuti per attirare i migliori creator sulla propria piattaforma, e fidelizzarli”.

Un rapporto più salutare e meno squilibrato fra creator e piattaforme porterebbe a realizzare un ecosistema più resiliente per tutti, secondo il New York Times. Un lavoro che riceve una giusta remunerazione migliora la vita di tutti, a partire dai creator messi nelle condizioni di lavorare al meglio sapendo di poter contare sui giusti guadagni.

Condividere i guadagni non è solo questione di fair play e correttezza professionale, ma anche una spinta ai video maker a fare il salto dall’hobby al professionismo, dalla passione al lavoro, migliorando l’ecosistema complessivo dell’economia digitale.

Il modello di revenue-sharing di YouTube

YouTube, dal momento che inserisce l’advertising proprio sui video più visualizzati, può spartire i ricavi con i suoi creator. Inoltre questo approccio lo rende una piattaforma di video condivisione dove la competizione funziona e crea un circolo virtuoso.

Non tutti i creator però vorrebbero che le piattaforme social abbracciassero l’approccio di YouTube: per chi fa i video più visualizzati, sarebbe la strada giusta per guadagnare in maniera stabile e avere vite più sostenibili; altri invece preferiscono il modello del fondo di TikTok oppure il modello Twitch che offre ai suoi utenti l’opportunità di guadagnare dallo streaming video delle Live.

Il modello di TikTok e Twitch

Finora Instagram e TikTok non usano l’advertising alla maniera di YouTube, ed è questo il motivo per cui non adottano il modello di revenue-sharing di YouTube.

Il fondo per i creator su TikTok ha per esempio sollevato polemiche“, spiega Cosenza: “un fondo cospicuo, ma è fisso, cioè non varia a seconda del numero dei creator. Di conseguenza, questo fondo ha fatto storcere il naso ai creator che hanno visto scendere i propri guadagni mentre avrebbero preferito il meccanismo più meritocratico di revenue-sharing, per suddividere il guadagno fra piattaforme e creator (il 55% va al creator e il 45% a YouTube)”.

Il problema di TikTok è che non può ancora inserire advertising dentro i video, perché sono video ancora troppo brevi; dunque, in attesa di aumentare la durata dei video, TikTok prevede di distribuire soldi ai creator, attingendo a questo fondo fisso, mentre i creator sono in competizione per ottenere maggiori visualizzazioni e la distribuzione delle quote dal fondo sta penalizzando quelli più bravi che potrebbero essere tentati dall’abbandonare TikTok per altre piattaforme e sentirsi finalmente remunerati in base alle proprie capacità”, conclude Cosenza.

L’ecosistema di Apple

I creator che vogliono guadagnare dal proprio lavoro cercano la propria strada per costruirsi un modo di guadagnare dall’economia digitale, ma ad unirli è l’irritazione contro Apple.

Anche i grandi sviluppatori di app ritengono che sia troppo alta la percentuale che Apple trattiene per gli acquisti nelle applicazioni dal suo Apple Store: il 30% su ciascuna spesa, sia per gli acquisti in-app che per un servizio di dating (motivo per cui tanti siti famosi non creano la loro app).

Non solo lo sviluppatore di app, ma anche uno youtuber paga questa quota ad Apple: basta che un utente clicchi dall’app di YouTube per diventare membro di un canale di YouTube per 5 dollari al mese, e l’azienda guidata dal Ceo Tim Cook trattiene il 30%, oltre a quanto già guadagna YouTube.

Il canale che mette un abbonamento a pagamento, chiede 5 dollari ai suoi fan, ma guadagna appena 2,45 dollari: infatti 1,50 dollari vanno ad Apple, 1,05 a YouTube. Lo youtuber ottiene dunque un guadagno dimezzato, senza contare le tasse da pagare.

I creator e le problematiche dell’economia digitale

Ma Apple, quale ruolo svolge? Senza dubbio è vero che gli utenti di Apple iPhone mostrano maggiore propensione all’acquisto degli utenti Android, anche perché i possessori di device iOS hanno più fiducia nell’usare la carta di credito su iPhone per motivi di cybersecurity e attenzione alla privacy, ma forse ciò non giustifica la quota del 30% che Apple trattiene per ogni acquisto su App Store. La percentuale, secondo i creator, è eccessiva.

La vita dei creator è già molto difficile: non solo si spartiscono i loro guadagni le piattaforme che li ospitano (Facebook, YouTube, Twitter), ma poi si aggiunge anche Apple che ospita a sua volta le piattaforme su App Store. A quel punto, il reddito dei creator si assottiglia fino a dimezzarsi, e anche di più, una volta calcolati gli oneri fiscali.

Apple risponde ai detrattori che non trattiene nessuna quota quando i fan pagano i creator via browser, ma deve calcolare un costo per mantenere la sicurezza di Apple Store . Il suo ecosistema invoglia gli utenti a fare shopping, in un negozio virtuale sicuro e in genere affidabile.

Tuttavia, le giustificazioni di Apple non aiutano a placare la tensione fra creator e la Big Tech. Fanhouse, un servizio che consente di abbonarsi ai video dei creator, sta combattendo una battaglia da oltre un anno contro Apple per abbassare le tariffe dei creator. Il risultato è che Apple ha minacciato di rimuovere Fanhouse dall’App Store.

Creando l’App store, Apple ha aperto le porte all’economia digitale, ma adesso deve aiutare i creator a poter vivere dei loro guadagni e non limitarsi a sopravvivere.

L’indissolubile legame fra creator e piattaforme

Sono i creator a decretare il successo di una piattaforma social, perché sanno girare i video più seguiti, si impegnano a postare con regolarità, sanno cavalcare l’onda anche quando gli algoritmi vengono modificati e così via. Stare sui social e guadagnare popolarità è un lavoro, ma proprio per questo motivo crescono le rivendicazioni “salariali”.

Tutte le aziende Internet ammettono che i creator sono cruciali per mantenere alto il livello dell’entertainment sulle piattaforme e dunque la fidelizzazione degli utenti a una piattaforma rispetto ad un’altra. Quando Chiara Ferragni è arrivata dalla blogosfera su Facebook e poi su Instagram si è portata dietro il suo ampio seguito di follower (ed hater), e i suoi follower crescono di mese in mese.

La popolarità delle piattaforme dipende dal successo dei creator e viceversa. Ma, proprio per via di questo indissolubile legame, le piattaforme vogliono trovare il modo per semplificare il business dei creator: facilitare il modo di pagare i creator e influencer o a aiutare i loro fan ad acquistare i loro prodotti o servizi.

Del resto, il Ceo di Facebook ha dichiarato a fine ottobre, presentando la trimestrale: “I Reels sono incredibilmente divertenti e penso che ci sia un enorme potenziale davanti. Ci aspettiamo che il segmento continui a crescere e sono ottimista sul fatto che diventeranno importanti per i nostri prodotti al pari delle Storie”. Per i video maker è un’ottima notizia, ma ora devono poterne trarre un guadagno.

Il nodo dell’advertising digitale

Le piattaforme guadagnano soprattutto dalla pubblicità. Secondo Green è giunto il momento per i creator di fare squadra insieme per spingere le piattaforme digitali a condividere direttamente i guadagni dell’advertising con i professionisti dell’economia digitale che mantengono le piattaforme vive, popolari, frequentate e ricche di condivisioni. Sono i creator che arricchiscono gli “scaffali digitali” dell’economia immateriale, dunque meritano un compenso per il loro lavoro.

La dura vita dei creator, fra opportunità e delusioni

Ma il problema della giusta remunerazione non è l’unica difficoltà che incontrano i creator. “Le difficoltà dei creator” vanno guardate anche scendendo nei dettagli, afferma de Baggis: “Ci sono le normali difficoltà di iniziare un’attività e avere successo, farsi seguire o almeno di monetizzare la popolarità e guadagnare. Difficoltà da non scambiare con la cattiveria altrui. Ecco, infatti, non bisogna trovare scuse se non si ha successo con gli strumenti di comunicazione digitale, in cui si è creata l’illusione che basti saper usare uno strumento, utilizzarlo in modo regolare per ottenere automaticamente soldi e successo, senza aver fatto fatica, aver sofferto… Che siano influencer o che siano digital creator, sono tutte persone che si sono impegnate tantissimo”.

“Chi ha provato a postare contenuti con regolarità”, continua de Baggis, “scopre che si tratta di un lavoro, e di un lavoro spesso faticoso. Facciamo l’esempio dei travel blogger e dei travel influencer: andare gratis in posti da favola, visto da fuori sembra facile, ma per contratto il creator deve girare un tot di video e scattare un tot di foto, occuparsi della presenza della connessione anche in luoghi remoti del globo, magari in divario digitale, e della qualità di ciò che si posta: ecco, il travel blogger non fa una vacanza, ma svolge una professione complessa. A volte si è delusi che non ci sia il successo facile”.

Non c’è un automatismo fra creator e monetizzazione, il pensare il contrario fa male ai piccoli, ma anche ai professionisti per cui i digital creator e influencer sui social sono fornitori a tutti gli effetti: sono persone con cui lavoro e le rare volte in cui qualcuno ha barato acquistando follower o non ha fatto ciò per cui era pagato, si sono viste le conseguenze. La professionalità è fondamentale, sia per chi inizia che per chi lo fa e deve seguire le richieste.
Prendiamo la figura professionale degli influencer: ci sono gli influencer della moda, dei libri e del food, e sono lavori ambiti e ben pagati, ma, appunto, sono professioni a tutti gli effetti”, conclude de Baggis.

Conclusioni

Gli utenti che creano contenuti digitali su YouTube, TikTok, Instagram e le altre piattaforme iniziano a chiedere ai follower un supporto economico per continuare a lavorare.

Pagando, i fan potrebbero accedere agli Extra: chat con le personalità che gli utenti seguono di più, newsletter eccetera. “Buone vibrazioni” in cambio del supporto economico al lavoro di chi i follower seguono e amano.

Ognuno cerca la propria strada per guadagnare, come abbiamo visto, i modelli di remunerazione sono molteplici. Secondo Li Jin, investitore in aziende di creator, il miglior modo per contribuire a un’economia digitale prospera non consiste nel redistribuire i ricavi, ma nell’affrancare i creator dal potere assoluto delle Big Tech. Apple erode una fetta troppo grande dei potenziali profitti dei creator: il guadagno di Apple dagli acquisti in-app è eccessivo e c’è una filiera troppo lunga di bocche da sfamare, ma che alla fine pesa sulla sostenibilità della creator economy.

Ma oggi il potere delle piattaforme è immenso, anche perché sulle piattaforme ci saranno sempre persone che lavoreranno gratis, anche solo in cambio della visibilità o per puro divertimento personale.

Tuttavia, i creator hanno il diritto di guadagnare e ottenere la giusta remunerazione. Ormai è giunto il momento di rimettere in discussione le norme non scritte di Internet e di capire come mantenere l’ecosistema dell’economia digitale, anche per chi del suo hobby ha fatto una professione. Le piattaforme sono chiamate a imboccare la strada giusta per rendere l’economia digitale sostenibile per tutti, dai creator alle piattaforme fino alle Big Tech.

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PA digitale 2026, come gestire i fondi PNRR in 5 fasi: ecco la proposta
ANALISI
Value-based healthcare: le esperienze in Italia e il ruolo del PNRR
Strategie
Accordi per l’innovazione, per le imprese altri 250 milioni
Strategie
PNRR, opportunità e sfide per le smart city
Strategie
Brevetti, il Mise mette sul piatto 8,5 milioni
Strategie
PNRR e opere pubbliche, la grande sfida per i Comuni e perché bisogna pensare digitale
Formazione
Trasferimento tecnologico, il Mise mette sul piatto 7,5 milioni
Strategie
PSN e Strategia Cloud Italia: a che punto siamo e come supportare la PA in questo percorso
Dispersione idrica
Siccità: AI e analisi dei dati possono ridurre gli sprechi d’acqua. Ecco gli interventi necessari
PNRR
Cloud, firmato il contratto per l’avvio di lavori del Polo strategico
Formazione
Competenze digitali, stanziati 48 milioni per gli Istituti tecnologici superiori
Iniziative
Digitalizzazione delle reti idriche: oltre 600 milioni per 21 progetti
Competenze e competitività
PNRR, così i fondi UE possono rilanciare la ricerca e l’Università
Finanziamenti
PNRR, si sbloccano i fondi per l’agrisolare
Sanità post-pandemica
PNRR, Missione Salute: a che punto siamo e cosa resta da fare
Strategie
Sovranità e autonomia tecnologica nazionale: come avviare un processo virtuoso e sostenibile
La relazione
Pnrr e PA digitale, l’alert della Corte dei conti su execution e capacità di spesa
L'editoriale
Elezioni 2022, la sfida digitale ai margini del dibattito politico
Strategie
Digitale, il monito di I-Com: “Senza riforme Pnrr inefficace”
Transizione digitale
Pnrr: arrivano 321 milioni per cloud dei Comuni, spazio e mobilità innovativa
L'analisi I-COM
Il PNRR alla prova delle elezioni: come usare bene le risorse e centrare gli obiettivi digitali
Cineca
Quantum computing, una svolta per la ricerca: lo scenario europeo e i progetti in corso
L'indice europeo
Desi, l’Italia scala due posizioni grazie a fibra e 5G. Ma è (ancora) allarme competenze
L'approfondimento
PNRR 2, ecco tutte le misure per cittadini e imprese: portale sommerso, codice crisi d’impresa e sismabonus, cosa cambia
Servizi digitali
PNRR e trasformazione digitale: ecco gli investimenti e le riforme previste per la digitalizzazione della PA
Legal health
Lo spazio europeo dei dati sanitari: come circoleranno le informazioni sulla salute nell’Unione Europea
Servizi digitali
PNRR e PA digitale: non dimentichiamo la dematerializzazione
Digital Healthcare transformation
La trasformazione digitale degli ospedali
Governance digitale
PA digitale, è la volta buona? Così misure e risorse del PNRR possono fare la differenza
Servizi digitali
Comuni e digitale, come usare il PNRR senza sbagliare
La survey
Pnrr e digitale accoppiata vincente per il 70% delle pmi italiane
Missione salute
Fascicolo Sanitario Elettronico alla prova del PNRR: limiti, rischi e opportunità
Servizi pubblici
PNRR: come diventeranno i siti dei comuni italiani grazie alle nuove risorse
Skill gap
PNRR, la banda ultra larga crea 20.000 nuovi posti di lavoro
Il Piano
Spazio, Colao fa il punto sul Pnrr: i progetti verso la milestone 2023
FORUMPA2022
PNRR e trasformazione digitale: rivedi i Talk di FORUM PA 2022 in collaborazione con le aziende partner
I contratti
Avio, 340 milioni dal Pnrr per i nuovi propulsori a metano
Next Generation EU
PNRR, a che punto siamo e cosa possono aspettarsi le aziende private
Fondi
Operativo il nuovo portale del MISE con tutti i finanziamenti per le imprese
Servizi comunali
Il PNRR occasione unica per i Comuni digitali: strumenti e risorse per enti e cittadini
Healthcare data platform
PNRR dalla teoria alla pratica: tecnologie e soluzioni per l’innovazione in Sanità
Skill
Competenze digitali, partono le Reti di facilitazione
Gli obiettivi
Scuola 4.0, PNRR ultima chance: ecco come cambierà il sistema formativo
Sistema Paese
PNRR 2, è il turno della space economy
FORUM PA 2022
FORUM PA 2022: la maturità digitale dei comuni italiani rispetto al PNRR
Analisi
PNRR: dalla Ricerca all’impresa, una sfida da cogliere insieme
Innovazione
Pnrr, il Dipartimento per la Trasformazione digitale si riorganizza
FORUM PA 2022
PA verde e sostenibile: il ruolo di PNRR, PNIEC, energy management e green public procurement
Analisi
PNRR, Comuni e digitalizzazione: tutto su fondi e opportunità, in meno di 3 minuti. Guarda il video!
Rapporti
Competenze digitali e servizi automatizzati pilastri del piano Inps
Analisi
Attuazione del PNRR: il dialogo necessario tra istituzioni e società civile. Rivedi lo Scenario di FORUM PA 2022
Progetti
Pnrr, fondi per il Politecnico di Torino. Fra i progetti anche IS4Aerospace
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PNRR, Colao fa il punto sulla transizione digitale dell’Italia: «In linea con tutte le scadenze»
La Svolta
Ict, Istat “riclassifica” i professionisti. Via anche al catalogo dati sul Pnrr
Analisi
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Ecosistema territoriale sostenibile: l’Emilia Romagna tra FESR e PNRR
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Innovazione, il Mise “centra” gli obiettivi Pnrr: attivati 17,5 miliardi
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PNRR: raggiunti gli obiettivi per il primo semestre 2022. Il punto e qualche riflessione
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PNRR: dal dialogo tra PA e società civile passa il corretto monitoraggio dei risultati, tra collaborazione e identità dei luoghi
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PNRR e servizi pubblici digitali: sfide e opportunità per Comuni e Città metropolitane
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Water management in Italia: verso una transizione “smart” e “circular” 
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Industria 4.0: solo un’impresa su tre pronta a salire sul treno Pnrr

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