La biorobotica rappresenta oggi il ponte tra l’ingegneria robotica e le scienze della vita, un campo rivoluzionario che va ben oltre le visioni fantascientifiche per offrire soluzioni concrete alle sfide dell’umanità. Attraverso lo studio e l’imitazione dei sistemi biologici, questa disciplina sviluppa tecnologie che non sostituiscono l’uomo, ma lo supportano e potenziano, dall’assistenza medica alla tutela ambientale.
L’opinione pubblica della quarta rivoluzione industriale teme che i robot possano sostituire le persone. Ma mentre l’intelligenza artificiale è sempre più mainstream e sembra invadere qualunque nostra percezione sulla tecnologia, io credo che l’intelligenza debba andare alla fisicità delle macchine, e che queste possano essere concretamente di supporto e aiuto alle esigenze dell’umanità e dell’ambiente.
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Origine e significato della biorobotica
L’ambizione di realizzare creature artificiali intelligenti simili a ciò che è umano, gli “umanoidi”, appartiene in qualche modo al confine tra scienza e fantascienza che, se da una parte ha arricchito il nostro immaginario e la creatività di artisti, registi e scrittori e scrittrici, dall’altra ha stimolato le sfide dell’ingegneria e della ricerca consentendo il passaggio dalle tecno-utopie al post-umano che tanto “post” non è più: i robot sono già tra noi, nella nostra vita quotidiana, compagni alleati tra specie umana e macchine intelligenti per affrontare insieme le grandi sfide della conoscenza, della dignità e della difesa del pianeta, del supporto alla vita delle persone. Non a caso coniammo il termine “biorobotica”, dove il prefisso “bio” rappresenta la necessaria attenzione a questi aspetti.
La nascita e l’affermazione della biorobotica
Quando iniziammo a parlare di biorobotica, circa quarant’anni fa, sembrava un concetto quasi visionario. Oggi invece è diventata una scienza pienamente affermata, capace di incidere profondamente sulla nostra vita, sulle tecnologie che utilizziamo, sulla salute e sulla comprensione stessa del funzionamento del corpo umano. Personalmente ho avuto l’onore e la fortuna di contribuire alla nascita di questa disciplina, convinto sin da subito che la robotica potesse e dovesse diventare non solo una tecnologia applicata all’industria, ma un campo scientifico in grado di dialogare con la biologia, la medicina, le neuroscienze, l’ambiente.
Nei primi anni Ottanta provammo ad applicare la robotica alla soluzione delle esigenze di salute delle persone: a quel tempo, parlare di robot applicati al corpo umano suscitava diffidenza, a volte persino ironia. Eppure, nel 1989 contribuimmo a organizzare uno dei primi convegni internazionali dedicati al tema. Era una scommessa culturale e scientifica. La fondazione dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna ha rappresentato il coronamento di un percorso iniziato con pochi allievi, oggi più di 300 tra ricercatori, docenti e colleghi. Oggi l’Istituto è riconosciuto a livello mondiale come uno dei centri d’eccellenza nel settore ed una delle più grandi scuole di dottorato al mondo.
Gli approcci della biorobotica: bio-ispirazione e bio-applicazione
All’inizio, persino usare la parola biorobotica era considerato eccessivo. Ma io ero e resto convinto che servisse una massa critica di scienziati/e ed ingegneri/e per esplorare un territorio nuovo, in cui biologia e ingegneria potessero convergere. Abbiamo sviluppato la distinzione tra bio-ispirazione, ovvero osservare la natura per imitarla, e bio-applicazione, cioè usare la robotica per risolvere problemi concreti in medicina e riabilitazione.
Con la biorobotica abbiamo progressivamente dato concretezza a concetti che sembravano destinati alla fantascienza: la chirurgia robotica, le protesi intelligenti, i robot collaborativi capaci di condividere spazi e compiti con l’uomo. Oggi è normale parlare di robot in sala operatoria. Ma negli anni Ottanta solo ipotizzarlo appariva folle. Eppure, siamo riusciti a trasformare quel sogno in realtà, sviluppando successivamente altri ambiti, fino al punto in cui la robotica ha iniziato a uscire dalle fabbriche e ad affiancare l’essere umano in compiti sempre più raffinati e delicati.
Biorobotica e intelligenza artificiale: l’importanza della fisicità
In questo processo, anche l’intelligenza artificiale ha giocato un ruolo importante, ma non sempre determinante. Abbiamo assistito a fasi alterne di entusiasmo e disillusione: le reti neurali, la mancanza di dati, i limiti computazionali. Oggi, grazie alla diffusione di smartphone e sensori, l’AI ha conosciuto una nuova stagione. Tuttavia, la vera sfida rimane la fisicità, la capacità di replicare la grazia di un gatto, l’equilibrio del corpo umano, l’armonia del gesto.
Le applicazioni della biorobotica per l’umanità e l’ambiente
La nostra ricerca guarda in due direzioni: capire come funziona il mondo vivente – animali, piante, esseri umani – e progettare soluzioni tecnologiche per affrontare problemi concreti. Dalla riabilitazione alle disabilità, dalla chirurgia alla cura dell’ambiente.
Sì, perché la biorobotica si occupa anche di aiutare il nostro pianeta, con macchine che intervengono in ambienti inquinati, che monitorano la biodiversità, che migliorano l’efficienza energetica. È una visione olistica, che parte dalla vita per restituirle vita.
Un robot è prima di tutto un corpo che agisce nel mondo reale. È lì che si gioca la sua utilità e la sua efficacia. Per questo continuo a pensare che non basti un software intelligente: serve una meccanica intelligente, un corpo ben progettato, una comprensione profonda della biomeccanica e della fisiologia. In questo senso, ho sempre creduto nell’importanza del dialogo tra robotica e neuroscienze, come nel progetto Neurobotics, uno dei primi tentativi di integrazione profonda tra queste due discipline.
Non a caso oggi si parla di robotica collaborativa, e l’Europa – l’Italia in primis – ha dato un contributo determinante in questo campo. I robot che immaginiamo per il futuro non dovranno necessariamente parlare come esseri umani, ma dovranno sapere aiutare, fisicamente, nei gesti quotidiani, nella cura, nell’assistenza. Saranno “compagni di strada”, silenziosi e discreti, ma sempre più presenti.
Le sfide future della biorobotica
Il futuro della biorobotica si giocherà dunque su molte sfide, ma una è più decisiva delle altre, quella da cui partii tanti anni fa: capire meglio il corpo umano per progettare macchine che non lo sostituiscano, ma lo completino. Da qui derivano nuove esigenze ingegneristiche: materiali più leggeri, più efficienti, più sostenibili. Serve un pensiero che unisca scienza fisica e sensibilità umanistica. Non si tratta solo di realizzare nuove tecnologie, ma di farlo in modo etico e consapevole.
Il riferimento a “virtute e canoscenza” del XXVI Canto dell’Inferno – che cita Ulisse – mi accompagna da sempre. Rappresenta la sintesi tra sapere e valore, tra spinta alla scoperta e senso di responsabilità. La biorobotica deve essere questo: una scienza che fa bene, che innova senza dimenticare il bene comune.
La biorobotica nel prossimo futuro
Guardando al futuro, non vedo rivoluzioni improvvise, ma un’evoluzione profonda. Le conoscenze si stanno integrando, le competenze si fondono. I giovani, oggi, sono la linfa della robotica mondiale, e la loro presenza massiccia ai congressi internazionali è un segnale fortissimo. Stiamo andando verso un mondo in cui la coabitazione tra umani e robot sarà una realtà. Dalle auto autonome ai droni, dai robot subacquei a quelli domestici, le applicazioni robotiche saranno ovunque e con chiunque.
Nessuno aveva immaginato davvero l’impatto di Internet o dell’iPhone. Le vere rivoluzioni, quelle che cambiano tutto, sono imprevedibili. Ma una cosa l’ho imparata e la insegno: le rivoluzioni sono più spesso figlie della scienza che della tecnologia. Sono le scoperte fondamentali che aprono strade mai viste prima.
La biorobotica per migliorare la vita quotidiana
Penso che i prossimi salti arriveranno dalla biologia, dalla fisica, dai nuovi materiali. E saranno questi a renderci capaci di costruire robot migliori, davvero compagni.
Il mio sogno continua a essere quello dei robot personali, che ci affianchino nella vita quotidiana. Non più intelligenti di noi, ma capaci di parlare come Dante o Shakespeare. Devono essere forti, affidabili, silenziosi, come un bravo maggiordomo inglese. Che pulisce il bagno, rifà il letto, mette in ordine. Non devono minacciare o emozionare, devono aiutare.
Questa è la mia idea di robotica: un campo che nasce dallo stupore, cresce nella conoscenza, e si realizza nell’utilità per l’uomo e per il mondo.
Non sarà la fantascienza a guidarci, ma una scienza concreta, rigorosa e appassionata, nata dallo studio della natura e mossa dalla volontà di migliorare la condizione umana.