Nella società sempre più connessa, anche il concetto stesso di “presenza” viene semantizzato: ciò che dovrebbe facilitare il dialogo finisce spesso per ostacolarlo.
Ma in che modo la tecnologia digitale ha trasformato la grammatica delle relazioni intergenerazionali, creando un apparente distanza tra giovani e adulti che nasconde un isolamento trasversale più profondo?
Attraverso l’analisi dei comportamenti comunicativi e dell’impatto psico-emotivo dell’iperconnessione, indaghiamo le nuove forme di dipendenza da dispositivo, le dinamiche dell’ascolto, la frattura tra realtà e rappresentazione sociale. In un ecosistema dominato dalla mediazione degli schermi, il silenzio assume una nuova funzione: non più vuoto da temere, ma spazio da ricostruire con consapevolezza.
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La dipendenza da smartphone come barriera relazionale
Si parla spesso delle difficoltà comunicative tra giovani e adulti, come se fossero inevitabili effetti collaterali del passaggio generazionale. Parole, codici, comportamenti che sembrano segnare un solco sempre più profondo rispetto al passato. Ai cosiddetti “figli dell’internet” si rimprovera spesso l’iperconnessione, la distrazione e l’incapacità di sostenere un dialogo ma raramente ci si chiede se l’interlocutore più anziano sia in grado — o disposto — a prestare ascolto.
Nel panorama attuale, predisporsi all’ascolto significa riconoscere che le modalità di comunicazione si snodino in vocabolari differenti in base alla persona. I mezzi che utilizziamo — dalle chat ai social — non sono dei tramiti neutri e vengono sfruttati svariatamente. In questo gap comunicativo, ciò che manca è il riconoscimento dell’ambiente digitale come motore di un profondo mutamento nella grammatica relazionale. Questa modifica altera inevitabilmente il significato di “presenza” influendo aggressivamente sulle caratteristiche del confronto dal vivo.
Identità, social media e smartphone: una relazione formativa
La maggioranza della popolazione, i Millennials (Gen Y), non si limitano a “usare” i social media: vi abitano. Per loro, la comunicazione online è parte integrante della costruzione dell’identità, delle relazioni sociali e persino dell’autoregolazione emotiva. Le piattaforme digitali diventano spazi di interazione, partecipazione e affiliazione, in cui la distinzione tra pubblico e privato, tra sé e rete, si fa sempre più sfumata. Inoltre, la varietà di utilizzo — dal “contributing” (pubblicare contenuti) al semplice “lurking” (osservare senza interagire) — è influenzata da fattori ambientali (cultura, contesto socioeconomico) e individuali (emozioni, norme sociali) che portano inevitabilmente ad una realtà fluida e dinamica, che mal si presta ai giudizi statici di chi osserva da fuori[1].
L’uso funzionale dello smartphone nelle generazioni adulte
Dall’altro lato, la Generazione X e i Baby Boomer hanno vissuto nel corso degli ultimi anni un avvicinamento progressivo alla dimensione digitale, ma con modalità e finalità differenti rispetto ai più giovani. I dati raccolti da Ofcom nel report Adults’ Media Use and Attitudes mostrano un incremento significativo nell’adozione di smartphone, tablet e social media anche tra gli over 65. Negli ultimi anni, l’uso di questi dispositivi età avanzata è aumentato in modo significativo, così come l’accesso ai social media che è più che raddoppiato.
Tuttavia, il rapporto di queste generazioni con la tecnologia è rimasto per molto tempo strumentale: l’uso era focalizzato su attività pratiche come telefonare, consultare notizie, comunicare con familiari, o accedere a servizi pubblici, lasciando alla comunicazione digitale un’impronta funzionale e discreta, piuttosto che identitaria[2].
Con l’ingresso delle generazioni più adulte nel mondo virtuale, i servizi disponibili hanno subito interpretazioni differenti. Queste interpretazioni riflettono non solo un diverso grado di familiarità con la tecnologia, ma soprattutto il modo in cui essa è entrata nelle loro vite, influenzando abitudini, aspettative e modalità di interazione.
Imprinting tecnologico e significati simbolici della dipendenza
È in questo scenario che si parla di “technology generations”: non tanto gruppi definiti dall’età, quanto da quelle tecnologie che hanno accompagnato — e in parte modellato — i loro anni formativi. Il problema allora non risiede solo in una dimensione anagrafica, ma in un vero imprinting culturale e simbolico: chi ha attraversato l’adolescenza con la radio o la cornetta tenderà a mantenere un legame privilegiato con quei mezzi, anche in presenza di alternative più recenti. In altre parole, non cambiano solo gli strumenti a disposizione, ma il significato che ciascuna generazione attribuisce suo utilizzo[3] [4].
Cause emotive della dipendenza da smartphone
L’approccio dei senior alle tecnologie digitali non è dunque necessariamente arretrato, ma segnato da quella che viene definita una “saturazione mediale”: una condizione in cui la varietà e disponibilità di nuovi media non corrisponde a un aumento nel loro utilizzo, ma semmai a una stabilizzazione o persino a un declino.
La familiarità con media “invecchiati” precocemente (come le e-mail) ma surclassati da strumenti più rapidi (come le chat), dimostra che la velocità dell’innovazione superi la capacità di assorbimento di intere fasce d’età[5].
Il fatto che le generazioni precedenti abbiano un approccio differente non significa che siano esenti dal completo assorbimento nel mondo virtuale. Cambiano i gesti, gli strumenti e i tempi di connessione, ma non l’intensità dell’esperienza.
Mettendo a confronto il comportamento delle tre generazioni — X, Y e Z — è chiaro che la dipendenza da smartphone non è prerogativa esclusiva dei nativi digitali. Al contrario, la Generazione Y (Millennials) mostra il più alto livello di comportamento dipendente e la Generazione X, pur avendo sviluppato l’uso dello smartphone in età adulta, non ne è immune ma diversamente gli dedica un approccio emotivo più distaccato.
I due fattori predittivi della dipendenza, trasversali a tutte le generazioni, sono la pressione dell’ambiente sociale (cioè la tendenza a utilizzare il dispositivo perché “lo fanno tutti”) e il guadagno emotivo che comporta(il sollievo o piacere che si prova durante l’uso)[6]. Questo significa che la vera forza della dipendenza non risiede tanto nella tecnologia in sé, quanto nel modo in cui essa si intreccia con bisogni psicologici profondi: inclusione, conforto, appartenenza, evasione. Ci si ritrova quindi a colmare col dispositivo un vuoto non generato da lui. Lo schermo recita il ruolo di confine protettivo, una barriera silenziosa tra noi e l’altro, dietro cui si nasconde spesso solo un comune senso di imbarazzo nella fatica di reggere il confronto.
Ansia e solitudine: effetti della dipendenza da smartphone
Il comportamento tipico — scrollare, cliccare, controllare notifiche in maniera compulsiva — non nasce solo da cattive abitudini, ma soddisfa delle funzioni interiori. Lo smartphone diventa una protesi affettiva, un calmante portatile, che anestetizza le emozioni scomode, attivando con ogni notifica un riflesso automatico che si radica nella biologia dell’allerta. Questa continua stimolazione comporta conseguenze tangibili: aumento dell’ansia, solitudine (“phoneliness”) e depressione[6].
Questa realtà esula da tutti gli obiettivi con i quali era stata costruita, con lo scopo di renderci sempre raggiungibili ha contribuito a farci sentire più lontani.
La tecnologia ha ridefinito i confini dell’intimità, promettendo compagnia senza impegno, connessione senza esposizione. Eppure, più si comunica, più si rischia di non incontrarsi davvero. In questa nuova normalità, ci si scopre soli insieme, costantemente connessi ma affettivamente scollegati, immersi in una socialità frammentata che chiede meno autenticità e più presenza simulata.[7]
Ritrovare la comunicazione oltre lo schermo
La soluzione per arrivare ad essere presenti con l’altro implica superare insieme la barriera dello schermo. Bisognalasciare che le relazioni si svolgano attraverso la realtà e non in parallelo ad essa; ricentrare l’attenzione verso il momento e tornare ad occupare mentalmente gli spazi fisici del nostro corpo, dando con la propria voce una forma definita al silenzio caotico delle distanze.
Bibliografia
[1] Ruth N Bolton, A Parsu Parasuraman, Ankie Hoefnagels, and Nanne Migchels, “Understanding Gen Y and their use of social media: A review and research agenda,” J. Serv. Manag., vol. 24, pp. 245–67, Jun. 2013, doi: 10.1108/09564231311326987.
[2] Ofcom, “Adults’ media use and attitudes,” Apr. 2024.
[3] Maayan Zhitomirsky-Geffet and Maya Blau, “Cross-generational analysis of predictive factors of addictive behavior in smartphone usage,” Comput. Hum. Behav., vol. 64, pp. 682–693, 2016, doi: https://doi.org/10.1016/j.chb.2016.07.061.
[4] Eugène Loos and Loredana Ivan, “Not only people are getting old, the new media are too: Technology generations and the changes in new media use,” Media Soc., vol. 26, no. 6, pp. 3588–3613, 2024, https://doi.org/10.1177/14614448221101783 (Original work published 2024).
[5] Shaoxiong Fu, Hongxiu Li, Yong Liu, Henri Pirkka Linen, and Markus Salo, “Social media overload, exhaustion, and use discontinuance: Examining the effects of information overload, system feature overload, and social overload,” Inf. Process. Manag., vol. 57, no. 6, Nov. 2020, doi: 102307.
[6] Erik Peper and Richard Harvey, “Digital Addiction: Increased Loneliness, Anxiety, and Depression,” Int. Soc. Neurofeedback Res., vol. 5, pp. 3–8, doi: 10.15540/nr.5.1.3.
[7] Sherry Turkle, Alone Together. Basic Books.