Algoritmi e la loro presunta esattezza; taylorismo come principio politico e sociale; accrescimento dell’intelligenza artificiale e dell’integrazione dell’uomo nei sistemi tecnici – e delega della conoscenza (ma a un sapere standardizzato) alle macchine/i.a. – invece dell’accrescimento dell’intelligenza umana e della libertà cognitiva; una razionalità solo strumentale, calcolante e soprattutto industriale (tutto è industria e industrializzato, tutto è merce, uomo compreso).
E poi, democrazie in crisi, trionfo di autoritarismi, populismi, democrature. Su tutto l’ecocidio. Con Trump e non solo e i tanti neofascismi.
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La modernità impazzita e la perdita del senso del limite
Ma qual è la causa vera di questa nostra malata condizione umana? Capitalismo e tecnologia, certo, le oligarchie dell’hi-tech, ma la radice della malattia del mondo è in una modernità impazzita eppure diventata iper-modernità (nessuna post-modernità, dunque), che ha perso (in realtà non lo ha mai avuto) il senso del limite e della responsabilità, della moralità e della giustizia sociale e ambientale. La causa è cioè nei fondamenti ontologici, teleologici e teologici – nell’arché, nell’inizio (in realtà fatto di molti inizi e incessanti re-inizi, disruption compresa) – della modernità, in ciò che ne ha determinato la nascita (numeri, calcolo, individualismo egoista, positivismo, irresponsabilità per il lungo termine e la biosfera, eccetera) e che è diventata un potere archico, appunto una tecno-archía, strutturalmente in conflitto con libertà, democrazia e biosfera.
Sono questi alcuni dei temi del mio nuovo libro “Tecno-archía, o la Nave dei folli. La banalità digitale del male“, edito da DeriveApprodi, che appunto riprende i concetti dimenticati di arché e di archía, riportandoli di attualità. Non solo l’oligarchia o la tecnocrazia, quindi, ma ciò che ne sta a monte. Obiettivo del libro è cercare i modi per uscire dalla tecno-archía, dal suo totalitarismo in nome di una diversa modernità, di libertà e democrazia e di cura e responsabilità per la Terra. Di seguito, ne pubblichiamo alcuni estratti.
L‘iper-modernità come massima espressione del potere archico
L’era della tecno-archía– e dei suoi tecno-oligarchi– sembra essere iniziata il 20 gennaio 2025 [con l’insediamento di Trump], ma è il nome che qui diamo alla modernità/iper-modernità come combinazione di rivoluzione scientifica e industriale; di capitalismo e di sistema tecnico; di positivismo e pragmatismo; di complesso militare-industriale-scientifico; di illibertà mascherata da libertà; di ingiustizia e disuguaglianza come scelta politica; di finzioni di democrazia e di governo reale del mondo da parte invece di imprenditori e capitalisti; di ecocidio compulsivo; di razionalità strumentale/calcolante-industriale che ha prodotto l’eclisse della ragione(richiamando Max Horkheimer). Nome – tecno-archía– che nasce analizzando la sua ontologia, teleologia, teologia (infra), le forme e i modi del suo potere, la sua nichilistica banalità del malee banalità dell’ecocidio. Per sostenere quindi che non vi è nessuna crisi della modernità, ma modernità alla sua massima potenza– l’iper-modernità digitale – che è, ma come era già nelle sue premesse e nella sua storia trisecolare, potere archico. Che va urgentemente destituito. In nome di libertà, democrazia e biosfera.
Ma per destituirlo va prima appunto riconosciuto come potere archico e totalitario. […] Perché il sistema del capitalee il sistema tecnico, non sono anarchici– lo sono solo in apparenza – ma archici e totalitari. […] E se lo spettro del comunismo non esiste più, esiste invece un altro spettro– e lo scriveva Erich Fromm nel 1968: “Uno spettro si aggira fra noi ma solo pochi lo vedono con chiarezza. […]. È qualcosa di nuovo: una società completamente meccanizzata, che ha per scopo la massima produzione materiale e il massimo consumo e che è diretta dai calcolatori. […] Condizionati da una credenza tradizionale, che risale al XIX secolo, secondo la quale la macchina aiuterà l’uomo a sopportare il suo fardello e continuerà a essere un mezzo e non un fine, essi non intuiscono il pericolo che, concedendo alla tecnologia di seguire la sua stessa logica[quella che noi chiamiamo razionalità strumentale/calcolante-industriale, l’ontologia/teleologia/teologia della modernità], questa si svilupperà come un cancro che alla fine minaccerà il sistema strutturato della vita individuale e di quella sociale” e di quella ambientale.
L’epistéme della modernità e l’impossibilità della rivoluzione
[…] E anche per le sinistre dirsi anti-capitaliste e dire rivoluzione è ormai impossibile, avendo da tempo, in realtà dall’inizio della loro storia, introiettato l’epistéme della modernità – epistéme nel suo significato di conoscenza certa e indiscutibile e innegabile delle cause e degli effetti del divenire, una verità che si stabilisce im-ponendosi al di sopra di ogni possibilità di dubbio e di critica (Emanuele Severino) [oggi gli algoritmi e l’i.a. incarnano questa epistéme, ma tutto nasce dal feticismo moderno per il calcolo e per la presunta razionalità della tecnica e dell’industria]. Escludendo capitalismo e neoliberali, che negano la crisi climatica e sociale perché riconoscerla significherebbe ammettere la propria irrazionalità, il proprio nichilismo anche ecocida, neppure le sinistre e il sindacato e le classi per frammenti [infra, il taylorismo]che compongono oggi la forza-lavoro della società-fabbrica vedono che la contraddizione non è solo tra capitale-capitalismo-tecnica da un lato e lavoro dall’altro – da qui magari cercando ancora un compromesso socialdemocratico – ma tra capitale-capitalismo-tecnica e vita umana-vita della biosfera, sì che le due parti sono appunto in opposizione/conflitto ontologico. E quindi nessun compromessoo riformismo, neppure radicale è più possibile [anche se qualcuno immagina una transizione digitale per avere la transizione ecologica, una evidente contraddizione in termini la prima essendo energivora ed ecocida per sua essenza, oltre che archica e totalitaria (con la digitalizzazione delle masse) all’ennesima potenza], sarebbe solo un imbroglio politico, ontologico, antropologico – richiamando Dario Paccino che scriveva di imbroglio ecologico.Contraddizione che può essere risolta – anticipiamo la conclusione– solo eliminando il primo termine, cioè la tecno-arché/archía. Solo modoper poi immaginare e costruire un progresso diverso e non ecocida. Ma nessuno oggi si dice anti-capitalista. […]
La Nave dei folli: follia collettiva e adattamento al potere archico
E invece di indignarsi e di opporsi, tutti o quasi si adattano a tutto ciò che impone il potere archico (la sua ontologia/teleologia del sempre di più), in una sorta di follia collettiva, e così realizzando una disumana Nave dei folli (riprendendo l’immagine dall’opera del 1494 del pittore fiammingo Hieronymus Bosch), una Nave alla deriva, senza vele e timone, che naviga portando con sé un carico di umanità impazzita e insaziabile. Nave archica, Nave della follia archica quella della modernità; che però, a differenza della Nave di Bosch ha invece un timone ben fermo e vele spiegate chiamate profitto e sfruttamento di uomini e biosfera.
[…] Per non morire di tecno-archía e dell’ecocidio che produce, dunque occorre diventare anti-archici e poi an-archici– ma in un senso diverso da quello classico. E an-archici e cioè demo-cratici [solo una vera democrazia può essere anti-archica/anti-totalitaria] nel senso, per noi, di imparare a vivere laicamente, liberamente ma consapevolmente e responsabilmente senza un’arché sovra-ordinante/im-posta [ieri religiosa, poi politica, oggi tecnica e capitalistica].
Decolonizzazione dall’arché e la gabbia epistemica
Per questo occorre però prima de-colonizzarsi dalla tri-secolare colonizzazione ontologica/ teleologica e teologicadel mondo e degli uomini da parte dell’arché/archía; occorre cioè abbandonare/rottamare il suo modo di organizzazione, comando e controllo della vita, la sua incessante pedagogia/paidéia e la sua epistéme irrazionale,che hannoprodotto appunto – è human engineering archico, individuale e collettivo– l’ontologia(il sensounidimensionale del dover vivere) e la teleologia (il fine unico dellasocietà tecnologica/capitalistica) di un essere umano non più sociale ma industriale-industrializzato e oggi digitale/digitalizzato, producendo insieme una socialità/socializzazione/sussunzione con le e nelle macchine, l’unica ammessa dal sistema archico perché funzionale al buon funzionamento della società-fabbrica e all’accrescimento illimitato di sé come potere archico.
Perché se i modi soggettividi conoscere e di interpretare sono solo quelli prodotti/ingegnerizzati dall’arché (da tecnica e capitalismo), si entra in un circolo vizioso di riproducibilità infinita dell’egemonia dell’arché che impedisce la conoscenza e lo spirito critico. Perché se il soggetto umano è sempre più sussunto nell’arché/ archía [nella sua epistéme, nel suo sistema chiuso di pensiero sempre riprodotto dalla sua pedagogia/paidéia – calcolo, calcolo e solo calcolo, utilità e produttività e niente altro – questo insegna la pedagogia archica], è evidenteche non vi può essere conoscenza né coscienza critica dell’arché (così come se non si esce da se stessi, non si può comprendere se stessi).
Arché/archía della modernità divenuta il soggetto unico e sovrano [a monte, sopra e dentro tutti i governi] che governa e governamentalizza e dà l’interpretazione del mondo, dettandone l’agenda. Chiudendo uomini e società nella sua gabbia epistemica [cfr. Max Weber]. […] Secondo quella religione delle forze produttive che accomuna capitalismo e marxismo e “in nome della quale, generazioni di imprenditori hanno schiacciato lemasse lavoratrici senza il minimo rimorso, [e che] costituisce un fattore d’oppressione anche all’interno del movimento socialista e anche il socialismo mette gli uomini al servizio del progresso della produzione” (Simone Weil).
Taylorismo sociale e frammentazione della classe operaia
[…] E il taylorismo è diventato taylorismo sociale e politico e poi esistenziale. È il vecchio principio del divide et impera? Sì, ma solo in parte (“Il primo obiettivo del capitalismo è quello di mantenere divisa la classe operaia nelle sue lotte” – Quaderni rossi 2, 1963),perché nell’essenza dell’organizzazione tecnica e capitalistica, dopo la divisione/atomizzazione (primo movimento), vi è non solo l’impera dell’arché, ma soprattutto (secondo movimento, il più importante per l’arché/tecno-archía) la sussunzione/totalizzazione, cioè l’integrazione di tutti e di ciascuno nel capitalismo e nel sistema tecnico.
Perché appunto: prima dividere/suddividere per poi meglio e più facilmente integrare/sussumere ciascuno nell’organizzazione, sotto il comando e con la sorveglianza incessante del potere tecno-archico, nella fabbrica fisica come poi, quando la tecnologia lo ha permesso, nella società-fabbrica e nel capitalismo delle piattaforme e della sorveglianza (Zuboff). […]
E come aveva scritto Günther Anders, “[…] il taylorismo, che in origine era stato soltanto una forma specifica e particolarmente vantaggiosa di lavoro industriale, ora è diventato il principio della storia (Anders 2003 II). Di più, il suo principio politico. […] Divide et impera che certo non è morto, checontinua a produrre i suoi effetti di frammentazione anche sociale [dalla lotta di classe ai frammenti autoreferenziali di lotta] perchéi frammenti poi si combattano tra di loro invece di combattere ilpotere archico, garantendo in altro modo la continuazione del potere dell’arché/tecno-archía, la riproducibilità illimitata e crescente e sempre piùcondivisa della rivoluzione permanente del capitale e della tecnica (“l’obiettivo della classe capitalisticaè di ottenere la più completa disponibilità della forza lavoro,in tutti i suoi aspetti. Il raggiungimento di questo obiettivo è indispensabileal tempo stesso per aumentare continuamente la produttivitàe per rafforzare il proprio potere, che di questo aumentoha continuamente bisogno” (Quaderni rossi 3) – oggi grazie anche o soprattutto all’intelligenza artificiale, lo ha ammesso lo stesso Sam Altman.
Il trionfo globale della tecno-archía
[…] Nessuna de-globalizzazione, dunque, neppure nella guerra dei dazi trumpiana. Nessuna sconfitta dell’Occidente; nessuna crisi del capitalismo e del neoliberalismo, ma il trionfo globale e imperiale/totalitario (l’egemonia) dell’arché/tecno-archía. Perché “l’espansione della megamacchina – il suo regno, la sua potenza, la sua gloria” non è solo “la fissazione ossessiva dell’uomo occidentale” (Mumford 2011) ma è nell’essenza dell’arché/tecno-archía, che ormai accomuna Occidente, Cina, India, Brasile e Brics. E del capitalismo come, ieri, dei marxismi e della loro ideologia dello sviluppo delle forze produttive.
Destituire la tecno-archía per una società libera e responsabile
[…] Certo, riprendendo Marcuse, è difficile immaginare come spezzare il circolo vizioso della falsa verità/epistéme della tecno-archía. Sapendo che se ieri il capitale (la tecno-archía) non poteva fare a meno di produrre la classe operaia di cui necessitava – e che, nella tesi appunto di Marx era destinata a rovesciarne il dominio, creando le premesse per una società senza classi – oggi sulla scena è entrata una nuova classe dominante, la classe delle macchine, che si contrappone agli uomini e alla società (la tecnica non essendo più e da tempo un mezzo, ma il fine di se stessa) come la borghesia si contrapponeva al proletariato.
Ma il circolo vizioso deve essere spezzato e deve essere destituita la tecno-archía. In nome di un pensiero e di una vera libertà cognitiva (di una diversa ontologia e teleologia) anti-archica, per costruire una società che non abbia più bisogno di arché e di poteri archici, ma possa essere libera, autonoma e responsabile verso uomini e biosfera.











