È ormai noto che le valute virtuali intese come rappresentazioni digitali di valore, utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento, che possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente, e vengono create da soggetti privati che operano sul web, nonostante costituiscano opportunità dal punto di vista finanziario ed economico, possano prestarsi a essere utilizzate per transazioni connesse ad attività criminali[1], nonché profili di interesse penale e processuale penale.
Nel prosieguo si esaminano pertanto alcune fattispecie penali particolarmente ricorrenti in ambito cripto-attività, nonché i reati connessi al Regolamento MiCA e i reati tributari.
Indice degli argomenti
Criptovalute e criminalità, lo scenario
La caratteristica apparente delle transazioni delle monete virtuali, quale ad esempio Bitcoin, è che le transazioni sono pubbliche, “validate” dalla rete, e consultabili da tutti sul grande “libro mastro” decentrato costituito dalla blockchain[2]. Tuttavia, la pubblicità non solo può essere offuscata con l’utilizzo di speciali software, ma soprattutto a questa non corrisponde una trasparenza sui soggetti che l’hanno compiuta, che infatti rimangono sostanzialmente anonimi, rectius pseudonimi.
Ciò ha creato e crea ancora oggi una difficoltà elevata nel risalire dalla chiave pubblica del wallet ad un’identità fisica. Si pensi, inoltre, alla rapidità con cui vengono effettuate le transazioni di cripto-valute e la mancanza di una fisicità della moneta virtuale, che nasce ed esiste nel cyberspazio, caratterizzato da dematerializzazione e delocalizzazione.
Criptovalute e riciclaggio di denaro
La fisionomia delle cripto-attività rende tali strumenti appetibili per essere utilizzati in schemi di riciclaggio o comunque nella facilitazione al riciclaggio. Nel riciclaggio l’interesse a far perdere le tracce del denaro è dovuto al fatto che, per questa via, se ne vuole impedire l’identificazione come provento di un precedente delitto. Ebbene, lo strumento principiale per trasferire denaro a grandi distanze non può che essere quello telematico e per evitare l’identificazione dei termini della transazione, l’uso delle monete virtuali si può prestare a tale scopo, con ciò agevolando condotte illecite.
Le criticità relative alla possibilità di garantire un alto grado di anonimato (sistema c.d. permissionless), senza previsione di alcun controllo sull’ingresso di nuovi “nodi” e sulla provenienza del denaro convertito, nonché l’uso di tecniche crittografiche avanzate che garantiscono un elevato livello di privacy della persona utente e dell’oggetto della compravendita è stato altresì evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità penale, in particolare con la sentenza n. 27023/2022[3].
La Corte di Cassazione, con la pronuncia citata, ha ritenuto integrati gli estremi della fattispecie di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter.1 c.p. in caso di acquisto di moneta virtuale (bitcoin) con il denaro provento delle truffe. Nella nozione di “attività speculativa”, rilevante ai fini della sussistenza del delitto di autoriciclaggio, invero, rientrano molteplici attività e, in particolare, tutte quelle in cui il soggetto ricerca il raggiungimento di un utile, anche assumendosi il rischio di considerevoli perdite. Pertanto, anche la moneta virtuale non può essere esclusa dall’ambito degli strumenti finanziari e speculativi ai fini di una corretta lettura dell’art. 648 ter.1 c.p.
Gli estremi del reato di autoriciclaggio sono stati ritenuti altresì sussistenti dalla Suprema Corte in un caso in cui non si trattava di acquisto diretto di bitcoin da parte dell’indagato con soldi provento del reato presupposto, ma di trasferimento tramite bonifici in Euro di somme di danaro a società estere successivamente incaricate di cambiare la valuta ricevuta (Euro) in bitcoin; transazioni che avvenivano anche attraverso prestanome intestatari fittizi di carte Postepay dalle quali erano effettuati i bonifici verso società estere (cfr. Cass. Pen., Sez. II, 25/01/2022, n. 2868).
La Corte di Cassazione con la sentenza da ultimo citata[4], ha pertanto evidenziato che siffatte operazioni – attraverso il trasferimento di valuta verso società estere che si interponevano nell’acquisto di criptovalute ed effettuate anche a mezzo di prestanome – ponevano un serio ostacolo alla identificazione dell’indagato, quale beneficiario finale delle transazioni ed effettivo titolare di bitcoin, acquistati non da lui ma dalle società estere che fungevano da “exchanger di criptovalute”[5].
Criptovalute e sequestro preventivo
Un’altra criticità individuata in relazione alle monete virtuali è la grande volatilità del valore[6]: il prezzo delle valute virtuali, o comunque il tasso a cui possono essere convertite in valute aventi corso legale, può infatti variare sensibilmente anche in poco tempo. Sotto il profilo penalistico, la volatilità del valore delle monete virtuali comporta una serie di difficoltà in punto di identificazione del quantum oggetto di sequestro preventivo, prodromico alla misura ablativa della confisca. Nell’ipotesi in cui il sequestro probatorio debba ricadere su un asset digitale rappresentato da valuta virtuale, sorgono invero alcuni interrogativi anche in merito al dato temporale cui fare riferimento per il valore dell’asset digitale stesso.
La Corte di Cassazione, sul punto, evidenzia che le criptovalute, quali i bitcoin, non possono essere considerate alla stregua di moneta avente corso legale nello Stato italiano ai fini del sequestro per equivalente, in quanto non emesse da una banca centrale o da un’autorità pubblica, prive di potere liberatorio nei pagamenti e soggette a continua fluttuazione di valore di mercato[7].
Abusivismo nelle operazioni in criptoasset dopo il Regolamento MiCA
In Italia, l’acquisto, l’utilizzo e l’accettazione in pagamento delle valute virtuali sono ritenute attività lecite, come precisato anche dalla Banca d’Italia nelle proprie linee guida[8]. Si potrebbero, tuttavia, comunque riscontrare dei profili di illiceità nelle attività di emissione di valuta virtuale, conversione di moneta legale in valute virtuali e viceversa e gestione dei relativi schemi operativi, tali da integrare la violazione di disposizioni normative, penalmente rilevanti, che riservano l’esercizio della relativa attività ai soli soggetti legittimati. Si pensi, in particolare, agli artt. 130 e 131 del T.U.B.[9] per l’attività bancaria e l’attività di raccolta del risparmio; art. 131 ter T.U.B. per la prestazione di servizi di pagamento; art. 166 T.U.F.[10], per la prestazione di servizi di investimento.
A proposito di tale ultima fattispecie, la giurisprudenza di legittimità ha precisato – con riferimento all’uso della moneta virtuale quale mezzo di scambio o strumento finanziario – che, ove la vendita di bitcoin venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, si ha una attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti del T.U.F., la cui omissione integra la sussistenza del reato di cui all’art. 166, comma I, lett.c) T.U.F.[11]. Nel caso di specie affrontato dalla Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 44378/2022, la valuta virtuale è stata considerata quale strumento di investimento giacché trattasi di un prodotto finanziario, per cui deve essere disciplinata con le norme di intermediazione finanziaria che garantiscono la tutela dell’investimento[12].
Di recente introduzione nell’ordinamento italiano in tema di “crypto-asset” è l’art. 30 del D.lgs. n. 129/2024, che ha previsto il reato di abusivismo legato proprio a operazioni di cripto-attività in chiave di presidio di tutela anticipata del buon funzionamento e dell’integrità dei mercati delle cripto-attività, come disciplinati in maniera organica col Regolamento MiCA[13]. L’art. 30, rubricato “Abusivismo”, punisce infatti con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da € 2.066 a € 10.329 chiunque:
- offre al pubblico token collegati ad attività ovvero ne chiede e ottiene l’ammissione alla negoziazione, in violazione dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) 2023/1114; b) presta servizi per le cripto-attività disciplinate dal regolamento (UE) 2023/1114, in violazione dell’articolo 59, paragrafo 1, lettera a), del medesimo regolamento;
- emette token di moneta elettronica in violazione della riserva di cui all’articolo 48, paragrafo 1, primo comma, lettera a), del regolamento (UE) 2023/1114;
- offre al pubblico token di moneta elettronica ovvero ne chiede e ottiene l’ammissione alla negoziazione in assenza del previo consenso scritto dell’emittente di cui all’articolo 48, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento (UE) 2023/1114.
L’interesse della legislazione e della giurisprudenza rispetto alle cripto-attività conferma in via mediata i rischi che si celano dietro le attività di trasferimento e di emissione delle cripto-valute e sarà di interesse l’evoluzione e l’interpretazione che verrà a delinearsi sui confini della nuova fattispecie penale di cui al Decreto Legislativo n. 129/2024 di recepimento in Italia del Regolamento MiCA.
Criptovalute e reati fiscali
L’emergere delle cripto-attività come strumenti di investimento e pagamento ha posto nuove sfide anche per i sistemi fiscali, soprattutto in tema di evasione e elusione. Si è già avuto modo di ricordare in precedenti contributi il caso emblematico della scoperta da parte della Guardia di Finanza, sotto la direzione della Procura di Ravenna, di un’evasione per circa 270 milioni di euro riconducibile a un trader di criptovalute che aveva omesso la compilazione del quadro RW per il monitoraggio fiscale, nonché la dichiarazione delle plusvalenze da trading.
Tale fattispecie mette bene in luce come omettere gli adempimenti in materia di criptovalute, o indicare valori difformi dalla realtà, può configurare ipotesi di reato tributario quali la dichiarazione infedele o l’omessa dichiarazione, a seconda dell’importo evaso e delle soglie di punibilità previste dal D.Lgs. 74/2000.
Questo trova conferma anche nella recente giurisprudenza della Cassazione, secondo cui il mancato inserimento in dichiarazione dei proventi in cripto ricevuti per opere digitali può costituire reato se i valori superano le soglie rilevanti.
Il caso giudiziario
Nella sentenza n. 8269/2025 la Corte di Cassazione[14], infatti, ha confermato la configurabilità del reato di dichiarazione infedele in relazione a redditi non dichiarati derivanti da attività in criptovalute. Il caso riguardava un artista digitale che, negli anni d’imposta 2021 e 2022, aveva omesso di dichiarare i proventi percepiti in Ethereum (ETH) per la cessione di NFT raffiguranti opere artistiche. Tali introiti, convertiti in euro, superavano la soglia di punibilità prevista dall’art. 4 del D.Lgs. 74/2000.
Il G.I.P. aveva disposto il sequestro preventivo delle somme corrispondenti, misura confermata in sede di riesame dal Tribunale. L’indagato aveva poi proposto ricorso per Cassazione, sostenendo l’inapplicabilità del reato ai proventi in valuta virtuale. La Suprema Corte ha però rigettato il ricorso, ribadendo che:
- i proventi in criptovalute costituiscono reddito imponibile ai sensi del TUIR;
- la loro omessa indicazione nella dichiarazione, quando il valore supera le soglie di punibilità, integra il reato di dichiarazione infedele;
- gli NFT non sono meri certificati digitali, ma strumenti che rappresentano diritti economici pienamente rilevanti dal punto di vista fiscale.
È chiaro quindi che alla luce di quanto indicato i soggetti operanti nell’ambito dei criptoasset (come appunto cripto-investitori, digital artist etc.), soprattutto se operano con importi elevati, debbano prestare particolare attenzione nel dichiarare correttamente i proventi derivanti dalle cripto-attività, specie perché oltre le soglie previste dalle norme penali-tributarie ciò può costituire reato, con tutte le conseguenze anche patrimoniali che ne derivano (come appunto il sequestro preventivo di cui alla sentenza da ultimo citata).
_ Note
[1] Avvertenze sull’utilizzo delle cosiddette valute virtuali, Roma, 31.1.2025, in www.bancaditalia.it.
[2] Blockchain, c.d. registro-distribuito, viene definito all’art. 3, comma 1, n. 2 del MiCAR, Regolamento (UE) 2023/1114 quale “un archivio di informazioni in cui sono registrate le operazioni e che è condiviso da una serie di nodi do rete DLT ed è sincronizzato tra di essi, mediante l’utilizzo di un meccanismo di consenso”.
[3] Cass. Pen., Sez. II, 13/07/2022, n. 27023, in One Legale Walters Kluwer.
[4] Cass. Pen., Sez. II, 25/01/20022, n. 2868, in One Legale Walters Kluwer.
[5] Cass. Pen., Sez. II, 26/10/2022, n. 44378, in One Legale Walters Kluwer, nel descrivere i soggetti che operano nell’ambito delle valute virtuali, rileva che per exchanger si intende il soggetto che gestisce le piattaforme exchange, intendendosi per exchange la piattaforma tecnologica che permette di scambiare questo prodotto finanziario, la cui funzione, quindi, è quella di poter permettere di effettuare l’acquisto e la vendita delle criptovalute e di realizzare un profitto.
Si noti peraltro che con la IV e la V Direttiva UE Antiriciclaggio, recepite rispettivamente con il D.Lgs. n. 90/2017 e con il D.Lgs. n. 125/2019, sono stati previsti specifici obblighi nei confronti dell’exchanger (cambiavalute di bitcoin et similia, definiti come ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da, ovvero in, valute aventi corso legale o in rappresentazioni digitali di valore, ivi comprese quelle convertibili in altre valute virtuali nonché i servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all’acquisizione, alla negoziazione o all’intermediazione nello scambio delle medesime valute, art. 1, comma 2, lett. ff, D.Lgs. n. 231/2007) e del wallet provider (gestori di portafogli virtuali, definiti come ogni persona fisica o giuridica che fornisce, a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali, art. 1, comma 2, lett. ff bis)), entrambi inseriti nella categoria “altri operatori non finanziari” (in tal senso Cass. Pen., Sez. III, Sent., 15/01/2025, n. 17609, in One Legale Walters Kluwer).
[6] Sul punto la Banca d’Italia ha precisato che: “Il valore delle valute virtuali è caratterizzato da una grande volatilità, anche a causa dei meccanismi di formazione dei prezzi (talora opachi) e dall’assenza di un’autorità centrale in grado di intervenire per stabilizzarne il valore. Tale circostanza può comportare perdite anche di rilevante entità in caso di detenzione di valuta virtuale.” (Cfr. Avvertenze sull’utilizzo delle cosiddette valute virtuali, Roma, 31.1.2025, in www.bancaditalia.it).
[7] In tema di sequestro preventivo si veda Cass. Pen., Sez. III, Sent., 15/01/2025, n. 17609, in One Legale Walters Kluwer, avente ad oggetto il sequestro probatorio riferito al delitto di cui all’art. 4 D.lgs. 74/2000.
[8] Avvertenze sull’utilizzo delle cosiddette valute virtuali, Roma, 31.1.2025, in www.bancaditalia.it.
[9] D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
[10] D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria.
[11] La disposizione di cui all’art. 166 comma 1, lett. c) del T.U.F. punisce chiunque “offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, prodotti finanziari o strumenti finanziari o servizi o attività di investimento”.
[12] Cass. Pen., Sez. II, 22/11/2022, n. 44378, in One Legale Walters Kluwer.
[13] Regolamento (UE) 2023/1114 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 31 maggio 2023.
[14] Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 15/10/2024, n. 8269, , in One Legale Walters Kluwer.