L’automazione cinese ha raggiunto livelli che stanno cambiando gli equilibri globali. Dalle fabbriche completamente robotizzate ai veicoli elettrici sviluppati in tempi record, la Cina è ormai leader nella robotica industriale e nella produttività manifatturiera. Mentre Pechino integra tecnologia, demografia e politica industriale in una strategia coerente, Europa e Stati Uniti faticano a reagire. Il vero rischio per l’Occidente non è l’automazione, ma l’immobilismo.
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Dalle visite in fabbrica alla consapevolezza di un sorpasso
Dopo aver visitato una serie di stabilimenti, Jim Farley, amministratore delegato di Ford è rimasto sorpreso dalle innovazioni integrate nei veicoli cinesi, dal software di guida autonoma al riconoscimento facciale e ha sottolineato come i produttori cinesi stiano ormai superando l’Occidente in termini di qualità, efficienza e rapidità di sviluppo, ponendo una sfida decisiva per il futuro stesso di Ford e dell’intera industria automobilistica americana. Non è il solo dirigente occidentale a essere tornato scosso. Andrew Forrest, fondatore del colosso minerario australiano Fortescue e oggi investitore nel settore dell’energia verde, racconta che i suoi viaggi in Cina lo hanno convinto ad abbandonare l’idea di produrre internamente i sistemi di propulsione per veicoli elettrici. In alcune fabbriche, le linee di produzione si estendono per centinaia di metri, con macchinari che emergono dal pavimento e assemblano in autonomia ogni componente fino al prodotto finale.
L’intero processo avviene senza presenza umana: tutto è completamente robotizzato. Questa trasformazione industriale ha pochi precedenti nella storia moderna. Greg Jackson, amministratore delegato del fornitore di energia britannico Octopus, racconta di aver visitato una “dark factory” dove si producevano quantità astronomiche di telefoni cellulari senza la presenza di operai, con un processo talmente automatizzato da richiedere soltanto qualche tecnico per il controllo del sistema.
La trasformazione tecnologica e il dominio dei robot
È un ribaltamento rispetto all’immagine del “Made in China” a basso costo. L’enorme volume di investimenti pubblici e privati ha spinto il Paese verso la leadership nelle tecnologie ad alta crescita e ad alto valore aggiunto: veicoli elettrici, batterie, pannelli solari, turbine eoliche, droni e robotica avanzata. Secondo la Federazione Internazionale della Robotica (IFR), il numero di robot industriali installati in Cina è passato da 189.000 nel 2014 a oltre due milioni nel 2024. Solo lo scorso anno il Paese ne ha aggiunti 295.000, contro i 27.000 della Germania, 34.000 degli Stati Uniti e appena 2.500 del Regno Unito.
Non si tratta solo di quantità, con 567 robot ogni 10.000 lavoratori manifatturieri, la Cina supera nettamente la Germania (449), gli Stati Uniti (307), l’Italia (237), il Regno Unito (104). Le fabbriche cinesi sono oggi popolate da bracci robotici per la saldatura e l’assemblaggio, robot “ragno” per operazioni ad alta velocità, e macchine a portale per la stampa 3D e altri compiti di precisione. L’automazione, fortemente incoraggiata dal governo centrale e sostenuta da sussidi e incentivi locali, è diventata un pilastro della politica industriale. Il programma “Made in China” offre agevolazioni fiscali che rimborsano fino a un quinto della spesa in robot industriali, con una filosofia sintetizzata nella formula jiqi huanren :”sostituire gli esseri umani con le macchine”.
Competitività e demografia: le due leve della strategia cinese
Per molti osservatori, la spinta all’automazione non ha solo finalità produttive ma anche strategiche. La logica è chiara, sostituire lavoro umano con robot non solo aumenta l’efficienza, ma protegge la capacità industriale di un Paese che invecchia rapidamente. In questo modo, la Cina si assicura una posizione dominante nelle filiere globali e una leva geopolitica crescente su settori critici, dai semiconduttori alle energie rinnovabili.
La minaccia per i produttori occidentali
Per l’industria occidentale, il nuovo scenario rappresenta una sfida esistenziale. Il segnale più evidente arriva dal mercato automobilistico. Nel Regno Unito, la cinese BYD ha moltiplicato per dieci le vendite nel 2025, superando marchi storici come Mini, Renault e Land Rover. A differenza delle vetture economiche e poco affidabili che un tempo venivano derise nei programmi televisivi, i nuovi modelli BYD sono oggi apprezzati per il rapporto qualità-prezzo e per gli interni curati.
Per Sander Tordoir, capo economista del Centre for European Reform, Europa e Regno Unito devono reagire investendo nella robotica e nella modernizzazione produttiva. Se la Cina è già molto avanti, andrebbe colmato il divario visto che anche gran parte dell’Europa sta invecchiando. Oltre all’efficienza economica, il tema riguarda la sicurezza. Il settore robotico è ad alto valore e ha importanti ricadute militari e strategiche, il dominio cinese non è solo una questione industriale, ma geopolitica.
L’Europa e il Regno Unito: troppa inerzia
Il Regno Unito, in particolare, mostra segnali preoccupanti. Con appena 104 robot ogni 10.000 lavoratori e un calo del 35% nelle nuove installazioni nel 2024, il Paese rischia di restare ancorato a un modello produttivo obsoleto.
Secondo Sander Tordoir, capo economista del Centre for European Reform, molti Paesi europei continuano a proteggere settori industriali in declino invece di favorire la nascita di nuove filiere ad alto contenuto tecnologico.
Rian Whitton, analista di Bismarck Analysis, sottolinea che gli incentivi fiscali alla ricerca non bastano e che sarebbe più efficace investire direttamente in robotica e attrezzature industriali. A suo giudizio, i Paesi che hanno automatizzato di più durante il primo “shock cinese” degli anni 2000 hanno mantenuto una quota maggiore di occupazione, mentre le perdite di posti di lavoro si concentrano proprio dove l’automazione non avanza.
Lo scenario: l’Occidente di fronte a un bivio
Lo scenario presenta un divario tecnologico e strategico che va ben oltre la robotica. La Cina non è più il produttore di massa a basso costo, ma una potenza tecnologica capace di coniugare automazione, politiche industriali e visione di lungo periodo. L’Occidente, diviso tra protezionismo e lentezza decisionale, rischia di trovarsi in una posizione analoga a quella del secolo scorso, quando perse il vantaggio nella manifattura a favore dell’Asia.
La lezione, oggi, è chiara, non automatizzare significa non solo produrre meno, ma perdere la capacità di competere. Le “fabbriche oscure” cinesi non sono un segno di disumanizzazione, ma il simbolo di un nuovo equilibrio industriale. Il vero rischio per l’Occidente è trovarsi con fabbriche ancora più oscure – ma perché non vi si produce più nulla.
La sfida europea tra produttività, AI e capitale umano
Per l’Europa, e per l’Italia in particolare, la questione non è solo tecnologica. È culturale e sistemica. La Cina ha costruito un modello di intelligenza industriale che unisce macchine, dati e competenze in un ecosistema integrato.
Noi, al contrario, tendiamo a discutere di AI e automazione come di temi separati, legati a regolamenti o a singoli progetti. Ma la produttività, la vera frontiera della competitività, dipenderà sempre più dalla capacità di far convivere persone e intelligenze artificiali in processi condivisi, dinamici, adattivi. L’AI non sostituirà il lavoro umano, ma lo ridefinirà. Se l’Europa non accelera nel connettere automazione, formazione e visione industriale, la distanza con la Cina non sarà solo economica, ma generazionale.










