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Cavi sottomarini, il Giappone alza lo scudo contro la pressione cinese



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La crisi tra Cina e Giappone esplode anche sui fondali marini, tra sabotaggi sospetti, veti sui nuovi collegamenti e corsa alle navi posacavi. Tokyo trasforma i cavi sottomarini in infrastruttura strategica per difendere connettività, industria e sicurezza nazionale

Pubblicato il 16 dic 2025

Antonio Deruda

Docente, analista e consulente



cavi sottomarini Giappone

I cavi sottomarini in Giappone sono passati in pochi anni da infrastruttura tecnica quasi invisibile a vero terreno di confronto strategico con la Cina.

Crisi Cina-Giappone e rischio per i cavi sottomarini del Giappone

Le tensioni tra Cina e Giappone sono esplose negli ultimi mesi del 2025 in una crisi diplomatica e militare senza precedenti: dichiarazioni risolute su Taiwan, manovre navali nel Mar Cinese, ritorsioni economiche e minacce di restrizioni al commercio hanno riportato le relazioni tra Pechino e Tokyo ai minimi storici.

In questo contesto, la sicurezza delle infrastrutture digitali è diventata per il Giappone una questione di priorità nazionale.

Il Paese del Sol Levante, per posizione geografica e sviluppo tecnologico, è diventato nel corso degli anni un perno fondamentale dell’infrastruttura globale dell’Internet. Ospita oltre 20 stazioni di approdo di cavi sottomarini e nelle sue acque transitano più di 30 sistemi di cavi internazionali che si diramano verso gli Stati Uniti, l’Australia, la Russia, il Sud-est asiatico e l’Europa.
Questa centralità ha fatto maturare una crescente consapevolezza delle vulnerabilità e soprattutto delle nuove minacce provenienti dalla Cina.

Cavi sottomarini Giappone nel mirino della crisi con la Cina

Negli ultimi due anni è aumentato in maniera sospetta il numero di incidenti ai cavi nelle acque tra Taiwan e il Giappone.

Pescherecci che sconfinano in acque interdette, navi cargo che spengono il transponder per non essere tracciate, battelli da ricerca che mappano segretamente i percorsi dei cavi fanno parte ormai di uno scenario da guerra ibrida e delineano un’ingerenza cinese che si dispiega lungo tre direttrici principali.

Sabotaggi deliberati e guerra ibrida sui fondali

La prima è quella del sabotaggio deliberato delle infrastrutture sottomarine, tramite azioni difficilmente attribuibili direttamente alle autorità cinesi, che smentiscono sempre qualsiasi coinvolgimento. Come nel caso del cargo Hong Tai 58, formalmente battente bandiera togolese ma con equipaggio e comandante cinese, che a febbraio scorso ha calato l’ancora in una zona vietata al largo di Taiwan e l’ha trascinata fino a tranciare il cavo sottomarino Taiwan-Penghu No.3.

Oppure il caso della Xingshun 39, di proprietà cinese ma con bandiera della Tanzania, accusata di aver reciso la dorsale digitale Trans-Pacific Express, che collega Taiwan con gli Stati Uniti.

Il potere di veto di Pechino sui cavi sottomarini del Giappone

La seconda modalità è quella delle interferenze indirette. Le autorità cinesi tendono sempre più a ritardare o negare i permessi per la posa di nuovi cavi nel Mar Cinese. Questo potere di veto può rallentare progetti cruciali per la connettività regionale e soprattutto per quella del Giappone che, per la sua conformazione insulare, dipende quasi esclusivamente dai cavi sottomarini per le comunicazioni con il resto del mondo.

L’arcipelago giapponese è soggetto a fenomeni naturali – terremoti, maremoti ed eruzioni vulcaniche – che in passato hanno danneggiato anche i cavi. Eventi come il sisma di Tohoku nel 2011 o quello del 2006 con epicentro vicino a Taiwan causarono interruzioni significative alle comunicazioni in Asia, mostrando l’importanza di avere rotte diversificate e cavi ridondanti.

Proprio per questo motivo, il governo giapponese negli ultimi anni ha incentivato la resilienza della propria rete: nel 2022 l’esecutivo dell’allora Primo Ministro Fumio Kishida ha stanziato 440 milioni di dollari per costruire nuove stazioni di approdo per i cavi. Uno sforzo che l’atteggiamento ostruzionistico della Cina sui permessi può però rendere vano, in assenza di rotte che possano aggirare le acque sulle quali Pechino proietta la sua sovranità.

Ascesa di HMN Tech e sfida industriale nel settore dei cavi

La minaccia cinese si manifesta infine sul piano tecnologico-industriale. Il colosso dei cavi HMN Tech negli ultimi anni ha espanso rapidamente la propria quota di mercato globale, ritagliandosi uno spazio accanto ai tre operatori principali: la francese ASN, l’americana Subcom e la giapponese NEC.
Tokyo vede con preoccupazione la crescita di HMN Tech non solo in ambito commerciale, ma soprattutto per ciò che rappresenta in termini geopolitici: l’ascesa di un attore capace di sfruttare la propria attività per scopi di ingerenza.

I cavi sottomarini del Giappone diventano infrastrutture strategiche

È proprio sul fronte industriale che il Giappone ha impostato la sua reazione a queste sfide, elevando innanzitutto i cavi sottomarini al rango di priorità nazionale. Per molti anni queste infrastrutture sono rimaste ai margini delle strategie di sicurezza, ma il clima geopolitico odierno le ha promosse a tema centrale.

A giugno del 2025 i cavi sottomarini sono stati ufficialmente riconosciuti come “infrastrutture strategiche vitali” nelle linee guida annuali di politica economica e fiscale (Honebuto no hōshin). Contestualmente, il Ministero dell’Economia, Commercio e Industria (METI) li ha inclusi nel proprio piano d’azione per il potenziamento della base industriale e tecnologica legata alla sicurezza economica.

Autonomia di posa e manutenzione dei cavi sottomarini del Giappone

La strategia di Tokyo si muove su due assi. Al primo posto c’è l’obiettivo di arrivare alla piena autonomia della capacità di posa e manutenzione dei cavi senza dover dipendere da mezzi stranieri. Attualmente NEC, pur essendo un gigante del settore, non possiede alcuna nave posacavi e finora si è affidata a noleggi temporanei.

Tokyo considera inaccettabile il ritardo di NEC su questo fronte, sia come limite competitivo che come rischio nazionale. Per colmarlo ha predisposto un piano di sussidi pubblici per co-finanziare l’acquisto di vascelli specializzati. Secondo le indiscrezioni raccolte dal Financial Times, il governo è pronto a coprire fino al 50% del costo di ogni nuova nave posacavi.

Il ritardo di NEC e il ruolo delle navi specializzate

Questa corsa alle navi rappresenta per il Giappone un tassello essenziale per non dipendere, nella posa e nella manutenzione dei cavi sottomarini, da operatori stranieri potenzialmente esposti a pressioni politiche o condizionamenti esterni. L’obiettivo è costruire una capacità nazionale stabile, in grado di garantire interventi rapidi e controllati sulle principali dorsali digitali che attraversano l’Indo-Pacifico.

Filiera dei cavi sottomarini del Giappone senza tecnologie cinesi

La seconda linea d’azione è rendere l’intera filiera dei cavi sicura e libera da tecnologie cinesi. Tokyo ha già escluso i fornitori cinesi dalle proprie reti 5G in passato e ora ha esteso questo approccio anche alle infrastrutture subacquee.

Ha avviato una revisione approfondita della supply chain dei cavi con l’obiettivo di verificare entro marzo 2026 se aziende giapponesi del settore utilizzino componenti critiche di origine cinese (dalle fibre ottiche alle guaine di protezione, fino ai sistemi di alimentazione). Qualora vengano individuate dipendenze da fornitori cinesi, il governo metterà in atto misure correttive che potrebbero includere incentivi per sostituire i fornitori con produttori nazionali e di Paesi alleati, oppure sussidi per rilanciare la produzione domestica di componenti strategiche.

Revisione della supply chain e nuove rotte alternative

Il Giappone vuole dunque blindare la propria filiera, riducendo al minimo la dipendenza da Pechino e creando in quel quadrante geografico un blocco tecnologico alternativo a quello cinese, composto da aziende domestiche e di alleati fidati. Una compagine di operatori che potrebbe sfruttare i futuri investimenti nell’area dedicati alla diversificazione e ridondanza delle rotte.

Oltre a nuovi cavi diretti verso il Nord America – ad esempio i recenti progetti JUNO e Topaz – sono infatti in fase di studio percorsi alternativi verso il Sud-est asiatico che aggirano il Mar Cinese Meridionale.

Il Giappone come avamposto nella difesa delle reti sottomarine

Sono tutte mosse che si inseriscono in un disegno più ampio e che vedono il Paese del Sol Levante ritagliarsi sempre più un ruolo di avamposto nella difesa delle reti sottomarine nell’Indo-Pacifico e nel contenimento della potenza industriale cinese.

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