Vodafone-Three

Telefonia mobile: verso un nuovo modello antitrust per le fusioni?



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L’autorizzazione della fusione Vodafone-Three nel Regno Unito rappresenta un cambio di paradigma nel controllo antitrust. La decisione introduce un nuovo approccio applicabile anche in altri mercati europei

Pubblicato il 12 mag 2025

Innocenzo Genna

giurista specializzato in diritto e policy europee del digitale



fusioni mobili nella UE

La recente fusione nel Regno Unito tra Vodafone e Three suggerisce delle riflessioni sul possibile sviluppo di analoghe operazioni nella UE, dove nei mercati nazionali più significativi ancora sussistono 4 operatori di rete mobile (“MNO”, cioè Mobile Network Operators) in diretta competizione tra loro.

Il contesto europeo e la spinta al consolidamento

Tale è appunto la situazione in Italia, Francia, Polonia, Romania[1], Svezia e Spagna[2]. Invece nei paesi europei più piccoli vige, con l’eccezione della Danimarca che ha 4 MNO, una struttura a 3 operatori: così è da tempo in Cechia e Finlandia, mentre in Olanda, Austria e Irlanda ciò si è realizzato per effetto di fusioni recenti. In Germania, Portogallo e Belgio, invece, si assiste al percorso inverso: da 3 MNO si sta tornando a 4.

Pur in un contesto così variegato, la grande finanza e le principali telco europee invocano costantemente la riduzione del numero degli MNO nazionali (idealmente da 4 a 3) al fine di ridurre la concorrenza domestica e far aumentare prezzi e margini. Tale richiesta trova però due ostacoli principali: da un lato numerosi governi europei appaiono cauti verso l’idea che una maggiore concentrazione del mercato mobile sia giustificata o necessaria (emblematico il caso del Belgio, che si è adoperato per l’entrata di un quarto MNO); dall’altro la Commissione europea, che esercita il controllo antitrust europeo attraverso gli uffici della Direzione generale della Concorrenza (“DG COMP”), ha sviluppato nel corso degli anni una giurisprudenza poco sensibile alla retorica del consolidamento.

Evoluzione del mercato mobile e pressioni concorrenziali

Nel settore mobile europeo il tema del consolidamento tiene banco da quasi 20 anni e cioè da quando, esaurita la sbornia della bolla Internet, molti operatori si sono dovuti confrontare con una realtà di mercato sempre meno promettente: da un lato il livello dei prezzi scendeva, a causa di una concorrenza focalizzata soprattutto sulle tariffe, in un settore sempre più complesso dove i servizi tradizionali e più remunerativi (voce ed sms) venivano progressivamente cannibalizzati da servizi e tecnologie innovative lanciate dagli OTT; dall’altro i costi di investimento (per spettro e nuove reti) continuavano ad essere costanti e massicci, vista la necessità di tenere il passo all’evoluzione tecnologica (3G, 4G, 5G ed oltre).

In alcuni mercati europei, in particolare in Italia[3], questa discesa dei prezzi (e quindi dei margini di profitto) è stata particolarmente marcata per effetto di dinamiche concorrenziali assolutamente peculiari[4].

Le fusioni mobili durante il mandato Almunia (2010-2014) e i limiti dei rimedi

Alcuni grandi operatori mobili europei (in particolare Orange, Vodafone, DT, Telefonica, TIM e H3G) hanno così alimentato la narrativa secondo cui, per contrastare la perdita di redditività del settore ed i possibili effetti avversi sugli investimenti, fosse necessario ridurre il numero di players nei mercati nazionali attraverso delle fusioni, portando il numero degli MNO nazionali almeno da 4 a 3. Va da sé che le ragioni del declino delle telecoms sono diverse e complesse, mentre la richiesta di consolidamento è in verità solo una mossa difensiva, inspirata soprattutto dalla finanza che non trova più nel settore telecom i ritorni tradizionali. Ma questa è un’altra storia.

Ad ogni modo, l’ambizione al consolidamento fu inizialmente assecondata dalla Commissione europea che, al tempo del commissario alla concorrenza Joachim Almunia (2010-2014) autorizzò delle fusioni mobili in Austria, Germania ed Irlanda, per cui in tali paesi si passò da 4 a 3 MNO. Al soggetto post-fusione furono imposti degli obblighi principalmente “comportamentali”, cioè di accesso wholesale a favore di operatori MVNO, un rimedio che in quel momento sembrava uno strumento sufficiente per garantire la concorrenza nel mercato. L’accesso MVNO regolamentato non fu però omogeneo nelle tre transazioni autorizzate, e solo nel caso austriaco sembra aver funzionato in modo appena accettabile, consentendo ad una pluralità di operatori MVNO di entrare nel mercato[5]. Negli altri due casi, invece, la formula prevista fu di riservare un 30% di capacità a favore di 1 o 2 operatori virtuali, ma i risultati successivi furono discutibili. In Germania il singolo MVNO ad usufruire dell’accesso privilegiato (Drillich, che poi si espanse nel fisso con il marchio 1&1) ha faticato a crescere e, a distanza, di 10 anni, detiene una quota di mercato inferiore al 10%, pur avendo acquisito anche dello spettro 5G così da diventare il quarto operatore tedesco in pectore. In Irlanda il rimedio di accesso fu concesso a due MVNO ma non generò concorrenza significativa, tanto che uno dei due beneficiari della misura uscì dal mercato.

Impatti delle fusioni mobili su investimenti e prezzi

La letteratura economica che ha analizzato effetti e sviluppi delle fusioni del periodo Almunia non ha prodotto risultati definitivi ma, nell’insieme, ha raffreddato la narrativa secondo cui una maggiore concentrazione del mercato porti a maggiori investimenti.

Benchè alcune analisi abbiano osservato un aumento degli investimenti da parte dell’operatore post-fusione, si è anche constatato come si sia trattato di una riallocazione di risorse a seguito della scomparsa di una rete mobile, più che di una crescita complessiva, quantitativa e qualitativa, degli investimenti nel mercato. Secondo Ofcom[6] in mercati più concentrati gli operatori sono semplicemente più grandi, e quindi investono di più in proporzione, ma ciò non implica necessariamente maggiore copertura di rete o migliore qualità dei servizi. Secondo Rewhell i casi austriaci e tedeschi mostrano che gli operatori post-fusione orientano gli investimenti verso aree già coperte (es. aggiornamenti tecnologici) invece di espandere la rete. Studi successivi hanno inoltre mostrato che nei mercati europei passati da 4 a 3 MNO la concorrenza sui prezzi[7] e l’innovazione si sono indebolite rispetto ai mercati rimasti a quattro MNO[8]. Secondo la DG COMP[9] le statistiche secondo cui il CAPEX per utente tende ad essere maggiore nei paesi a 3 MNO, rispetto a quelli a 4, sono falsate dal fatto che i paesi con più reti mobili sono anche i più grandi e popolosi (non si può comparare la Francia con la Slovenia o Malta). Anche secondo il BEREC[10] non esiste una relazione chiara tra concentrazione del mercato e benefici per gli investimenti. In alcuni casi (es. Austria), gli investimenti per utente sarebbero persino diminuiti nonostante la fusione, a fronte peraltro di un aumento dei prezzi.

Il nuovo approccio dell’antitrust Ue a guida Vestager

I risultati poco incoraggianti degli obblighi comportamentali dell’epoca Almunia sono verosimilmente all’origine del successivo cambio di approccio della Commissione a partire del 2015. Non si è trattato quindi di una scelta politica oppure di una nuova visione industriale, bensì del semplice fatto che, man mano che si presentavano dei nuovi casi di fusione, la DG COMP constatava che i rimedi comportamentali applicati fino a quel momento non avevano funzionato in modo accettabile: e cioè, a fronte di un aumento dei prezzi causati dalla fusione, il mercato non aveva mostrato miglioramenti significativi in termini di investimenti, qualità e innovazione. Così, con l’arrivo del nuovo commissario alla concorrenza, la danese Vestager, la DG COMP ha iniziato ad imporre, come condizione per autorizzare le nuove fusioni, delle misure di tipo “strutturale”, consistenti cioè nella cessione, da parte dei soggetti che procedevano alla fusione, di spettro e assets a favore di terzi. Tale nuova filosofia ha accompagnato la Commissione europea nell’esame di alcune importanti operazioni di fusione, impedendone alcune (nel 2015 in Danimarca e l’anno successivo in UK), e condizionandone altre (nel 2016 in Italia e nel 2024 in Spagna) all’entrata di un nuovo operatore (rispettivamente Iliad e Digi). Vi è stata però una eccezione in Olanda, dove nel 2019 la fusione tra T-Mobile e Tele2 fu autorizzata con la mera imposizione di rimedi comportamentali, particolarmente blandi e riguardanti solo le tariffe retail.

La questione del numero magico di operatori sul mercato

Finanza e grandi telco europee hanno spesso accusato il commissario Vestager di voler mantenere a tutti costi, in ciascun mercato domestico europeo, almeno quattro MNO, invece che tre, in qualche modo alimentando l’idea che le valutazioni antitrust si limitassero ad un mero conteggio “politico” delle reti mobili esistenti. Tuttavia, non vi è traccia nelle decisioni o nei documenti di DG COMP di un tale “numero magico” (il “4”, appunto, riferito agli MNO). Le decisioni antitrust del periodo Vestager andrebbero semmai esaminate caso per caso per capire le ragioni che, in seguito al test SIEC, hanno portato ai rimedi strutturali nelle varie transazioni – piuttosto che semplificandone le motivazioni creando la leggenda del “numero magico” delle reti.

Né tanto meno l’industria ha mai fornito studi rigorosi circa la sostenibilità del settore mobile in funzione di un numero specifico di reti presenti nel mercato. Il fatto che gli MNO incumbent spingano per la riduzione del numero delle reti domestiche è comprensibile, poiché una maggiore concentrazione in ogni mercato nazionale permette di ottenere benefici economici e finanziari. Ma altro è invece stabilire quale grado di concentrazione sia necessario o ideale affinché il mercato sia sostenibile e consenta di liberare le risorse sufficienti per gli investimenti.

In proposito, è bene ricordare che in numerosi paesi europei (Portogallo, Belgio, Italia, Repubblica Ceca) le aste competitive dello spettro 5G sono state aperte a nuovi operatori, in aggiunta a quelli esistenti. Ebbene, nonostante la narrativa imperante sulla scarsa sostenibilità del settore, alcuni new entrants hanno approfittato di tali nuove opportunità ed hanno acquisito dello spettro, così che nel relativo mercato nazionale si è tornati ad avere quattro o persino cinque MNO[11]. Per alcuni di questi entrant, come ad esempio la rumena DIGI e l’italiana Fastweb (che ha persino acquisito un MNO concorrente) si è trattato dell’inizio di un significativo percorso industriale nel settore mobile.

Ironicamente, non appena acquisito lo spettro alcune di queste imprese si sono unite al coro degli altri MNO nel lamentare l’eccessivo numero di operatori nel settore mobile. Ma non si capisce allora perchè abbiano mai deciso di comprare dello spettro per animare un mercato già troppo affollato.

Limiti della narrativa sul consolidamento e ruolo della DG COMP

Queste alterne vicende dimostrano che, in mancanza di studi economici rigorosi che chiariscano, in ciascun mercato nazionale, la relazione specifica tra la sostenibilità del settore mobile ed il numero di reti mobili domestiche, l’autorità di concorrenza non può decidere in modo apodittico quanti MNO debbano operarvi. La narrativa circa la sostenibilità del mercato mobile “a 3 MNO” è sicuramente funzionale agli interessi degli operatori incumbents, ma è arduo farla prevalere, in termini di prassi concorrenziale, quando vi sono altre imprese disposte ad entrare nel mercato rischiando il proprio denaro. Non sorprende, quindi, che il commissario Vestager abbia consentito l’entrata di nuovi MNO nei mercati interessati dalle fusioni, piuttosto che “chiudere” tali mercati e riservarli agli operatori incumbent: se avesse fatto diversamente, si sarebbe trattato di una valutazione più politica che di mercato, e non è questo il ruolo di DG COMP.

Ovviamente, sarebbe stato teoricamente possibile un intervento legislativo (a livello europeo)[12] che stabilisse per legge quanti MNO possano operare in un mercato nazionale, superando così le valutazioni delle competenti autorità antitrust. Tale intervento tuttavia è mancato, soprattutto perché la narrativa del consolidamento e del numero eccessivo di MNO, tanto in auge nei giornali della finanza, trova invece scarso credito presso la maggioranza dei governi europei[13].

Prezzi, investimenti e dilemma regolatorio

Oltre che sul numero degli MNO nazionali, le grandi telco europee hanno spesso accusato la DG COMP di aver indirizzato la propria analisi antitrust alla salvaguardia dei prezzi e degli interessi dei consumatori, sacrificando invece investimenti e sostenibilità del settore mobile. In tale modo esse hanno addossato alla Vestager la colpa del progressivo ridimensionamento economico e finanziario del settore. Tuttavia, come per il precedente tema del “numero magico”, si tratta di una narrativa basata su una semplificazione arbitraria della prassi della Commissione.

Nelle decisioni e nei documenti della DG COMP non vi è alcuna traccia di regole che antepongano i prezzi retail alla sostenibilità del mercato ed agli investimenti. Com’è noto, la valutazione che si effettua con il test SIEC è complessa e tiene conto di svariati fattori. Vero è, però, che nelle operazioni di fusione attuate in mercati già concentrati (come quello oligopolistico del mobile) l’aumento dei prezzi è una conseguenza scontata, se non naturale, della transazione[14].

La DG COMP deve perciò valutare se tale aumento dei prezzi sia compensato o giustificato (il c.d. “trade-off) con altri effetti della fusione, quali ad esempio maggiori investimenti, migliore qualità del servizio, opportunità per sviluppo tecnologico ed innovazione. Tuttavia, mentre l’aumento dei prezzi in tale scenario è quasi una certezza, gli effetti benefici della transazione sono solo ipotetici.

Tutto questo è confermato dalla migliore letteratura economica in tema di fusioni mobili, a cominciare da Genakos Valletti Verboven: “more concentrated markets lead to higher end user prices. Furthermore, they also lead to higher investment per mobile operator, though the impact on total investment is not conclusive”[15]. Ed ancora, Duso Motta Peitz Valletti: ” Empirical evidence consistently shows that telecoms mergers lead to higher prices and are unlikely to boost investment[16]. Nella stessa direzione vanno gli studi più recenti e completi[17], che hanno esaminato le fusioni mobili in 29 paesi OCSE nel periodo 2009-2019, quindi anche al di là dei casi passati al vaglio della Commissione europea. La stessa DG COMP, in un dettagliato studio del 2024[18], conclude che: “…. consolidation in mobile telecoms tends to lead to higher prices for users, while positive effects on investment in networks relevant to user experience or 4G roll-out could not be reliably discerned“.

In altre parole, il vero dilemma per la DG COMP del commissario Vestager non sono stati i prezzi, quanto invece la valutazione e la predittibilità degli effetti benefici che avrebbero dovuto giustificare e compensare il (quasi) inevitabile aumento delle tariffe. Dati la letteratura economica ed i precedenti sopra richiamati, non proprio incoraggianti, si è anche valutato se l’alea circa i potenziali investimenti scaturenti dalla fusione potesse essere superata con degli impegni antitrust assunti dalle imprese. Si tratta però di un meccanismo poco agevole, poiché l’efficienza di investimenti di medio-lungo termine, come quelli infrastrutturali, riflette una varietà di fattori interni ed esterni all’azienda, suscettibili di variare nel corso del tempo, e quindi è difficili imporli per legge. Peraltro, una volta che una fusione è stata autorizzata e quindi implementata, non può essere successivamente “invertita” se gli impegni sugli investimenti non sono rispettati. Resta la possibilità di sanzioni o altre misure punitive, ma siamo comunque in un terreno abbastanza nuovo.

Il caso Vodafone/Three UK e un possibile nuovo modello

A dicembre 2024 CMA, l’autorità antitrust del Regno Unito, ha approvato la fusione tra Vodafone UK e Three UK fissando una serie di obblighi comportamentali, vertenti soprattutto su futuri investimenti. Non ha quindi imposto alcun rimedio strutturale, con l’eccezione di una limitata cessione di spettro all’altro operatore O2. Quindi, dopo tanti anni (se si esclude la fusione olandese del 2019) vi è stata nuovamente una fusione che, in un importante mercato europeo del mobile, ha portato gli MNO locali da 4 a 3.

Il pacchetto di impegni fissati da CMA si focalizza su investimenti infrastrutturali vincolanti della durata di 8 anni: £11 miliardi di investimenti per sviluppare una rete 5G avanzata, con copertura del 99% della popolazione entro il 2030; miglioramento della capacità e qualità della rete; cessione di spettro a Virgin Media O2, con cui c’è già un accordo di network sharing. Vi sono poi delle protezioni “temporanee” (3 anni) per clienti e MVNO: un price cap per talune tariffe mobili; la garanzia di non aumento dei prezzi di accesso per gli MVNO.

L’aspetto più innovativo della decisione è stato quello di aver accettato degli impegni in tema di investimenti, superando quindi le perplessità esistenti su questo tipo di rimedio. Ciò è stato possibile includendo gli impegni in questione nelle licenze dell’operatore post-fusione ed associando il regolatore OFCOM al monitoraggio, con possibilità di imporre sanzioni. Si è quindi deciso di percorrere una strada che precedentemente a livello europeo non sembrava facilmente attuabile, fissando così un leading case il cui esito potrebbe pesare sul futuro: se infatti il soggetto post-fusione rispetterà disciplinatamente gli impegni, saremo di fronte ad un nuovo modello di autorizzazione antitrust alternativo a quelli sviluppati nelle fasi Almunia e Vestager, e quindi ad una significativa opportunità per il consolidamento nel settore mobile della UE. Se invece la nuova Vodafone/Three UK non rispetterà gli impegni, c’è da chiedersi se tale tipo di autorizzazione potrà porsi come un modello valido per la UE.

Analisi delle condizioni del mercato mobile britannico

Viene da chiedersi quale possa essere stata la visione che ha indotto la CMA a questo passo apparentemente inedito ed un po’ rischioso.

La tentazione di giudicare questa autorizzazione antitrust come una decisione politica, magari vertente sulla teoria del “numerino magico”, è sicuramente forte negli ambienti favorevoli al consolidamento. Al contrario, un’analisi più circostanziata indica come la decisione della CMA sia il risultato di valutazioni di elementi locali, piuttosto che la proiezione delle aspettative della finanza internazionale.

La situazione del mercato mobile inglese è da tempo giudicata insoddisfacente[19] per quanto riguarda la copertura e la qualità dei servizi, tenuto conto, inoltre, che rispetto a 10 anni fa l’uso delle reti si è evoluto verso lo streaming ed i servizi a valore aggiunto dell’ecosistema 5G. La soluzione prospettata dalle parti a CMA è stata quella per cui la combinazione di reti di Vodafone e Three avrebbe generato delle significative efficienze, riducendo i costi incrementali e creando così i risparmi necessari per poter sostenere gli investimenti previsti. Affinché però tali risparmi venissero effettivamente convertiti in benefici per il mercato, e cioè in maggiori investimenti e migliori servizi, e non invece in puro margine da devolvere ad altri fini, CMA ha però preteso che il soggetto post-fusione assumesse degli impegni vincolanti sugli investimenti.

Lo scenario di cui sopra non esclude però dei rischi anticoncorrenziali scaturenti dall’operazione. CMA ha però valutato che il mercato inglese abbia le condizioni per rimanere competitivo, innanzitutto poichè l’operatore principale del settore, British Telecom, da sempre manifesta l’ambizione a restare leader nel mercato e della rete, mentre l’altro (O2) viene rafforzato con una assegnazione di spettro supplementare; in secondo luogo, perchè vi è la presenza storica e consolidata degli MVNO, tra i quali spicca SKY (che fornisce anche contenuti e che quindi esercita una forte pressione concorrenziale). CMA ha ritenuto comunque di dover rafforzare questo scenario con degli ulteriori impegni a favore degli MVNO[20] (sostanzialmente l’obbligo di garantire le offerte wholesale in corso per un periodo di 3 anni).

Prospettive di concorrenza post-fusione nel mercato UK

In conclusione, CMA si aspetta che la struttura di mercato post-fusione continuerà ad essere concorrenziale, anche sui prezzi, e che i 3 MNO rimasti saranno incentivati ad investire e ad essere concorrenziali, sia per evitare multe (nel caso del soggetto post-fusione) che per rimanere competitivi tra loro e con gli MVNO.

Una valutazione analitica della decisione di CMA ci offre quindi degli elementi di lettura per il futuro. Elementi specifici del mercato inglese (la scarsa copertura e qualità delle reti, gli incentivi concorrenziali tra gli MNO e la pressione concorrenziale degli MVNO), i guadagni di efficienza risultanti dall’integrazione delle reti, assieme alle specificità dei rimedi comportamentali (in particolare il sistema di monitoraggio in capo ad OFCOM che dovrebbe garantire gli impegni) possono spiegare la direzione presa da CMA, che invece nel 2017 aveva supportato la Commissione europea nell’osteggiare il primo tentativo di fusione di Three.

A ciò si aggiunge il fatto che l’uso delle reti sta cambiando rispetto al passato: esse sono ora maggiormente dedicate allo streaming e devono considerare l’espansione verso 5G e 6G così come il salto verso il mercato IoT, peraltro sotto la potenziale concorrenza dei nuovi sistemi satellitari low-orbit. Dato questo scenario in movimento, una fusione vera e propria degli operatori può essere considerata come uno strumento più idoneo rispetto a quello, meno radicale, del network sharing.

Scenari futuri per l’Italia e implicazioni per l’UE

E’ pertanto possibile che futuri casi di fusione mobile in Europa possano essere valutati con questo nuovo approccio, senza con ciò immaginare uno modifica sostanziale delle regole antitrust europee (come invece suggerito nel capitolo telecoms del rapporto Draghi[21]). In proposito, la DG COMP ha appena aperta una consultazione pubblica sulla revisione delle Merger Guidelines[22].

Per quanto riguarda l’Italia, la presenza di 4 MNO in un mercato caratterizzato da prezzi molto bassi, che mettono a dura prova la capacità degli operatori ad investire, rende il Paese un candidato importante per un prossimo consolidamento. Tuttavia, proprio perché gli operatori candidati alle fusioni sono molti, e molteplici sono le possibili combinazioni, è difficile prevedere quale sarà l’approccio della DG COMP, almeno finché non sarà presentato su carta un caso concreto. A livello generale, però, il confronto con il caso inglese ci suggerisce che saranno rilevanti, inter alia, lo stato di salute dell’operatore leader e la concorrenza complessiva del mercato, anche tenendo conto degli MVNO.

Inoltre, visto che, nel caso di una fusione in Italia, un aumento dei prezzi appare, se non altamente probabile, vocalmente auspicato da tutti i maggiori player, sarà fondamentale che le parti interessate dimostrino la verosimiglianza degli effetti benefici dell’operazione: in particolare i maggiori investimenti in copertura e 5G (al netto dei fondi pubblici PNRR). Come si può notare dalla motivazione della decisione inglese, è fondamentale dimostrare che le efficienze ed i risparmi derivanti dalla fusione siano prevalentemente destinati agli investimenti e non ad altri scopi.

Se tali effetti benefici non fossero verosimili (perché ad esempio il mercato evidenzia prove storiche che eventuali risparmi sono preferibilmente dedicati a politiche aggressive dei prezzi o ai dividendi, piuttosto che agli investimenti), occorrerà valutare l’opportunità di offrire degli impegni e quindi di introdurre un sistema di monitoraggio (e sanzionamento) analogo al modello inglese. Non si tratterà però di un passaggio facile, essendo tale modello non facilmente replicabile fuori da UK, poichè il ruolo ed i poteri di OFCOM sono peculiari rispetto ad altri regolatori nella UE. Questo è un aspetto che richiederà una certa creatività tra Bruxelles e Roma.

Note


[1] In Romania Vodafone e Digi stanno procedendo all’acquisizione di Telekom Romania Mobile, il quarto operatore del paese, ma non sappiamo ancora quale sarà il trattamento antitrust dell’operazione.

[2] In Spagna la fusione tra Orange e MásMovil è stata compensata con l’entrata nel mercato di un new entrant, DIGI.

[3] Si veda il report di facile.it 2024: “In Italia tariffe internet casa tra le più basse d’Europa“, ottobre 2024.

[4] Lombardi Pozzi Quaglione “Dinamiche competitive nel settore della telefonia mobile. Le offerte riservate“, ottobre 2024.

[5] L’autorità austriaca di concorrenza ha tuttavia criticato l’efficacità dei rimedi imposti dalla Commissione.

[6] OFCOM, Technical Annexes: Market structure, Investment and Quality in the Mobile Industry, dicembre 2020.

[7] LEAR, E.CA Economics, Fideres, Prometeia, the University of East Anglia and Verian (2024), Exploring aspects of the state of competition in the EU: Final report, June.

[8] Rewhell, 2018

[9] Commissione europea, DG COMP – Protecting competition in a changing world – Evidence on the evolution of competition in the EU during the past 25 years, 2024

[10] BEREC, Report on Post-Merger Market Developments – Price Effects of Mobile Mergers in Austria, Ireland and Germany, giugno 2018.

[11] Benché non tutti aventi da subito a disposizione una rete mobile, che infatti richiede degli anni per essere costruita.

[12] Sembrano andare in questa direzione le vaghe proposte avanzate con i rapporti Letta e Draghi, secondo cui il mercato rilevante su cui valutare le operazioni di concentrazione nelle telecom dovrebbe essere allargato, per legge, all’intero mercato UE, anche in deroga alle normali risultanze della prassi antitrust.

[13] Almeno così sembra evincersi dallo scarso entusiasmo con cui il tema del consolidamento è stato accolto nelle “Conclusioni sul Libro Bianco” del Consiglio del 6 dicembre 2024.

[14] La più recente letteratura e completa economica indica infatti che l’ARPU aumenta in proporzione alla concentrazione del mercato mobile. Viceversa: “….. the estimates suggest that one additional MNO is

associated with a reduction in average revenues per user (ARPU) by 7%. The impact is mostly driven by EU countries, in which one additional MNO is associated with a 9% reduction in ARPU” (DG COMP, 2024, infra).

[15] Genakos Valletti Verboven – Evaluating Market Consolidation in Mobile Communications, 2017.

[16] Duso Motta Peitz Valletti – Draghi is right on many issues, but he is wrong on telecoms – 17 settembre 2024

[17] Lear, E.CA Economics, Fideres, Prometeia, the University of East Anglia and Verian – 2024 (supra).

[18] Commissione europea, DG COMP – 2024 (supra).

[19] Department for Digital, Culture Media and Sport – Statement of Strategic Priorities for telecommunications, the management of radio spectrum, and postal services, 2019

[20] Sulla capacità degli MVNO di essere significativi nel mantenere la concorrenza nel mercato, vi è letteratura divergente. Per CMA ed OFCOM questa capacità evidentemente c’è, mentre per DG COMP gli MVNO sono soprattutto uno strumento di differenziazione, più che di pressione sui prezzi.

[21] Non va dimenticato che le proposte del rapporto Draghi relative al settore telecom hanno suscitato perplessità tra vari studiosi economici e con la stessa DG COMP (si veda l’intervento del direttore generale di DG COMP Olivier Guersent in una conferenza pubblica a Bruxelles, il 27 giugno 2024, disponibile su Youtube).

[22] European Commission consultations on the review of the Horizontal Merger Guidelines of 2004 (mergers between actual or potential competitors in the same relevant market) and the Non-Horizontal Merger Guidelines of 2008 (mergers between companies operating at different levels of the supply chain), 8 maggio 2025.

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