l'analisi

Separazione societaria di TIM, è la volta buona? Obiettivi e condizioni per chiudere

Della separazione societaria di TIM si parla da oltre 10 anni, ma il 2023 dovrebbe segnare l’inizio di una nuova fase. I protagonisti sembrano determinati ad arrivare ad una conclusione in tempi rapidi. I tre aspetti da ricordare per capire se sarà la volta buona

Pubblicato il 23 Gen 2023

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Il nuovo anno si apre con l’annuncio di un “tavolo” con il Governo per scrivere una nuova puntata della vicenda relativa alla separazione societaria di TIM, che dovrebbe portare, da un lato, alla creazione di un operatore wholesale only (non più controllato da TIM) e, dall’altro, a diverse società di servizi nelle quali TIM manterrà un ruolo variabile a seconda del coinvolgimento di nuovi partner finanziari.

Inevitabile chiedersi se sarà veramente il passaggio decisivo per arrivare a chiudere un capitolo di cui si parla da ormai un decennio, ma intanto è l’occasione per fare un punto su obiettivi e condizioni poste dai diversi protagonisti.

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I dubbi sul modello di separazione

Per non farci mancare nulla, mentre si aspetta la presa di posizione definitiva del nuovo Governo su una tematica che rientra nell’alveo dei settori strategici oggetto della Golden Power, Franco Debenedetti e Francesco Vatalaro hanno recentemente sollevato alcuni dubbi sulla bontà del modello della separazione societaria, rivendicando il primato dell’integrazione verticale. Al di là di alcune perplessità sulle argomentazioni presentate, discusse brillantemente da Stefano Quintarelli sul suo Blog, la posizione di Debenedetti-Vatalaro ha il pregio di ricordare alcuni aspetti utili per giungere ad una soluzione. Il primo è che gli esempi di coinvolgimento dello Stato nelle operazioni di separazione societaria nelle telecomunicazioni non sono necessariamente casi di successo. Il secondo è la necessità per le Telco di rivedere i propri modelli di business, facendo leva sui propri asset (non necessariamente la rete, NdR). Il terzo è la fiducia (incondizionata) nel libero mercato, quando affermano che la soluzione non passa attraverso la fusione tra TIM e Open Fiber, ma dalla trasformazione di entrambe e dall’azione del mercato. Inoltre, è sicuramente vero come l’indirizzo dello Stato su asset strategico non comporti necessariamente il controllo societario. Infine, è probabile che il settore delle telecomunicazioni debba effettivamente affrontare un processo di consolidamento che ridurrà il numero di attori (almeno quelli “tradizionali”) sul mercato continentale.

La posizione del Governo e gli obiettivi delle parti

Anche se le considerazioni di Debenedetti-Vatalaro possono essere in parte accolte è altamente improbabile che il loro punto di vista trovi effettivamente seguito.

È, quindi, utile ripartire da quanto affermato dal Presidente del Consiglio quando afferma che “il Governo si dà il duplice obiettivo di assumere il controllo della rete e di lavorare il più possibile per mantenere i livelli occupazionali. Il resto lo lasciamo alla dinamica libera del mercato”.

Di conseguenza i primi due ingredienti per la ricetta finale sono sicuramente il “controllo pubblico della rete” e la “salvaguardia dell’occupazione”.

Ci sono però ulteriori obiettivi strategici che i diversi attori hanno già messo sul tavolo. È nota la posizione dell’azionista di maggioranza relativa (Vivendi) riguardo alla valorizzazione della propria partecipazione, tuttora molto distante da quanto riconosciuto dalle controparti. Gli azionisti di TIM, nel loro insieme, auspicano di realizzare finalmente il processo di trasformazione dell’azienda in un soggetto con una posizione debitoria meno pesante e in grado di competere sul mercato con un’adeguata redditività. Allo stesso modo, gli azionisti di Open Fiber vogliono remunerare adeguatamente l’investimento fatto e realizzare nuove opportunità di creazione di valore. I fondi di investimento già coinvolti o interessati alle diverse società che potranno nascere sono naturalmente interessati al rendimento dell’investimento, su un orizzonte più o meno lungo, a prescindere dal peso della loro partecipazione, come ha dimostrato l’ingresso sia in Open Fiber che FiberCop. La Commissione europea, chiamata a valutare gli aspetti legati ai processi di concentrazione e agli aiuti di Stato, chiede invece garanzie sulla salvaguardia delle condizioni concorrenziali.

A tutto questo sarebbe auspicabile aggiungere un obiettivo di “Sistema” che consiste nel creare le condizioni per rafforzare il sistema produttivo e innovativo nazionale attraverso la nascita di attori in grado di competere sui mercati internazionali e di un’infrastruttura nazionale allo stato dell’arte.

Figura 1 – La possibile articolazione della separazione societaria

Fonte: TIM, July 2022

Alla ricerca di un possibile punto di equilibrio

Le opzioni oggetto di valutazione si sono ormai abbastanza consolidate (diverse modalità di separazione, presenza dello Stato e coinvolgimento di nuovi azionisti) e vanno valutate in funzione degli obiettivi sopra citati, anche se è abbastanza chiaro come non siano tutti raggiungibili e l’equilibrio passerà dalla soluzione che sarà in grado di soddisfare le esigenze finanziarie della maggioranza dei protagonisti.

Un ulteriore aspetto che sembra ormai chiaro è la necessità di avviare un percorso in più fasi che scioglie i diversi nodi ancora al pettine.

Il punto di partenza rimane la fatidica separazione della rete, per poter avviare successivamente il processo di valorizzazione delle diverse componenti di servizio, con attori che saranno diversi da quelli della prima fase. In questo ambito, ci sono diverse modalità per garantire una governance forte dello Stato (sperimentate ad esempio nel caso di BT nel Regno Unito), senza necessariamente arrivare a detenere il controllo societario. L’aspetto legato alla realizzazione della “rete unica” con Open Fiber va definitivamente chiarito, coerentemente con gli obiettivi dichiarati dal governo, ma è verosimile che segua un iter specifico, che vede anche una stretta interazione con Bruxelles. Sciolto il nodo della rete, si può aprire il capitolo della valorizzazione delle società di servizio, ma anche, più in generale, dell’assetto finale del gruppo TIM.

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Per il vero, se la salvaguardia dell’occupazione è realmente una priorità sarebbe necessario affrontare in parallelo tutti gli aspetti, ma l’approccio sarà probabilmente più pragmatico e articolato nelle diverse fasi del processo di separazione.

A margine, ma non troppo, il Governo ha prospettato misure specifiche a sostegno del settore delle telecomunicazioni. Il punto merita un approfondimento per capire quale potrà essere l’impatto su consumatori e operatori, ma è sicuramente un elemento positivo per aumentare l’attrattività del settore e l’interesse da parte degli investitori internazionali.

Una storia a lieto fine?

Il calcio di inizio di questa nuova fase è previsto per fine gennaio e i protagonisti sembrano determinati ad arrivare ad una conclusione in tempi rapidi.

Per capire se sarà la volta buona è bene ricordare tre aspetti. Innanzitutto, le posizioni e gli obiettivi dei diversi protagonisti sono chiari. Inoltre, esiste ormai un’ampissima documentazione sul perimetro della separazione, i processi operativi, i possibili impatti economico-finanziari. Infine, i tempi per l’attuazione di un processo di separazione sono noti, anche alla luce delle precedenti esperienze internazionali, e superano ampiamente i 12 mesi, senza considerare i tempi per l’interazione con la Commissione europea. Prima si comincia, prima si potrebbe finire…

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