Supply chain e dazi

Apple, l’iPhone senza Cina è impossibile: ecco perché



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La catena di fornitura di Apple coinvolge milioni di persone in oltre 50 paesi e regioni. E dipende moltissimo dalla Cina. I dazi Usa chiedono di di lasciarla e Apple comincia a puntare su India e Vietnam. Ma basta analizzare com’è fatto un’iPhone per capire che è impossibile rinunciare al lavoro cinese

Pubblicato il 5 mag 2025

Gabriele Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio

Nicola Iuvinale

Senior China Fellows at Extrema Ratio



apple cina (1)

La catena di fornitura di Apple, che coinvolge milioni di persone in oltre 50 paesi e regioni, si trova ad affrontare un’incertezza senza precedenti dopo che gli Stati Uniti hanno annunciato il 2 aprile scorso una politica tariffaria reciproca su un’ampia gamma di beni importati, inclusi quelli provenienti da Cina, India, Vietnam e altri paesi cruciali per la catena di approvvigionamento dell’azienda di Cupertino.

Apple ha già detto nei giorni scorsi che sposterà in India la produzione di iPhone da vendere negli Usa; in Vietnam gli iPad. E che questo costerà 900 milioni di dollari all’azienda.

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La speranza per l’amministrazione Trump è che il gigante tecnologico possa riportare la produzione di iPhone dalla Cina agli Stati Uniti. Il Segretario al Commercio statunitense Lutnick ha persino immaginato uno scenario in cui milioni di lavoratori possano assemblare gli iPhone negli USA.

Ma la supply chain Apple è un piccolo miracolo della globalizzazione, un ingranaggio complesso e complicato che dipende, in modo unico e in gran parte insostituibile, dalla Cina.

I dazi di Trump annunciati ad aprile potrebbero accelerare i cambiamenti, ma la consolidata catena di approvvigionamento in Cina rende difficili le trasformazioni rapide.

Apple è legata alla Cina

Apple, infatti, assembla ancora tra il 70% e l’80% dei suoi iPhone in Cina (secondo alcuni però la percentuale arriverebbe fino al 90%), in gran parte grazie alla partnership con Foxconn.

Pechino gestisce anche l′80% degli iPad e oltre la metà dei computer Mac, secondo Evercore ISI.

Per Morgan Stanley, il produttore di iPhone dovrà affrontare costi aggiuntivi stimati in 33 miliardi di dollari all’anno a causa della sua esposizione ai dazi. I costi tariffari aggiuntivi rappresenterebbero il 26% degli utili di Apple al lordo di interessi e imposte nel 2025.

Il piano di Trump, dunque, rischia di vedere Apple ripetere gli errori di Motorola che si è vista costretta a chiudere lo stabilimento di Fort Worth, in Texas, appena un anno dopo la sua costruzione a causa delle scarse vendite e dei costi elevati.

Alcuni esperti hanno addirittura avvertito che se l’iPhone dovesse essere completamente assemblato negli Stati Uniti, il prezzo di vendita salirebbe a 3.500 dollari al pezzo.

L’azienda californiana, però, ha difficoltà a riportare tutta la produzione negli Stati Uniti per ragioni che vanno ben oltre il costo del lavoro.

Dopo decenni di sviluppo, Apple è riuscita a costruire un sofisticato e complesso sistema di supply chain globale in Cina e trasferire la produzione dell’iPhone non è così facile come si possa immaginare.

Andy Tsay, professore presso la Levy School of Business dell’Università di Santa Clara, ha affermato che mentre in passato le aziende sceglievano la Cina per la sua manodopera a basso costo, oggi le aziende vi mettono radici per la sua produttività efficiente, una grande flessibilità ed una produzione di livello mondiale.

Il successo commerciale dell’iPhone

L’iPhone, il prodotto di elettronica di consumo più commercializzato al mondo, ha venduto circa 2,8 miliardi di unità dalla sua introduzione nel 2007, portando ad Apple oltre 1.000 miliardi di dollari di fatturato e rappresentando la metà delle vendite totali dell’azienda.

Apple spedisce più di 230 milioni di iPhone all’anno, il che equivale a produrre 438 unità al minuto.Grazie alla produzione di massa e al controllo dei costi, ogni iPhone 16 Pro (256GB) genera un profitto di circa 400 dollari, con un margine di profitto netto del 36%.

La complessità della catena di fornitura di Apple

Se si osservano i molteplici materiali interni che compongono un iPhone, si può comprendere la complessità della sua catena di fornitura e del motivo per cui gli analisti non sono convinti dell’idea dell’amministrazione Trump che l’azienda possa riportare negli Stati Uniti tutta la sua produzione.

Componenti fatti negli Usa

Secondo l’International Data Corporation, meno del 5% dei componenti dell’iPhone sono attualmente prodotti negli Stati Uniti, tra cui l’involucro di vetro, i laser che consentono la funzione di riconoscimento facciale (Face ID) e i chip, compreso il processore e il modem 5G.

Il ruolo della Cina

La maggior parte del resto è prodotta in Cina, con componenti ad alta tecnologia provenienti perlopiù da Taiwan e alcuni componenti chiave dalla Corea del Sud e dal Giappone.

Inoltre, circa il 70-80% degli iPhone viene ancora assemblato in Cina.

Un rapporto di TechInsights, un ente di controllo dell’industria dei semiconduttori noto in tutto il mondo, ha sottolineato che, date le profonde radici cinesi nella catena di fornitura degli smartphone e l’elevato numero di ingegneri e operai specializzati nell’assemblaggio, è praticamente impossibile per Apple spostare l’assemblaggio degli iPhone negli Stati Uniti.

La Cina, con Apple, ci ha messo vent’anni per arrivare a questo ingranaggio quasi perfetto di supply chain, che porta a costi ottimizzati, grande qualità e margini di profitto del 30 per cento per Apple.

Come 20 anni fa, la costante fornitura di manodopera a basso costo da parte di Pechino rappresenta ancora un vantaggio attraente per le aziende statunitensi come Apple, ma è soprattutto l’odierna catena di fornitura dell’iPhone – che integra le competenze di oltre una dozzina di Paesi e regioni asiatiche nella produzione di parti e componenti, con un cluster di fornitori in Cina come supporto principale – che costituisce il motivo determinante della sua produzione “made in China”.

Vetro, cornice, viti

Il processo produttivo di tre componenti dell’iPhone chiarisce ciò:

  • il vetro del display è prodotto negli Stati Uniti, ma i componenti fondamentali che lo rendono un touchscreen sono per lo più realizzati in Corea del Sud e infine assemblati in Cina;
  • la cornice del cellulare è tagliata e modellata da un unico blocco di alluminio, che richiede macchinari altamente specializzati, che attualmente solo la Cina è in grado di produrre su larga scala;
  • le 74 minuscole viti utilizzate per assemblare il prodotto sono realizzate principalmente in Cina e in India e si basano sul fissaggio manuale.

Inoltre, questo processo di produzione cinese si basa su un gran numero di macchine a controllo numerico computerizzato (CNC) di alta precisione.

In aggiunta, i fornitori di Apple in Cina hanno raggiunto le dimensioni attuali negli anni; dimensioni, difficili da replicare altrove, ha dichiarato Wayne Lam, analista di TechInsights.

Se Apple dovesse spostare la produzione di iPhone negli Stati Uniti, non sarebbe in grado di acquistare un numero sufficiente di macchine CNC per soddisfare la scala di produzione del sistema di supply chain cinese”. Lin ha aggiunto: “Si tratta di una competenza altamente specializzata che è quasi impossibile replicare con successo al di fuori della Cina”.

Certo non troverebbe abbastanza lavoratori, inoltre, per sostituire quelli cinesi – operai e ingegneri. Dovrebbe automatizzare di più, ma ancora non esistono le tecnologie per avvitare quelle viti con robot – ad esempio.

La dipendenza dalle materie prime cinesi

Anche se Apple cerca di diversificare il rischio della sua catena di approvvigionamento guardando a Paesi come l’India, il Vietnam e il Brasile, si trova comunque ad affrontare un problema quasi ineludibile: la maggior parte delle materie prime degli elementi delle terre rare (REE), fondamentali per la produzione dei chip e delle batterie dell’iPhone, vengono estratte, raffinate e lavorate dalla Cina.

Il lantanio e il disprosio, ad esempio, sono utilizzati nelle batterie dell’iPhone per prolungare la durata e migliorare il colore dello schermo, mentre il secondo è applicato agli schermi a colori e alle funzioni di vibrazione.

Secondo un rapporto dell’US Geological Survey, gli Stati Uniti dipendono dalla Cina per il 70% delle loro importazioni di composti e metalli delle terre rare. Aziende come Apple si riforniscono di questi materiali direttamente dalla Cina, il che conferisce a quest’ultima un certo grado di influenza compensativa.

L’impossibilità di replicare il sistema di supply chain cinese che combina organizzazione, scala e competenze

La concentrazione di fornitori e produttori in Cina e dintorni ha migliorato notevolmente l’efficienza produttiva di Apple. Una volta trasferita la capacità produttiva negli Stati Uniti, secondo alcuni analisti si determinerà una perdita di efficienza dovuta alle comunicazioni e ai trasporti transoceanici.

“I tentativi di sganciarsi da questo sistema di filiera, che combina organizzazione, scala e competenze, sono fantasie del tutto irrealistiche“, sostengono taluni esperti.

Secondo il professor Tsay della Levy School of Business dell’Università di Santa Clara, “ci sono molti vantaggi nel concentrare le attività nella stessa area di una catena di fornitura, tra cui la velocità e la qualità della comunicazione, oltre a facilitare l’innovazione del design di prodotti e processi”.

“Significa che si può ricevere la merce molto rapidamente e comunicare facilmente con i fornitori. E quando c’è un oceano tra il cliente e il fornitore di componenti, gli svantaggi si fanno sentire”, ha aggiunto.

Nel caso della fornitura esclusiva di alcuni componenti, è ancora più difficile riportare completamente la catena di approvvigionamento negli Stati Uniti.

TSMC di Taiwan, ad esempio, produce il processore principale dell’iPhone. Anche se questo chip dovesse in futuro essere realizzato negli Stati Uniti in Arizona, i semiconduttori prodotti a Taiwan e in Corea del Sud sarebbero comunque insostituibili al momento.

Per questo, spostare la produzione negli USA richiederebbe ingenti investimenti a lungo termine in automazione, infrastrutture, formazione del personale, oltre a tempi lunghi.

In più, convincere i produttori di componenti stranieri a costruire fabbriche negli Stati Uniti rappresenta un’altra sfida enorme.

“Se sei un fornitore cinese che produce un componente che entra sia nell’iPhone sia in un marchio cinese come Huawei o Xiaomi, hai un vantaggio”, ha affermato Wamsi Mohan della Bank of America. “Non c’è alcun incentivo a scorporare quelle fabbriche perché in Cina si ottengono economie di scala ed efficienze produttive che non si possono ottenere con Apple come unico cliente.”

Il professor Cai ha aggiunto che la politica statunitense cambia ogni quattro anni, il che non da stabilità e rende le aziende restie a investire facilmente. “Devono elaborare un piano a lungo termine.”, ha aggiunto.

Anche Mark Randall, allora vicepresidente senior di Motorola coinvolto nel piano di costruzione della nuova fabbrica negli Stati Uniti, ammise che i dazi avrebbero causato “un incubo” nel momento in cui le aziende avessero stimato i costi di realizzazione.

“Ecco perché la maggior parte delle aziende non reagisce in modo impulsivo e a breve termine ai cambiamenti a cui stiamo assistendo oggi”, ha aggiunto Cai. “Bisogna essere molto strategici e capire dove si vuole arrivare nel lungo termine.”

Apple tenta comunque di lasciare in parte la Cina

Fino a poco tempo fa, la Cina rappresentava la stragrande maggioranza della produzione degli iPhone. Nel 2022, le stime suggerivano che oltre il 90-95% di questi prodotti fosse assemblato in Cina, principalmente da Foxconn a Zhengzhou (spesso chiamata “iPhone City”) e da altri partner come Pegatron.

Tuttavia, a causa delle tensioni geopolitiche, della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e delle interruzioni della supply chain dovute ai lockdown legati al COVID, Apple ha diversificato la propria catena di approvvigionamento. A fine 2024, Evercore ISI stima che circa l’80% della capacità produttiva fosse rimasta in Cina, con il 90% degli iPhone ancora assemblato lì. Altri rapporti di fine 2024, invece, suggeriscono che questa cifra sia ulteriormente diminuita con l’aumento della produzione altrove.

All’inizio del 2025, Pechino dovrebbe comunque rappresentare circa il 70-80% della produzione degli iPhone. Questo riflette un graduale calo rispetto al 90% e oltre degli anni precedenti, trainato dagli spostamenti verso India e Vietnam, sebbene, come detto, Pechino mantenga un ruolo dominante grazie alla sua infrastruttura consolidata e alla sua forza lavoro qualificata.

Percentuale di iPhone realizzati in Vietnam

Il Vietnam è diventato un attore chiave nella strategia di diversificazione di Apple, sebbene il suo ruolo nell’assemblaggio degli iPhone sia ancora inferiore a quello della Cina. Storicamente, il Vietnam si è concentrato su componenti (ad esempio, moduli per fotocamere) e prodotti di piccole dimensioni come AirPods, iPad e Apple Watch, piuttosto che sugli iPhone.

Report del 2023-2024 indicano che Apple ha iniziato a trasferire parte della produzione di iPhone in Vietnam, con Foxconn e Luxshare che stanno espandendo gli impianti lì. Tuttavia, la quota del Vietnam rimane limitata rispetto a Cina o India. Evercore ISI (2024) ha osservato che il Vietnam rappresenta circa il 20% della produzione di iPad e il 90% dell’assemblaggio di dispositivi indossabili (ad esempio, Apple Watch), ma le stime specifiche per gli iPhone sono inferiori.

Si ritiene che ad aprile 2025, il Vietnam produca il 5-10% degli iPhone. Questa stima si basa sul suo ruolo crescente nell’ecosistema Apple (ad esempio, l’aumento della produzione di MacBook e AirPods) e sulle proiezioni degli analisti (ad esempio, la previsione di Ming-Chi Kuo del 2022 sul Vietnam come hub secondario), sebbene l’India lo abbia superato nell’assemblaggio degli iPhone.

Ruolo dell’India

Secondo Bloomberg e Counterpoint Research, l’India è un terzo attore significativo in quanto a fine 2024 produceva circa il 14-20% degli iPhone, raddoppiando la quota del 7% dell’anno precedente. Gli analisti di Bernstein stimano che l’India potrebbe raggiungere il 15-20% entro la fine del 2025, superando potenzialmente il Vietnam. Ciò finisce per diluire la quota del Vietnam rispetto alla Cina.

Tendenze future

Come si è detto, i dazi di Trump annunciati nell’aprile 2025 potrebbero accelerare i cambiamenti, ma la consolidata catena di approvvigionamento cinese rende difficili i cambiamenti rapidi. L’aliquota tariffaria più elevata del Vietnam potrebbe rallentare la crescita del mercato degli iPhone rispetto all’India.

Nel 2022, analisti come JP Morgan prevedevano che il 25% degli iPhone sarebbe stato prodotto al di fuori della Cina entro il 2025, suddiviso tra India (obiettivo del 25% a lungo termine) e Vietnam (quota minore).

Al momento, la quota della Cina sta diminuendo, ma non così rapidamente come alcuni si aspettavano.

Va comunque precisato che tutti questi dati sono approssimativi poiché Apple non divulga pubblicamente l’esatta suddivisione della produzione.

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