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Codice di buone pratiche sull’AI: regalo alle big tech, smacco alla cultura



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Il nuovo Codice di buone pratiche dell’AI Act rappresenta un banco di prova cruciale per il futuro dell’industria culturale europea. In gioco l’equilibrio tra innovazione e tutela

Pubblicato il 11 feb 2025

Innocenzo Cipolletta

Presidente dell’Associazione Italiana Editori e di Confindustria Cultura Italia



copyright

Una premessa, doverosa: l‘editoria vive di innovazione e oggi l’intero settore è impegnato a sperimentare e comprendere come l’Intelligenza Artificiale può intervenire nei flussi di lavoro, migliorandoli sotto molti aspetti, dall’editing alle attività di marketing, alla gestione intelligente degli stock e della logistica, al supporto nella produzione di contenuti accessibili ai lettori con disabilità visiva.

Le potenzialità dell’IA nell’editoria

L’intelligenza artificiale promette inoltre di innovare le piattaforme e i servizi degli editori: si pensi alle potenzialità nell’editoria educativa, in quelle professionale o accademica e di ricerca. Le altre industrie culturali e creative stanno vivendo un momento analogo di esplorazione e sperimentazione.

L’impegno dell’editoria nell’innovazione

Gli editori sono impegnati da anni in questa innovazione: basti pensare che il primo libro interamente prodotto con l’IA, ed esplicitamente dichiarato come tale, è del 2019 (una rassegna della letteratura scientifica sulle batterie al litio) o che nel curriculum di dottorato di interesse nazionale su Editoria e Innovazione, gran parte delle 14 case editrici che hanno co-finanziato borse di studio stanno facendo ricerca congiunta con le università sull’IA. Alcuni dei maggiori gruppi editoriali italiani hanno iniziative stabili per finanziare startup sul tema.

L’importanza di governare l’innovazione

Allo stesso tempo, l’innovazione deve essere governata. L’Europa, con la Direttiva Copyright nel mercato unico digitale prima e l’AI Act dopo, sembrava averlo capito, stabilendo, prima al mondo, regole chiare per la tutela del diritto d’autore in un contesto in forte evoluzione. Va sempre ricordato, infatti, che senza diritto d’autore non esiste l’industria culturale, e senza industria culturale non esisterebbe l’intelligenza artificiale generativa, che sui nostri contenuti è stata costruita.

Il Codice di buone pratiche per gli operatori IA a scopi generali

Ma ottime leggi possono essere vanificate da atti attuativi deboli, quando non contradditori. Per garantire il rispetto dei principi dell’AI Act in materia di diritto d’autore, il Regolamento prevede la redazione di un Codice di buone pratiche per gli operatori IA a scopi generali. È stato costituito un gruppo di lavoro per definire una proposta e le prime bozze sono chiaramente sbilanciate a favore delle Big Tech, tanto da tradire la strada che il legislatore europeo aveva imboccato con lungimiranza indicando due principi fondamentali: il rispetto della riserva dei diritti (opt-out) per gli usi dell’intelligenza artificiale e la trasparenza delle fonti usate per l’addestramento dei sistemi.  Si tratta di una preoccupazione espressa all’unisono dall’industria culturale europea in una lettera di pochi giorni fa alla Commissione europea.

I tre problemi principali delle bozze del Codice di buone pratiche

Tre sono le criticità principali delle bozze circolate a oggi.

Tutela degli aventi diritto affidata a sistemi obsoleti

In primo luogo, si impone un solo metodo tecnologico per l’esercizio della riserva dei diritti: il file robots.txt, un sistema datato (è nato nel 1994) e inefficace, nato per finalità differenti e ritenuto dagli aventi diritto del tutto inadatto a servire per gli scopi previsti dalla Direttiva Copyright e dall’AI Act. È persino paradossale che, in nome dell’innovazione si propone di imporre un sistema nato 30 anni fa. A fronte dell’esistenza di migliaia di crawler che potenzialmente possono visitare i siti web e catturarne i contenuti per addestrare l’IA, chiedere ai detentori di diritti di utilizzare robots.txt per esercitare l’opt-out sarebbe come chiedere a ogni cittadino di affiggere alla porta d’ingresso di casa sua l’elenco completo delle persone che non possono entrare, indicando di ognuno nome e cognome. È illogico e non fattibile. Senza dimenticare che si tratta di un metodo di opt-out applicabile solo ai siti web e non ad altre fonti come i dataset e i singoli file di ebook.  Imporre un solo metodo — per di più obsoleto — non solo favorisce unicamente le piattaforme digitali, rendendo più difficile l’esercizio del diritto d’autore, ma viola la stessa la Direttiva Copyright, che riconosce agli aventi diritto la possibilità di scegliere strumenti appropriati.

Esenzioni per le PMI non previste nell’AI Act

In secondo luogo, le bozze prevedono esenzioni per le piccole e medie imprese che non sono previste nell’AI Act. Anche senza considerare che un provvedimento attuativo non può violare la norma che intende implementare,  siamo di fronte a un’esclusione ingiustificata, che potrebbe creare un pericoloso precedente, aprendo falle nella protezione del diritto d’autore e consentendo il proliferare di violazioni senza alcun controllo.

Il concetto di reasonable effort al posto di obblighi chiari e vincolanti

Infine, si introduce il concetto di reasonable effort (sforzo ragionevole) al posto di obblighi chiari e vincolanti. Questo approccio rischia di trasformare regole precise in mere dichiarazioni di principio, senza effettiva possibilità di controllo e sanzione, ancora una volta violando la lettera e gli obiettivi del Regolamento.

Con queste premesse la difesa del diritto d’autore prevista nell’AI Act diventa semplicemente impraticabile.

L’invito al Governo italiano

Confidiamo che il governo italiano intervenga con determinazione nell’iter di approvazione Codice, in modo da renderlo uno strumento efficace per la tutela del diritto d’autore in linea con quanto previsto dall’AI Act. Gli Stati membri hanno infatti la possibilità di intervenire grazie all’AI Board, un organo istituito dall’AI Act che svolge un importante funzione consultiva ne confronti della Commissione per l’attuazione delle norme. Allo stesso tempo, occorre sbloccare il disegno di legge governativo sull’intelligenza artificiale, attualmente fermo, che rappresenta un’opportunità per rafforzare la tutela del settore culturale e creativo nel contesto della rivoluzione digitale, complementare e sinergico rispetto al quadro europeo.

Innovazione è tutela dei diritti

L’innovazione e la tutela dei diritti non sono in contrasto. Nonostante le Big Tech cerchino di imporre questa narrativa, noi pensiamo che sia vero il contrario. I mercati nascenti saranno basati sulla fiducia dei cittadini e delle imprese su correttezza e affidabilità dei nuovi strumenti. Trasparenza e rispetto delle regole sono la base della costruzione di questa fiducia. Lungi da essere un fattore di inibizione, l’innovazione all’interno di un quadro certo di regole potrà comportare un vantaggio competitivo per le imprese europee.

Un’IA sviluppata nel rispetto delle regole può essere un motore di crescita non solo per l’intero ecosistema creativo. Si pensi a un’impresa metalmeccanica di precisione che voglia usare questi strumenti per l’analisi di propri dati industriali: deve avere una fiducia assoluta sulle modalità sulla riservatezza con cui vengono tratti tali dati. Per realizzare questa visione servono norme chiare, strumenti efficaci e un impegno concreto da parte delle istituzioni.

L’Italia e l’Europa devono dimostrare di saper difendere la loro cultura e la loro industria, garantendo un futuro sostenibile per tutti.

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