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Il lato oscuro della pubblicità programmatica: ecco come finanzia la disinformazione



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Nel 2024, la disinformazione online è amplificata dalla pubblicità programmatica, che utilizza algoritmi per posizionare annunci senza considerare il contenuto adiacente. Questo sistema, sfruttato da grandi inserzionisti come Geico, ha contribuito a finanziare siti di disinformazione, evidenziando un grave problema nell’ecosistema dell’informazione digitale

Pubblicato il 6 giu 2024

Antonino Mallamaci

avvocato, Co.re.com. Calabria



disinformazione, fake news

Il problema enorme della disinformazione on line, particolarmente avvertito in questo 2024 zeppo di tornate elettorali in tutto il mondo, non può essere affrontato efficacemente se non si tiene conto del funzionamento della pubblicità programmatica. Di cosa si tratta?

Let’s talk about how the disinformation crisis is monetized

Definizione e funzionamento della pubblicità programmatica

Mediante il “Programmatic Advertising” le grandi agenzie che lo utilizzano sono in grado di offrire alle aziende che vogliono investire in pubblicità “Il giusto messaggio, al target giusto, nel momento giusto”. Come? Operando con piattaforme tecnologiche che convogliano la domanda e l’offerta di spazi pubblicitari online, indirizzando in tempo reale e in forma automatizzata il messaggio pubblicitario ad un target preciso.

Tre sono gli elementi che caratterizzano questa forma di compravendita di spazi pubblicitari. Innanzitutto, l’advertising è “programmatico”, in quanto le fasi del processo, dalla selezione del target al pagamento, avvengono su una piattaforma interamente automatizzata; “condotto in tempo reale”, (in real time) perché l’acquisto avviene solo nel momento in cui la impression (cioè la visualizzazione dell’annuncio) si rende disponibile; “la compravendita si basa sui dati” (data – driven): è il target a guidare la valorizzazione e l’acquisto di una specifica impression. Questo strumento consente insomma di focalizzare gli annunci, utilizzando una miriade di dati raccolti da molte fonti, su target molto specifici. Fatto sta che il meccanismo (che vedremo in dettaglio più avanti), in teoria perfetto, presenta invece un aspetto critico di rilevante portata, che favorisce la disinformazione e gli altri fenomeni nocivi del web.

Il lato oscuro della pubblicità programmatica: il caso di Sputnik News

Questo se pensiamo, ad esempio, che nel 2019 Warren Buffett è stato il maggiore finanziatore di Sputnik News, il sito di disinformazione russo controllato dal Cremlino. Com’è potuto accadere? Perché Geico, la compagnia assicurativa americana di proprietà di Buffett, è stata la principale inserzionista sulla versione americana della rete di siti di Sputnik News, ma non in base ad una decisione scientemente assunta. Né perché un dirigente del marketing di Geico aveva deciso che fare pubblicità sul canale di disinformazione russo era una buona idea: nessuno alla Geico, o all’agenzia pubblicitaria alla quale si è rivolta, aveva idea che gli annunci sarebbero apparsi su Sputnik, né, ovviamente, che contenuti fake antiamericani sarebbero stati visualizzati accanto agli annunci. Gli annunci di Geico, insomma, erano stati inseriti attraverso il sistema di pubblicità programmatica. Esso, inventato alla fine degli anni ’90, è esploso circa 15 anni dopo, ed è ora il mezzo pubblicitario predominante.

Il ruolo centrale degli algoritmi nella posizionamento degli annunci

Con questo sistema, gli algoritmi programmatici, non le persone, decidono dove posizionare la maggior parte degli annunci su siti web, piattaforme di social media, dispositivi mobili, televisione in streaming ecc. ecc. Oltre, a Geico, altri 196 inserzionisti programmatici hanno acquistato annunci su Sputnik News. RT.com (già Russia Today), incassava entrate pubblicitarie da Walmart, Amazon, PayPal e Kroger, tra gli altri. Ogni giorno, circa 2.500 persone utilizzano questi algoritmi di pubblicità programmatica per spendere decine di milioni di dollari l’ora. Lavorano presso agenzie pubblicitarie sparse in tutto il mondo o nelle divisioni pubblicitarie interne quando si tratta di grandi aziende. Questi i passaggi. Mister X, uno dei 2500 sopra citati, accede a una piattaforma lato domanda, dove si trova lo spazio pubblicitario disponibile su ogni pagina di ogni sito web del mondo che la piattaforma stessa ha assemblato, e questo viene mentre il suo inventario viene reso disponibile a ogni Mister X. Un suo collaboratore si assicura che gli venga comunicata la campagna pubblicitaria pianificata. Quindi l’annuncio viene caricato sulla piattaforma lato domanda per l’implementazione, e Mister X viene informato sulle decisioni di targeting prese dai pianificatori, cioè su chi dovrebbe essere raggiunto dall’annuncio e quale messaggio gli deve arrivare.

Quindi gli esseri umani sono coinvolti nella scelta della strategia di vendita e nella creazione del messaggio, ma non decidono quale editore riceve l’annuncio per pubblicarlo. Delle schermate offrono una serie di scelte su dove, come e quando verrà visualizzato l’annuncio. Quella più importante riguarda il raggiungimento del target dell’annuncio al miglior prezzo. In pratica, è una borsa valori, ma l’acquirente non sa quali azioni sta acquistando; sarebbe a dire che l’inserzionista non sa di chi è l’inventario pubblicitario che sta acquistando, l’intermediario non può scegliere dove pubblicare l’annuncio.

È la macchina a prendere le decisioni di posizionamento

Ci sono solo pochissimi pianificatori, nelle agenzie, che continuano a fare acquisti diretti scegliendo giornali, riviste o siti Web dove deve apparire l’ annuncio. Quasi tutta la pubblicità online – e anche gran parte di quella in televisione (tramite lo streaming TV), o su podcast, radio, dispositivi mobili e cartelloni elettronici – viene ora effettuata in modo programmatico: è la macchina a prendere le decisioni di posizionamento. A meno che l’inserzionista non utilizzi elenchi di esclusione o di inclusione, gli editori e i contenuti attorno ai quali appare l’annuncio e che l’annuncio finanzia non fanno più parte della decisione. Le scelte di targeting iniziano con variabili ovvie e poi possono diventare quasi infinitamente particolareggiate, grazie alla profondità dei dati raccolti su ogni utente. Si inizia cliccando su maschio o femmina, continuando per fascia d’età, per indicare luogo di residenza, codice postale o classificazione del codice postale (urbano, suburbano, ecc.).

Come la pubblicità programmatica sfrutta il “segnale d’intenzione”

E poi, informazioni sempre più dettagliate: livello di reddito, livello di istruzione, religione, numero di volte in cui il target vedrà lo stesso annuncio, dispositivo utilizzato. Ancora l’ora del giorno in cui deve essere pubblicato l’annuncio. Si passa quindi al cosiddetto “segnale di intenzione“, che classifica alcuni comportamenti disponibili nei dati (come qualcuno che ha visitato un tipo di sito Web): indica una propensione, ad esempio, ad acquistare un camioncino o a iscriversi in palestra, o ad andare in vacanza. Ci sono centinaia di categorie di segnali d’intenzione di questo tipo, e altri ancora più precisi. Dopo aver selezionato tutte le caselle, Mister X prosegue per scorrere tutte le pagine con le scelte che si muovono sullo schermo, e così ha scelto il suo target (ad esempio, un maschio tra 35 e 65 anni, con reddito elevato e istruzione universitaria, che vive nei sobborghi, ha mostrato una propensione a noleggiare auto, viaggia regolarmente in aereo per lavoro, soggiorna in hotel di fascia alta e ha mostrato interesse per le automobili elettriche). A questo punto, se il cliente di MisterX, ad esempio la Hertz, ha stanziato 100.000 dollari per una campagna volta a incrementare il suo business mettendo in mostra le auto elettriche premium che ha a disposizione, egli decide di offrire un CPM di 20 centesimi, cioè 20 centesimi per ogni visualizzazione dell’annuncio tra 1.000 persone nel target raggiunto, nei successivi sei mesi. La piattaforma lato domanda informa che c’è 1 milione di tali “obiettivi” disponibili per le offerte, quindi raggiungere tutti gli obiettivi 500 volte in sei mesi costerà 100.000 dollari, che corrisponde al budget fissato. L’offerta massima quindi è di 20 centesimi per ogni visualizzazione di un utente.

Le impreveidibili variazioni dei prezzi degli annunci

Quando però la piattaforma lato domanda esamina l’inventario di spazi pubblicitari disponibili su decine di migliaia di siti web, potrebbe scoprire che alcuni siti web (o reti di siti, dette piattaforme lato offerta) richiedono solo 5 centesimi per mille. Il prezzo potrebbe essere abbassato perché, esaurita l’offerta, i fornitori hanno molto spazio pubblicitario invenduto. Pertanto, l’algoritmo consente ai fornitori di offrire un affare istantaneamente, in modo che possano sfruttare spazio pubblicitario che sennò resterebbe invenduto. A questo punto, l’agente pubblicitario Mister X può decidere di restituire i risparmi al cliente o di aumentare il numero di impression acquistate. Grazie agli algoritmi potentissimi, questo prezzo dell’annuncio – sito web per sito web, visualizzatore per visualizzatore – viene variato in una frazione di secondo. Ciascuno dei 500 milioni di impression, o annunci, verrà acquistato separatamente, uno per uno, attraverso questo sistema di aste quasi istantaneo. In uno schermo l’agenzia e il suo cliente potranno monitorare i dati che la piattaforma lato domanda invierà loro minuto per minuto nei 6 mesi successivi, mostrando l’andamento della campagna: il prezzo che si sta effettivamente pagando, i progressi della campagna nel raggiungimento degli obiettivi e i risultati, inclusa la percentuale di obiettivi che hanno fatto clic per ottenere maggiori informazioni da Hertz.

Ciò consente loro di modificare il piano: ridurre o aumentare il budget, modificare il messaggio o modificare alcune delle scelte target. La spesa per la pubblicità programmatica a livello globale è arrivata, secondo le stime, a 300 miliardi di dollari nel 2023. La catena commerciale, che inizia con l’inserzionista e termina con l’editore dell’annuncio, è in effetti molto più complessa della versione semplificata appena illustrata. Complessa e anche opaca, tanto che la maggior parte di coloro che operano nel settore non capiscono tutto il gergo o ogni aspetto del suo funzionamento. Ciò che è certo, come detto, è che il processo è come una borsa valori, tranne per il fatto che l’acquirente non sa quali azioni sta acquistando. Ciò significa che l’inserzionista e la sua agenzia pubblicitaria non hanno idea di dove, tra migliaia di siti web, apparirà l’annuncio.

Siamo tuti “bersagli” degli inserzionisti

Inoltre, l’editore e il contenuto dell’editore non sono il prodotto. Il prodotto è la persona i cui dati sono stati raccolti in modo così accurato da diventare bersaglio dell’inserzionista. Insomma, il “titolo” che l’inserzionista sta acquistando. L’idea centrale della pubblicità programmatica è che non importa dove vedi l’annuncio.

Fino a una ventina di anni fa gli editori impiegavano tanti venditori per convincere coloro che avevano prodotti da vendere che le loro pagine, i programmi TV o radiofonici, erano l’ambiente giusto per gli annunci. Il contenuto contava. Con l’avvento della pubblicità programmatica, il contenuto non ha più importanza. Conta dove puoi indurre il tuo target a guardare il tuo annuncio al prezzo più basso.

Una corsa perpetua verso il basso

Ma molti argomenti contraddicono il presupposto secondo cui il luogo in cui vengono pubblicati gli annunci non fa alcuna differenza, compresi studi che dimostrano che le persone rispondono in modo più positivo alla pubblicità che appare su siti Web e su altri media che considerano affidabili. Eppure la pubblicità programmatica ha prosperato basandosi sulla convinzione centrale che tutte le impression indirizzate al target giusto abbiano lo stesso valore. Quindi, se Sputnik News vende una impression per meno di quanto lo fa un giornale locale affidabile, Sputnik vince l’asta. È una corsa perpetua e istantanea verso il basso.

Uno studio del 2023 dell’associazione degli inserzionisti, che stimava il numero di siti Web coinvolti in una tipica campagna di un grande marchio, si concentrava anche sulla qualità di tali siti Web. Ha soprannominato i siti web con titoli clickbait e storie false MFA, o siti creati per la pubblicità, il cui unico scopo è salire sul treno della pubblicità programmatica utilizzando titoli, articoli e immagini che funzionano meglio per attirare i like e i retweet sui social media. Le agenzie intermediarie del mondo spendono il 14% dei budget pubblicitari in MFA.

Google e Trade Desk dominano il mercato

Le due più grandi piattaforme dal lato della domanda, responsabili della realizzazione di questa asta multimiliardaria, multi-acquirente e multi-venditore, sono Google e Trade Desk.

Google non rivela molto sul suo volume e sui suoi profitti e poiché la sua piattaforma lato domanda, sebbene enorme, è solo una parte dell’attività complessiva, la società non ha bisogno di fornire i dettagli nei rapporti richiesti alle società quotate in borsa. Si può sapere di più su Trade Desk e sugli aspetti economici che rendono la pubblicità programmatica così appetitosa. È anch’essa quotata, ma la piattaforma lato domanda è la sua unica attività, il che rende i suoi documenti una finestra su almeno alcuni dettagli del modello di business della pubblicità programmatica.

Trade Desk è stata fondata nel 2009. Nel 2022, la società ha registrato un fatturato del 32% superiore rispetto all’anno precedente. Poiché è così incentrata sull’intelligenza artificiale e sui dati, nel 2023 aveva solo 2.800 dipendenti. WPP, la più grande holding di agenzie pubblicitarie, ha più di 100.000 dipendenti. Meno del 3% di questa cifra è tutto quello che serve al Trade Desk per creare gli algoritmi che gestiscono e raccolgono i dati provenienti dalla propria banca di fonti online, così come da dozzine di broker di dati esterni che estraggono rapporti di credito, richieste di licenza e documenti. Di conseguenza, il flusso di cassa di Trade Desk nel 2022 (l’utile senza contare le rettifiche contabili) è stato di ben il 42% delle entrate, (668 milioni di dollari). La sua capitalizzazione di mercato (il valore di tutte le sue azioni) era di circa 38 miliardi di dollari a settembre 2023. Il valore di mercato di WPP era circa un quarto di quello: 10 miliardi.

La sicurezza del marchio nel mondo della pubblicità programmatica

Altro aspetto da considerare con attenzione: si potrebbe credere che un sito web con tre pagine e tre diversi spazi pubblicitari per pagina abbia un totale di nove unità pubblicitarie da vendere. Ma poiché gli annunci online sono mirati a singoli utenti, lo stesso sito con 1.000.000 di lettori ha in realtà 9.000.000 di unità diverse da vendere: ciascuna delle impression del sito web è mirata a ciascun lettore. Non esistono due posti esattamente uguali. Ciò significa che se due persone vanno sullo stesso sito web contemporaneamente, vedranno due annunci diversi a seconda dei dati demografici e sulla posizione, dei segnali di intenzione e degli indicatori collegati a ciascun dispositivo. Ciò che la macchina di Google o Trade Desk non fa è dire agli inserzionisti e alle agenzie intermediarie dove sono gli annunci visonati, a quali 1.000 o 10.000 o 50.000 siti web sarà indirizzato il suo annuncio.

Man mano che la pubblicità programmatica prendeva piede, il settore si rese conto che essere totalmente indipendenti dal contenuto riguardo a dove apparivano gli annunci era un problema. Gli annunci venivano pubblicati su siti pornografici, su siti che promuovevano il razzismo o l’antisemitismo e su siti che promuovevano il terrorismo o reclutavano terroristi. Altri siti utilizzavano bot per creare utenti fake, aumentando così il numero di visualizzazioni degli annunci da vendere. Di conseguenza, tra il 2008 e il 2010 sono state lanciate tre società su un nuovo mercato: quello della “sicurezza del marchio”, che offre un servizio che serve a mantenere i prodotti di aziende di buona reputazione lontani da questi siti non sicuri. La loro tecnologia si è rivelata estremamente efficace nell’individuare e impedire che gli annunci pubblicitari finissero su siti porno o su altri tossici.

Le criticità del sistema delle parole bloccanti

I loro algoritmi, software di ricerca per parola chiave e altri strumenti di intelligenza artificiale, rilevano le immagini o le parole utilizzate su tali siti. I programmatori del software hanno anche sviluppato modi per distinguere alcuni robot dalle persone reali. Ma ciò che l’intelligenza artificiale non poteva e non può fare è individuare la maggior parte delle forme di disinformazione, soprattutto se i siti web non utilizzano titoli palesemente stravaganti o parole o immagini provocatorie e rivelatrici. Il rimedio? Le tre società di sicurezza del marchio hanno iniziato ad offrire agli inserzionisti la possibilità di utilizzare “parole bloccanti”. Quando una di queste parole appare su una qualsiasi pagina di un sito Web, su quella non apparirà alcun annuncio dell’ inserzionista (o dell’ agenzia) clienti della società per la sicurezza del marchio. Tuttavia, man mano che le parole bloccanti hanno cominciato a crescere di numero, gli elenchi hanno cominciato a contenere troppi termini, pure quelli che possono connotare una disinformazione o un linguaggio d’odio, ma anche una semplice notizia. “Shot” potrebbe indicare la storia di un omicidio, o quella di una partita di basket, dove il giocatore ha “sparato” un tiro da tre. Ma col sistema delle parole bloccanti, l’annuncio non viene pubblicato in quella pagina nell’uno e nell’altro caso.

Quando la Russia invase l’Ucraina, le società di sicurezza del marchio non riuscirono a tenere lontani 79 marchi di proprietà di aziende occidentali da 88 diversi siti di propaganda russa! Per sfuggire a queste trappole, NewsGuard concede in licenza i suoi dati, che identificano coloro che soddisfano i suoi criteri per aderire agli standard di base della pratica giornalistica, e quindi prendere decisioni informate su come utilizzare i dati. L’intelligenza umana (lettura e valutazione dei fornitori di notizie e informazioni) piuttosto che l’intelligenza artificiale.

Il modo in cui le tradizionali soluzioni tecnologiche per la sicurezza del marchio hanno funzionato giustificano questa alternativa. Nel 2021, un documentario televisivo francese ha indicato la principale società di telecomunicazioni, il servizio tributario interno del governo e la Carrefour quali soggetti che stavano contribuendo a finanziare la disinformazione con la loro pubblicità. Allo stesso tempo, quando la crisi del Covid ha raggiunto il suo culmine, gli inserzionisti, le loro agenzie e le società di sicurezza del marchio che hanno utilizzato parole bloccanti hanno provocato, certo involontariamente, una situazione paradossale: essendo “Covid” una parola bloccante, qualsiasi articolo con quella parola poteva causare la mancata pubblicazione di annunci al suo fianco.

Quindi gran parte dell’inventario pubblicitario per i siti di notizie e i rapporti più affidabili è stato eliminato, compresi quelli che indagavano e sfatavano la disinformazione sul virus, e questi hanno perso la maggior parte se non tutto il sostegno finanziario scaturente dalla pubblicità. Addirittura, in alcuni giorni quasi la metà delle pagine dei siti web del New York Times o del Wall Street Journal erano piene di messaggi a basso costo perché nessun grande marchio acquistava gli spazi. Più recentemente, con lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, il blocco delle parole si è rivelato una soluzione inefficace, sia perché molti inserzionisti non le hanno utilizzate, sia perché molti dei peggiori siti web hanno capito come eluderle non utilizzando le parole bloccate. Nei primi due mesi dall’inizio della guerra, 349 marchi importanti erano stati trovati pubblicizzati su siti web che promuovevano storie che presentavano l’attacco di Hamas del 7 ottobre come una “false flag” israeliana. Nonostante tutte queste controindicazioni, le agenzie pubblicitarie difficilmente rinunceranno a un meccanismo che fa guadagnare loro cifre colossali. Un film già visto con le big tech. Un dirigente di una di queste aziende ha dichiarato a Wired: “Abbiamo creato questa gigantesca macchina multimiliardaria. Per noi produce margini più elevati di qualsiasi altra cosa; i nostri clienti non hanno idea di come o se funzioni, ma pensano che faccia risparmiare loro denaro.

Perché mai dovremmo porci domande al riguardo, se i nostri clienti sono ipnotizzati dalla tecnologia e sono contenti se ogni visualizzazione pubblicitaria, anche sul peggior sito web, è conveniente per il prezzo basso?.”

D’altra parte, spostare anche parte di questo fiume di denaro sui siti web dei giornali affidabili aggiungerebbe quasi il 50% alle fortune di questi editori in difficoltà. Essendo le due principali piattaforme dal lato della domanda, Google e Trade Desk hanno abilitato la maggior parte degli annunci apparsi su quei siti web che contenevano bufale su Covid ed elezioni americane, o disinformazione sulla guerra Russia-Ucraina. Avrebbero potuto facilmente eliminarli dal loro inventario di visualizzazioni in vendita. Infatti, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, Google ha annunciato: “A causa del conflitto in Ucraina, metteremo in pausa gli annunci pubblicitari su siti web con contenuti che sfruttano o negano la guerra”. Tuttavia, la società ha limitato la sospensione ai due siti di propaganda russa più noti e famigerati, RT e Sputnik News, ignorando centinaia di altri. Trade Desk, dal canto suo, ha affermato che gli inserzionisti, le agenzie pubblicitarie e gli altri intermediari nella catena del commercio programmatico sono liberi di concedere in licenza e utilizzare elenchi di esclusione o inclusione di qualsiasi fornitore, compreso NewsGuard, dove possono essere inseriti negli acquisti pubblicitari effettuati sulla sua piattaforma.

Conclusioni

Un ostacolo fondamentale è stata la riluttanza di coloro che sono coinvolti nella catena programmatica del commercio ad assumersi la responsabilità e ad ammettere che il loro sistema ha un importante anello debole. Molte persone coinvolte sembrano non voler ammettere la lampante realtà che l’“infodemia”, alimentata dagli algoritmi di raccomandazione delle piattaforme di social media, richiede un approccio volto alla sicurezza del marchio che ripristini un certo grado di attenzione sulla natura del contenuto editoriale. Molti nel settore sono riluttanti a riconoscere il difetto di quella che ormai è una storia d’amore di quasi 20 anni con la loro redditizia tecnologia. Di conseguenza, l’ecosistema delle notizie e dell’informazione, così importante per una democrazia funzionante e per la società civile, ha subito un doppio colpo. In primo luogo, come abbiamo visto, i motori di raccomandazione delle piattaforme di social media hanno promosso la disinformazione. In secondo luogo, la pubblicità programmatica le ha fornito sostegno finanziario, anche da parte di personaggi del calibro di Warren Buffett. Perché il sistema mette all’asta l’accesso alla persona – target senza badare al contenuto che sta a fianco all’annuncio.

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