La voce “Disinformazione” del Vocabolario Treccani riporta due distinti significati del termine: “s. f. [comp. di dis-1 e informazione]. – 1. Diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno (per es., dei proprî avversarî politici, dei proprî nemici in un conflitto bellico, e sim.). 2. Mancanza o scarsità d’informazioni attendibili su un determinato argomento, e spec. su fatti e avvenimenti sui quali si dovrebbe essere informati”.
In pratica, propaganda effettuata con notizie non corrispondenti al vero per ottenere un determinato output in un determinato settore dell’opinione pubblica.
Disinformazione: perché la vera chiave di contrasto è la democrazia digitale
Le fake news (volgarmente dette “bufale”) sono uno degli strumenti della disinformazione intesa nella prima accezione, ma possono essere impiegate anche per determinare “disinformazione” intesa come vera e propria ignoranza.
In questo secondo caso la disinformazione ha una finalità leggermente diversa rispetto a quella finalizzata all’output sull’opinione pubblica: serve a direzionare un numero indeterminato di soggetti verso la condivisione di un’idea di fondo, normalmente per finalità di marketing.
La distinzione è utile per gli addetti ai lavori: in un caso si opera per ragioni politiche, nel secondo caso per “vendere” qualcosa a qualcuno.
È possibile che le due finalità – e le relative modalità operative – si intersechino e si sovrappongano: alla fine, anche in politica si “vende un prodotto”, per quanto si tratti dell’idea di una fazione politica, o della – spesso presunta – competenza dei suoi aderenti.
UE e fake news
Nel codice di condotta sottoscritto dalle Big tech il 16 giugno 2022, il tema della disinformazione in rete è trattato in maniera diffusa.
Nell’accordo che prepara il terreno all’approvazione del Digital services Act, sono numerose le questioni inerenti alla disinformazione: su tutte, le problematiche emerse durante la prima fase del conflitto russo-ucraino.
Disinformazione, le Big Tech aderiscono al codice di condotta Ue: azioni, norme e sanzioni
Per queste ragioni, la UE ha ritenuto necessario dotarsi di un organismo e di procedure ad hoc.
Un comitato di coordinatori nazionali dei servizi digitali potrà raccomandare alla Commissione di attivare il meccanismo, finalizzato alla valutazione di impatto delle attività di piattaforme e motori di ricerca, con la possibilità di adottare misure proporzionate ed efficaci a tutela dei diritti fondamentali.
In altri termini, l’applicazione di filtri a contenuti e meccanismi non espliciti di censura.
La disinformazione dovrebbe essere disincentivata anche sotto il profilo economico: in altri termini, una volta “deciso” che un contenuto è fake, gli introiti pubblicitari per piattaforme e motori di ricerca andrebbero azzerati o drasticamente ridotti.
Dato che i fringe sites guadagnano parecchio tramite la pubblicizzazione di prodotti sui propri canali, la scelta politica è, obiettivamente, molto forte.
Va detto che il pubblico dei social network non ha molta fiducia nei media mainstream: il giornalista indipendente Matteo Gracis ne dà prova plastica attraverso la sua pagina Facebook.
In un suo post del 19 giugno mostrava come la notizia relativa al codice di condotta sottoscritto tra Big Tech e UE dell’Ansa (titolo: “Stretta Ue sulle fake news, big tech aderiscono a nuovo codice – Intenet e social) sia stata accolta con 746 like, 334 reazioni “arrabbiate” e 1120 facce che ridono.
Come dire: nessuno vi crede.
L’Iran verso una legge contro la “disinformazione”
La Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, ha pubblicamente chiesto l’approvazione di una legge che vieti di diffondere “voci” o “false affermazioni” su internet.
In pratica, una legge simile a quella egiziana, per la cui presunta violazione è stato arrestato e incarcerato Patrik Zaki, lo studente dell’Università degli Studi di Bologna di nazionalità egiziana.
Secondo il Correre della sera, “le accuse che gli vengono rivolte sono di istigazione alla violenza, alle proteste, al terrorismo e gestione di un account social che avrebbe come scopo quello di minare la sicurezza pubblica”.
In termini semplici: disinformazione e istigazione all’odio.
Per queste accuse, Zaki è stato incarcerato senza processo per circa due anni, sottoposto a trattamenti piuttosto “duri” ed è tuttora in attesa di essere giudicato.
Per il presidente di Amnesty International, che ha meritoriamente seguito la vicenda, “sono ormai 28 mesi, e arriveremo a 31, che Patrick Zaki è intrappolato in un meccanismo giudiziario arbitrario che, di rinvio in rinvio, continua a privarlo della sua completa libertà. Un periodo esorbitante, in cui il tempo di Patrick si è fermato, un periodo di tempo che di per sé è una punizione considerato che Patrick è accusato di un reato dal sapore orwelliano: ‘diffusione di notizie false’, per aver scritto la verità” (fonte. Ansa, a commento del rinvio del processo a 27 settembre 2022).
Siamo tutti Julian Assange
Amnesty International non si occupa solo dei crimini perpetrati da regimi orientali: punta il dito anche dritto verso di noi e verso l’ipocrisia della politica occidentale.
L’estradizione di Julian Assange dal Regno Unito agli USA è forse il più grave colpo alla libertà di informazione dato all’Occidente in questo periodo.
Pende il termine per l’appello: in un’intervista a Reuters del 17 giugno 2022, Gabriel Shipton, il fratello del fondatore di WikiLeaks, ha affermato che “probabilmente passeranno alcuni giorni prima della scadenza (di 14 giorni per l’appello) e l’appello includerà nuove informazioni che non siamo stati in grado di portare davanti ai tribunali in precedenza. Informazioni su come sono stati spiati gli avvocati di Julian e come sono stati complotti per rapire e uccidere Julian dall’interno della CIA”.
Se fosse vero, si starebbe assistendo, nel silenzio dei media, a un attacco diretto ai fondamentali dei valori democratici.
Diritto di difesa, segretezza delle comunicazioni con il proprio legale, diritto ad un giusto processo sono tutti i valori giuridici e politici violati nei casi di Patrik Zaki: per quest’ultimo – giustamente – l’Occidente si è indignato.
Per Assange, invece, le Democrazie occidentali si fanno… giustizia da sole.
Conclusioni
Disinformazione, fake news, ragion di Stato e… tanta ipocrisia. Questo si legge ultimamente sulla carta stampata e si sente in televisione.
Le fake news e l’odio online sono il facile capro espiatorio per molti fenomeni di cui siamo spettatori: così è avvenuto per la strage di Buffalo, che ha visto il dito puntato contro i fringe sites e non contro la vendita di armi negli USA.
Iniziamo ad osservare non solo la luna o il dito che la indica, ma anche il viso di chi indica: forse inizieremo a capire alcuni fenomeni, come quello della disinformazione, in maniera più distaccata e critica, ma nel senso etimologico del termine.