Ci sono momenti nella storia della tecnologia in cui si rompe la linearità del progresso. Non si tratta semplicemente di fare meglio ciò che già si fa, ma di cambiare completamente paradigma. È quello che sta accadendo con i computer quantistici.
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Il salto concettuale del computer quantistico
Se oggi viviamo immersi in un mondo digitale che si regge sui bit, sequenze di zeri e uno, stiamo ora mettendo piede in una realtà dove le regole classiche smettono di funzionare. Dove un bit può essere zero, può essere uno o entrambi i valori assieme… e dove l’informazione si intreccia e si propaga secondo leggi che sfuggono all’intuizione.
Non è un esercizio filosofico né tantomeno un esercizio di stile da laboratorio: è una vera e propria rivoluzione che è in atto. E anche se i computer quantistici non sono ancora nelle nostre case, stanno già ridisegnando il concetto stesso di calcolo. Le grandi aziende tecnologiche, i centri di ricerca, e persino i governi, stanno investendo miliardi per un obiettivo comune: capire come sfruttare queste macchine “esotiche” per risolvere problemi oggi considerati inaffrontabili.
Bit e qubit: due mondi a confronto
Per comprendere il salto concettuale, bisogna partire da un elemento basilare dell’informatica classica: il bit. Ogni informazione digitale, sia essa una foto, un video, una parola, può essere ridotta a una sequenza (più o meno lunga) di bit, ciascuno dei quali può essere o uno zero o un uno. È un linguaggio binario, semplice ma potente, che alimenta tutto ciò che usiamo quotidianamente: smartphone, laptop, satelliti, intelligenza artificiale.
Nel mondo quantistico, però, si entra in un territorio diverso. L’unità fondamentale dell’informazione è il qubit (quantum bit), che può trovarsi in una sovrapposizione di stati: non solo 0 o 1, ma una combinazione di entrambi, rappresentata matematicamente da un vettore nello spazio complesso. Questo significa che un qubit può contenere molta più informazione rispetto a un bit classico. Ma la sua vera forza emerge quando più qubit vengono combinati: la loro capacità di sovrapporsi e entanglarsi (cioè di influenzarsi a vicenda istantaneamente) genera uno spazio computazionale che cresce in modo esponenziale con ogni qubit aggiunto.
Con 2 qubit, ad esempio, si possono rappresentare 4 stati simultaneamente; con 3, già 8; con 10, si raggiungono 1024 stati contemporaneamente. Per un confronto: 300 qubit possono contenere più stati simultanei di quanti atomi ci siano nell’universo osservabile. Non è fantascienza, ma meccanica quantistica applicata.
Una nuova logica computazionale
Tuttavia, questo non significa che un computer quantistico sia semplicemente “più veloce”. Il concetto di velocità è fuorviante, perché si tratta di una modalità completamente nuova di affrontare problemi. Alcuni problemi specifici, come la fattorizzazione di grandi numeri primi, l’ottimizzazione combinatoria o la simulazione molecolare, possono beneficiare enormemente della struttura dei qubit. Altri, invece, rimangono più efficienti su architetture classiche.
Architetture diverse per un obiettivo comune
Non esiste un solo tipo di computer quantistico. Le aziende e i centri di ricerca stanno esplorando architetture diverse, ognuna con i suoi punti di forza e debolezze. I qubit possono essere realizzati con tecnologie molto differenti: da circuiti superconduttori a ioni intrappolati, da fotoni a punti quantici, fino alle esotiche vacanze topologiche proposte da Microsoft.
Uno degli approcci più maturi è quello dei superconduttori, adottato da Google e IBM. I qubit vengono costruiti come minuscoli circuiti elettrici che, a temperature prossime allo zero assoluto, diventano superconduttivi e possono mantenere stati quantistici per frazioni di secondo. Google, ad esempio, ha costruito il processore Sycamore, con 53 qubit, dimostrando nel 2019 la cosiddetta “supremazia quantistica”: l’abilità di risolvere un problema specifico in un tempo irrisoriamente breve rispetto a qualsiasi supercomputer esistente.
IBM, invece, ha adottato una strategia modulare e scalabile. Il suo processore Eagle, lanciato nel 2021, ha raggiunto i 127 qubit, mentre il più recente Condor ne ha superati 1000. Ma IBM guarda oltre: punta a creare un ecosistema quantistico accessibile via cloud. Con IBM Quantum, chiunque può sperimentare l’elaborazione quantistica, scrivere codice con il linguaggio Qiskit e farlo girare su macchine reali.
Un’altra via è quella degli ioni intrappolati, perseguita da IonQ e Honeywell. Qui, gli atomi vengono isolati e sospesi nel vuoto tramite campi elettromagnetici, e i qubit sono rappresentati dagli stati energetici degli elettroni. Questa tecnologia ha il vantaggio di un’ottima coerenza temporale – i qubit “durano” più a lungo – ma è ancora complessa da scalare su larga scala.
Poi c’è D-Wave, che ha puntato su un’architettura diversa chiamata quantum annealing, orientata a risolvere problemi di ottimizzazione. Non è un computer quantistico universale (cioè non può eseguire qualsiasi algoritmo quantistico), ma è molto efficace per problemi specifici come il calcolo di configurazioni energetiche minime, ottimizzazione di percorsi o configurazioni industriali.
Ogni architettura ha compromessi diversi tra numero di qubit, coerenza temporale, errori di calcolo, scalabilità, facilità di controllo. Nessuna ha ancora raggiunto una superiorità assoluta, ma tutte stanno avanzando a ritmi impensabili fino a pochi anni fa.
Linguaggi quantistici: programmare con qubit e porte
Un computer classico si programma con linguaggi come Python, Java, C++. Ma per un computer quantistico serve qualcosa di diverso. È qui che entra in gioco una nuova generazione di linguaggi quantistici.
Qiskit, sviluppato da IBM, è uno dei più diffusi. È open source, scritto in Python, e consente di creare circuiti quantistici da zero, visualizzarli, simularli e inviarli a processori quantistici reali. Altri linguaggi includono Cirq (Google), Ocean (D-Wave), PennyLane (Xanadu) e Q# (Microsoft).
Scrivere codice quantistico è concettualmente diverso: si progettano circuiti che manipolano i qubit attraverso porte quantistiche (gate) come Hadamard, Pauli-X, CNOT, ecc. Ogni gate rappresenta una trasformazione lineare sullo stato del qubit. Inoltre, essendo i qubit soggetti a errori e decoerenza (cioè perdono la capacità di mantenere le sovrapposizioni di stati quantistici), la correzione quantistica degli errori è un campo fondamentale e ancora in pieno sviluppo.
Dalla teoria alla pratica: simulazioni molecolari e crittografia
Il fascino del calcolo quantistico risiede nella sua capacità di attaccare problemi che oggi sono proibitivi. Uno degli esempi più emblematici è la simulazione molecolare. Le molecole, in quanto entità quantistiche, sono difficilmente simulabili con strumenti classici. Con un computer quantistico, invece, si possono modellare reazioni chimiche complesse, esplorare nuove strutture molecolari e accelerare, ad esempio, lo sviluppo di farmaci.
L’industria chimica e farmaceutica, non a caso, è una delle più interessate: aziende come BASF, Roche, Merck stanno già finanziando progetti quantistici. Anche Volkswagen ha sperimentato l’uso dei quanti per ottimizzare il traffico urbano in tempo reale, utilizzando i modelli D-Wave.
Un’altra area di applicazione cruciale è la crittografia. L’algoritmo di Shor, uno dei più celebri nella computazione quantistica, è in grado (teoricamente) di fattorizzare grandi numeri primi in tempi rapidissimi, mettendo a rischio la sicurezza delle attuali comunicazioni cifrate. Questo ha portato a un’ondata di ricerca nella cosiddetta crittografia post-quantistica, per garantire sicurezza anche nell’era dei qubit.
Nel settore finanziario, si guarda con attenzione al potenziale per risolvere problemi di ottimizzazione del portafoglio, valutazione di derivati complessi, simulazioni Monte Carlo accelerate. Alcune banche d’investimento e fintech stanno già testando algoritmi quantistici per migliorare previsioni e strategie.
Anche l’intelligenza artificiale potrebbe, in futuro, beneficiare dei computer quantistici. La possibilità di esplorare contemporaneamente molteplici configurazioni può migliorare drasticamente l’efficienza di certi algoritmi di apprendimento automatico, anche se siamo ancora in fase sperimentale.
Limiti attuali e sfide della tecnologia
Ma è importante non lasciarsi abbagliare. Oggi, i computer quantistici sono macchine delicate, instabili e rumorose. Il numero di qubit effettivamente utilizzabili (i cosiddetti qubit logici) è ancora molto inferiore al numero totale di qubit fisici. Gli errori sono frequenti, e la correzione degli stessi è una sfida ancora aperta.
La decoerenza, cioè la perdita dell’informazione quantistica a causa dell’interazione con l’ambiente, limita i tempi utili per i calcoli. Ogni passo in avanti richiede enormi sforzi in ingegneria, fisica, matematica e informatica teorica.
Nonostante ciò, ogni anno la frontiera si sposta. E l’interesse crescente del settore privato e pubblico suggerisce che la tecnologia, pur non ancora matura, non è più confinata nei laboratori.
Un cambiamento che riscrive il futuro
Potremmo trovarci oggi nella stessa posizione in cui si trovavano i pionieri dell’informatica classica negli anni ’50, quando un computer occupava una stanza intera e poteva fare meno di quanto oggi faccia una calcolatrice da supermercato. Ma in quei colossi ingombranti si nascondeva il seme della trasformazione globale.
Oggi, nei silenzi criogenici delle camere a zero assoluto, tra onde radio che colpiscono atomi sospesi nel vuoto e circuiti a base di niobio, si sta scrivendo il prossimo capitolo. L’informatica quantistica non è una semplice evoluzione: è una nuova grammatica per interpretare e manipolare la realtà.





































































