l’analisi

Sintesi AI dei motori di ricerca: perché danneggiano editori e concorrenza



Indirizzo copiato

Le funzioni di sintesi AI dei motori di ricerca stanno cambiando il paradigma del search, disintermediando editori e comparatori di prezzi e ponendo interrogativi inediti su concorrenza, copyright, ruolo dei gatekeeper e applicazione di DMA, P2B e Digital Services Act

Pubblicato il 11 dic 2025

Eugenio Prosperetti

Avvocato esperto trasformazione digitale, docente informatica giuridica facoltà Giurisprudenza LUISS



Google AI Overview Sintesi AI motori di ricerca

Sono ormai popolari le funzioni di sintesi generata dall’intelligenza artificiale dei motori di ricerca. Da qualche tempo sono, inoltre, sul mercato browser basati sull’intelligenza artificiale generativa, che sono un’estensione dei servizi dei principali produttori nel campo.

Queste funzioni hanno un impatto molto forte sul servizio di search, tale da potenzialmente cambiarne il paradigma e – in conseguenza – la funzione e il ruolo nel mercato dei servizi digitali.

L’utente che si rivolge a un servizio di search, infatti, intende ovviamente trovare link e siti da cui ricavare informazioni pertinenti alla sua ricerca: il prodotto della ricerca sono i c.d. “risultati naturali”. Questi sono, ormai da anni, affiancati dai risultati sponsorizzati che, pur implicando un ruolo più attivo del motore di ricerca, comunque, almeno sin qui, richiedono un’azione positiva dell’utente. Quest’ultimo, in altri termini, per visitare il sito e acquisire le informazioni di proprio interesse, deve scegliere uno dei vari risultati proposti da Google.

In ben pochi casi l’utente si può accontentare della sola lista di risultati, naturali e sponsorizzati. Allo scopo di soddisfare la ricerca dell’utente, questi deve visitare uno o più dei vari siti raccomandati dal motore di ricerca. L’utente trae le informazioni desiderate scegliendo attivamente i contenuti. Il motore di ricerca ha così una funzione principalmente organizzativa, che può indirizzare un processo decisionale dell’utente (ad esempio dando particolare rilevanza a un link), ma non sostituirsi ad esso. Al contempo le visite degli utenti alimentano il mercato, pubblicitario e non, che gira intorno ai siti che si visitano.

Disintermediazione degli editori con le sintesi AI dei motori di ricerca

Il sistema di search, al netto dei contenuti sponsorizzati, è dunque percepito come neutrale. La regolamentazione dei motori di ricerca li esenta da numerosi oneri editoriali, ad esempio dalla responsabilità editoriale per i contenuti dei siti, proprio in virtù di questa neutralità.

Dagli snippet alle sintesi AI: il salto di qualità

implementate da alcuni motori di ricerca, così come dai browser AI powered. Queste nuove modalità permettono ai motori di ricerca di creare a tutti gli effetti un contenuto editoriale in grado di soddisfare la ricerca dell’utente. In questo modo, i motori di ricerca integrano verticalmente una serie di servizi di intermediazione diversi.

Ad esempio, una ricerca in un browser AI powered, avente ad oggetto suggerimenti su dove trascorrere le vacanze invernali, può indicare direttamente mete di viaggio (estrapolate da blog specializzati in viaggi), comparazioni di diversi prezzi di biglietti aerei (possibilmente ricavati da siti specializzati nella prenotazione dei voli) e link per acquistare i biglietti stessi. Va da sé che tutti i siti che l’utente avrebbe dovuto visitare nel contesto di una ricerca tradizionale sono disintermediati, e così estromessi dalla possibilità di lucrare dalla ricerca dell’utente.

Snippet, news e perdita di traffico per gli editori

Il tema della disintermediazione da parte dei motori di ricerca non è nuovo. Negli anni passati, tutti i principali motori di ricerca hanno lanciato servizi di raccolta delle notizie. Tipicamente, questi consentono all’utente di visualizzare le notizie principali dei quotidiani, creando dei piccoli riquadri, detti anche snippet. I riquadri contengono normalmente il titolo della notizia, eventualmente una frase di accompagnamento e una fotografia.

La compilazione di una sequenza di notizie di quotidiani diversi su uno stesso tema permette all’utenza dei motori di ricerca di conoscere le informazioni create dai quotidiani stessi, senza accedere al sito dell’editore che ha creato il contenuto. Una buona fetta dell’utenza non è, infatti, interessata ad approfondire le notizie, ma si accontenta del titolo, o meglio della compilazione di titoli operata dal motore di ricerca, evitando così di accedere al sito del creatore del contenuto (e così di retribuirne l’autore).

Allo stesso tempo, vi sono notizie che intrinsecamente non richiedono alcun approfondimento, ma che non per questo sono meno lucrose per gli editori tradizionali (oroscopi, risultati delle partite di calcio, previsioni meteo, ecc.).

Nonostante il fenomeno non sia, appunto, nuovo, è indubbio che i meccanismi di sintesi AI rappresentino un salto di qualità nella capacità dei motori di ricerca di disintermediare i creatori di alcune tipologie di contenuti.

AI Overviews, azioni legali e ruolo del DMA sugli editori

A riprova di ciò, un importante gruppo editoriale statunitense, Penske Media, ha avviato un’azione presso la Corte federale del distretto di Columbia. Secondo la società ricorrente, “AI Overviews” già adesso apparirebbero in circa il 20% delle ricerche online, sottraendo spazio e visibilità ai media tradizionali.

Questo è risultato in una vertiginosa diminuzione dei profitti del gruppo editoriale, che, per mantenere qualche introito, si è trovato a dover sottoscrivere accordi che autorizzano Google a utilizzare i propri contenuti editoriali per addestrare Gemini, pubblicare estratti e contribuire a realizzare le sintesi automatiche di AI Overview. Qualora accertate, sarebbero condotte indubbiamente lesive dello Sherman Act, una normativa statunitense in tema di diritto della concorrenza, così come del diritto della concorrenza europeo.

La fuoriuscita dei motori di ricerca e di altri soggetti che dovrebbero essere intrinsecamente neutrali dal loro ruolo “naturale” ha attirato l’attenzione anche delle autorità europee. Recentemente, la Commissione UE ha avviato un procedimento ai sensi del DMA (il Digital Markets Act di cui si parlerà più ampiamente in seguito) contro Google per stabilire se le condizioni che Google Search applica agli editori siano eque, ragionevoli e non discriminatorie, ai sensi dell’art. 6, c. 12 del DMA.

Il precedente di Google Shopping e l’integrazione verticale

A questo si deve inoltre aggiungere che vi sono numerose analogie tra la disintermediazione subita dagli editori e quanto accertato dalla Corte di Giustizia UE nel famoso caso “Google Shopping”. Qui, la CGUE ha ritenuto che un servizio di Google, conosciuto inizialmente come “Froogle”, per poi venire rinominato Google Shopping, è stato sistematicamente favorito da Google ai danni dei propri concorrenti indipendenti, attraverso numerosi stratagemmi.

In una prima fase, i meccanismi volti a favorire Froogle/Google Shopping erano palesi. Digitando termini relativi a beni di consumo acquistabili online, Google Shopping, a differenza dei propri concorrenti, appariva in sezioni della pagina risultati di Google Search che erano precluse agli altri siti di comparazione. In seguito alle rimostranze della Commissione UE, Google ha posto in essere stratagemmi più sofisticati per integrare verticalmente un servizio di comparazione prezzi nei propri risultati di ricerca.

Attualmente, digitando su Search i termini relativi a un bene di consumo, ad esempio un marchio di smartphones, appaiono una serie di riquadri contenenti offerte di prodotti. Ciascuno di essi è in realtà uno spazio pubblicitario acquistato da comparatori di prezzi concorrenti di Google (in aste dal prezzo segreto – per i soli concorrenti – cui Google Shopping partecipa con ottimi risultati). Tuttavia, dal momento che sono posti l’uno accanto all’altro, i riquadri pubblicitari acquistati dai comparatori concorrenti di Google Shopping consentono agli utenti di Google Search di comparare prezzi e rendono per molti di loro superfluo accedere direttamente ai servizi del comparatore.

In altri termini, Google, utilizzando gli spazi pubblicitari che vende a soggetti terzi, rischia di fare – direttamente o indirettamente – concorrenza agli stessi soggetti. Questi soggetti terzi sono sostanzialmente costretti a subire questo comportamento, in quanto Google ha un dominio assoluto del mercato delle ricerche, con una quota di mercato del 90%: per i comparatori di prezzi concorrenti di Shopping sarebbe impossibile sopravvivere economicamente senza acquistare pubblicità su Google.

Tali fenomeni trovano linfa vitale nell’uso incrociato dei dati tra i vari servizi del motore di ricerca (es. Search e Shopping) ed è dunque interessante notare come l’AGCM abbia proprio in questi giorni chiuso – accettando impegni di Google di modificare i propri servizi e i relativi termini e condizioni – un procedimento in cui si contestava una pratica scorretta di Google, consistente nel limitare la facoltà degli utenti di rifiutare di collegare lo stesso “Account Google” a diversi servizi Google quali Gmail, YouTube e Search. Questo consentiva ai diversi servizi di Google di condividere i dati personali degli utenti tra i propri servizi, vanificando le cautele imposte dall’art. 5, comma 2, del Regolamento 2022/1925 – o Digital Markets Act (DMA).

Impatto delle sintesi AI motori di ricerca su editori e comparatori

Peraltro, un tribunale tedesco ha recentemente accertato la rilevanza in termini risarcitori delle condotte anticoncorrenziali di Google nei confronti dei comparatori concorrenti di Google Shopping. Idealo ha ottenuto in Germania un risarcimento del danno concorrenziale da oltre 460 milioni di euro e non vi è dubbio che anche in Italia qualcuno potrebbe decidere di percorrere la strada dei Tribunali per chiedere l’accertamento di condotte anticoncorrenziali basate sul Digital Markets Act.

Si deve osservare che la situazione che attualmente riguarda gli editori è, mutatis mutandis, marcatamente simile alle circostanze che, fin dal lancio del servizio Froogle nei primi anni ’00, ha afflitto i comparatori di prezzi. Tralasciando i differenti generi merceologici trattati dalle due categorie, è evidente che si tratta in entrambi i casi di soggetti che creano informazioni e che monetizzano il traffico proveniente da motori di ricerca e altri intermediari (social media, ecc.).

In fondo il “contenuto editoriale” creato dai comparatori è la comparazione delle offerte di un certo prodotto e l’utilizzo che le Autorità contestano a Google come anticoncorrenziale consiste nel mostrare già dalla ricerca dell’utente una comparazione di offerte (di Google e di comparatori) che, quanto meno, riduce l’interesse dell’utente ad accedere direttamente al sito del comparatore: se l’utente è già in grado di individuare l’offerta di interesse sul motore di ricerca, la funzione del comparatore viene meno.

Gatekeeper, sintesi AI nei motori di ricerca e nuove regole UE

Sia nel mercato dei comparatori che dei siti di informazione sono i motori di ricerca a rappresentare un imprescindibile punto di accesso informativo. Se il motore di ricerca, o un altro intermediario, tradisce la sua funzione di soggetto neutrale, arrivando a offrire prodotti informativi in competizione con quelli degli altri soggetti intermediati, questo va a scapito di editori così come di comparatori (e, in ultima analisi, anche degli utenti).

Si deve anche osservare che proprio di punti di accesso, o gateways, parla il recente Regolamento 2022/1925, il DMA di cui si accennava poc’anzi. In esso, il sapere giuridico acquisito dalle autorità europee nel corso del caso Google Shopping è confluito. Questo semplifica notevolmente l’accertamento di condotte anticoncorrenziali nei confronti dei soggetti riconosciuti dalla Commissione UE come gatekeepers. I gatekeepers devono soddisfare una serie di obblighi, tra cui l’art. 6, c. 5, che vieta al gatekeeper di riservare un trattamento più favorevole ai propri prodotti rispetto a quelli dei propri concorrenti.

A ben vedere, una stretta osservanza del divieto di self-favoring imposto dal DMA non sembra compatibile con qualsiasi commistione tra il ruolo neutrale del motore di ricerca e sue eventuali funzioni editoriali, a prescindere dalla natura del contenuto edito. Tra l’altro viene in considerazione il fatto che il motore di ricerca si “alimenta” dei suoi stessi risultati per fornire le sintesi AI, ma questo uso “editoriale” potrebbe implicare ulteriori autorizzazioni dal punto di vista della proprietà intellettuale a usare i contenuti.

Affinché un soggetto venga qualificato come gatekeeper, è però necessario che i servizi che questo offre ricadano nell’elenco di core platform services elencati nel regolamento. Tale elenco attualmente include motori di ricerca, app stores, piattaforme social, ma non i chatbot AI. Ci si deve chiedere se un chatbot IA integrato in un motore di ricerca possa già oggi essere considerato tutt’uno con il motore di ricerca o no.

Nel primo caso, anche il chatbot verrebbe considerato un gatekeeper, con tutti gli obblighi che ne conseguono, nel secondo, no. D’altro canto, trattare il chatbot IA come una componente del motore di ricerca sminuirebbe la portata dell’integrazione verticale tra due servizi che invece hanno una natura radicalmente diversa. Il primo, infatti, fornisce un contenuto editoriale, il secondo un punto di accesso neutrale a informazioni create da terzi. Occorre quindi auspicare che il Regolamento venga rapidamente aggiornato, in modo da includere anche i sistemi di IA generativa nei core platform services e far sì che sistemi di questo tipo siano soggetti alle maggiori cautele che riguardano i gatekeepers.

Un ulteriore profilo che è opportuno menzionare è che, al di fuori dei casi in cui gli editori si sono trovati ad acconsentire a che i fornitori di servizi IA utilizzino i loro contenuti per addestrare l’IA, in molti hanno lamentato lesioni del diritto d’autore da parte dei sistemi di IA generativa. È notizia degli ultimi giorni che Mediaset ha citato in giudizio Perplexity AI per aver indebitamente utilizzato i propri contenuti al fine di addestrare l’AI.

Tutela del copyright e della concorrenza nel mercato si fondono così insieme, aggiungendo piani di complessità a uno scenario in cui potrebbero altresì delinearsi violazioni di altri regolamenti. Ad esempio, occorre chiedersi se un sistema di IA generativa, che svolge di fatto le funzioni di un motore di ricerca, possa essere qualificato come tale ai sensi del Regolamento 2019/1150 o Platform-to-Business e del Digital Services Act.

La definizione di motore di ricerca fornita dal Regolamento P2B parla infatti di un “servizio digitale che consente all’utente di formulare domande al fine di effettuare ricerche, in linea di principio, su tutti i siti web (…), sulla base di un’interrogazione su qualsiasi tema sotto forma di parola chiave, richiesta vocale, frase o di altro input, e che restituisce i risultati in qualsiasi formato in cui possono essere trovate le informazioni relative al contenuto richiesto”.

Il riferimento fatto dal legislatore a “qualsiasi formato” sembra includere anche le risposte generate da IA, purché vi sia un’interrogazione in linea di principio su un ampio numero di siti web. L’uso dei contenuti da parte del motore di ricerca, al fine di offrire servizi diversi integrati nel motore di ricerca stesso, potrebbe dunque essere in violazione di diritti di proprietà intellettuale che – finché il motore rimane neutro – non vengono in considerazione.

La conclusione è che siamo evidentemente in un periodo di transizione in cui assistiamo a squilibri di mercato derivanti dalla rapida (e disordinata) evoluzione degli strumenti di AI, ormai integrati dovunque, senza possibilità per l’utente di avere servizi che non li comprendano. Si tratta di una situazione che dovrà presto trovare un nuovo assetto, anche perché – paradossalmente – i browser basati su AI generativa rischiano di cannibalizzare proprio i servizi di search come li conosciamo oggi.

Il ruolo del search “evoluto” dovrà dunque necessariamente venire a patti con i diritti dei siti editoriali e di comparazione e, a sua volta, i servizi di search dovranno trovare un modo di convivere rispetto a nuovi browser che li intermediano dando direttamente il “risultato finale”. Di questo fenomeno si sono avute avvisaglie in un altro recente caso federale statunitense, in cui alla District Court of Columbia era richiesto un parere sui comportamenti anticoncorrenziali di Google Search. Il giudice americano, pur accertando che tali comportamenti vi erano stati, ha ritenuto di non multare eccessivamente Google, in quanto la sua posizione di dominio nel mercato delle ricerche potrebbe presto essere scalzata da ChatGPT.

Sembrerebbe allora necessario trovare modalità che consentano anzitutto di preservare la neutralità dei servizi di ricerca, lasciando alla mera facoltà dell’utente quella di usare servizi aggiuntivi di sintesi e raccomandazione basata sull’AI, senza che questi servizi vengano forniti all’utente “a prescindere” (ricordiamoci l’antico caso di Microsoft che aveva integrato Windows con il browser Internet Explorer e con il Media Player, eliminando i principali concorrenti).

Si corre infatti un serio rischio che, come chiudono i negozi fisici e le edicole, inizino a sparire i siti e-commerce e i siti di informazione indipendenti e questo non sarebbe desiderabile nemmeno per i motori di ricerca e i servizi di AI generativa.

Infatti, in ultima analisi, il motore di ricerca si “nutre” della qualità dei risultati reperibili in Internet e, se questi vengono meno, viene meno la stessa funzione del motore di ricerca e viene meno la possibilità per l’AI generativa di evolvere e migliorare le proprie risposte.

guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati