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Competenze digitali a scuola: strategie per un cambiamento reale



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L’Italia resta indietro sugli obiettivi europei 2030. La scuola deve affrontare il divario nelle competenze digitali, non solo dotarsi di strumenti, ma diventare motore di trasformazione didattica e culturale con impatti misurabili

Pubblicato il 9 set 2025

Mirta Michilli

direttrice generale della Fondazione Mondo Digitale



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Mentre l’Europa accelera la sua corsa verso gli obiettivi fissati per il 2030, l’Italia mostra ancora ampi divari nelle competenze di base. La scuola italiana è chiamata a fare molto più che introdurre strumenti: deve diventare il motore di una trasformazione culturale e didattica. Ma a che punto siamo davvero?

Il ritardo italiano nelle competenze digitali di base

Secondo il Rapporto 2025 della Commissione europea sulla Decade digitale, solo il 45,8% degli italiani possiede competenze digitali di base. Un dato allarmante, che ci colloca tra i Paesi più indietro rispetto all’obiettivo dell’80% fissato per il 2030. Il divario si fa ancora più critico tra i giovani: i ragazzi italiani tra i 16 e i 19 anni sono sotto la media Ue per alfabetizzazione digitale (59% contro 70%).

Un’analisi incrociata con il report Il digitale in Italia 2025 e lo studio dell’Eurispes su I programmi scolastici nella scuola italiana, mostra che, pur in presenza di una cornice normativa e progettuale coerente, la capacità di attuazione è ancora frammentaria e discontinua. I dati evidenziano che la crescita delle competenze digitali non tiene il passo con le trasformazioni tecnologiche e con le aspettative sociali ed economiche. I risultati ci sono, ma gli impatti reali tardano ad arrivare. Per capire dove intervenire occorre andare oltre le statistiche, guardare dentro la scuola, osservare come le tecnologie vengono integrate (o respinte) nelle pratiche quotidiane.

Oltre i numeri: la scuola come sistema vivente

La scuola non è un contenitore da digitalizzare. È un sistema vivente, fatto di relazioni, linguaggi, comunità. È in questo sistema che va osservato l’effetto delle politiche per il digitale. Un’aula connessa e attrezzata non è una scuola digitale, se non cambia il modo di insegnare, imparare, valutare.

Il Piano nazionale scuola digitale, avviato nel 2015, ha introdotto strumenti importanti: lavagne interattive, identità digitali per studenti e docenti, laboratori innovativi. Tuttavia, la loro diffusione resta parziale: solo il 41,9% delle aule dispone di LIM e appena il 60% degli edifici è connesso via cavo o wireless. Le infrastrutture sono il prerequisito, ma non bastano.

In troppi contesti scolastici prevale ancora una logica difensiva: la tecnologia è percepita come estranea, talvolta imposta, più che come un’opportunità di miglioramento della didattica. Il cambiamento viene rallentato da timori legittimi, carenze formative, mancanza di supporto e visione. Questo atteggiamento genera resistenze che vanno affrontate con ascolto, accompagnamento, e valorizzazione delle esperienze positive.

Il ruolo chiave dei docenti: da animatori a esperti

Uno dei nodi centrali è la formazione dei docenti. Nonostante sia aumentata la partecipazione dei docenti italiani a corsi di formazione sull’uso delle tecnologie digitali e su metodologie didattiche innovative (MIM, Osservatorio scuola digitale, 2024), la preparazione resta ancora carente. Secondo l’ultimo rapporto Eurydice (Teachers in Europe. Careers, Development and Well-being), solo una parte degli insegnanti si dichiara pienamente preparata a integrare in modo efficace il digitale nella didattica quotidiana. In particolare, i temi legati alla cittadinanza digitale, alla sicurezza online e all’uso critico delle tecnologie risultano tra quelli per cui gli insegnanti segnalano il maggior fabbisogno formativo. Serve una formazione continua, strutturata, centrata non solo sulle tecnologie ma soprattutto sulle metodologie: dalla didattica attiva alla valutazione formativa, dall’inclusione al pensiero computazionale. Questa urgenza formativa è confermata anche dai dati del Rapporto Invalsi 2025, che evidenziano come i divari nei risultati di apprendimento in italiano e matematica siano ancora molto marcati, soprattutto negli istituti con forte incidenza di studenti provenienti da contesti socio-economici svantaggiati. Le differenze si consolidano nel tempo, già dalla primaria fino alla scuola secondaria di secondo grado. L’introduzione di nuove tecnologie non può prescindere da un’azione educativa capillare e inclusiva, capace di ridurre questi divari attraverso pratiche didattiche personalizzate e inclusive. Il quadro europeo DigCompEdu offre un riferimento importante per disegnare percorsi coerenti.

Ma non basta più parlare di “animatori digitali”. Ogni scuola ha bisogno di un vero esperto interno alla trasformazione, con competenze pedagogiche, digitali e organizzative, in grado di guidare e sostenere i processi in modo continuativo. Una figura con visione sistemica, capace di connettere tecnologie, didattica e comunità scolastica. Un presidio strategico per accompagnare la transizione digitale come processo culturale, oltre che tecnico.

Occorre inoltre incentivare l’introduzione nei curricoli scolastici di contenuti legati all’intelligenza artificiale, alla cittadinanza digitale, alla sicurezza in rete. Ma anche creare ambienti di apprendimento cooperativi, in cui gli studenti siano protagonisti nella costruzione del significato, del pensiero critico e della consapevolezza nell’uso delle tecnologie. In questa direzione si muove anche l’ultima ricerca dell’Agcom (2025), che rileva un fabbisogno crescente di competenze di alfabetizzazione mediatica nelle giovani generazioni. Se da un lato gli studenti usano abitualmente strumenti digitali per comunicare e accedere a contenuti, dall’altro mostrano scarso interesse per l’informazione civica e politica e una limitata capacità di orientarsi in ambienti digitali complessi. Serve una didattica che non solo integri i media, ma li decostruisca criticamente, favorendo lo sviluppo di algorithmic literacy, consapevolezza informativa e autonomia decisionale.

Dai risultati agli impatti nelle competenze digitali

Parlare di impatto significa chiedersi: cosa cambia davvero per chi partecipa a un progetto? Le pratiche didattiche si trasformano? Si riducono le disuguaglianze? Si modificano i percorsi di crescita degli studenti, soprattutto quelli più fragili?

Nel nostro Paese sono nate iniziative promettenti: dal Fondo per la Repubblica Digitale all’impresa sociale Con i Bambini. Fondi pensati per identificare buone pratiche e scalarle. Tuttavia, troppo spesso si limitano a finanziare esperienze pilota senza una efficace strategia di continuità, diffusione e sostenibilità.

Allo stesso modo, si moltiplicano le alleanze tra scuole, fondazioni, enti pubblici, terzo settore e grandi aziende tecnologiche. Ma l’attenzione si ferma spesso agli indicatori di risultato, ai cosiddetti KPI (Key Performance Indicator) dimenticando che l’innovazione sociale richiede tempo, relazione, adattamento. Stiamo “prodottizzando” processi che avrebbero bisogno di essere accompagnati per “attecchire” nella complessità dei territori.

Ormai esistono diverse metodologie per misurare cosa accade oltre i meri “risultati”. Come Fondazione Mondo Digitale abbiamo scelto la metodologia di Valutazione in tempo reale che abbiamo rielaborato per i processi di innovazione sociale (RTE4SI), perché ci aiuta a misurare e raccontare l’efficacia trasformativa dei progetti. Non si tratta solo di misurare risultati puntuali, ma di monitorare in profondità i cambiamenti culturali e relazionali che si innescano nei contesti educativi, anche grazie alla co-progettazione tra scuola, terzo settore e comunità locali. Un approccio che punta a rendere visibili e scalabili gli effetti nel tempo, superando la frammentazione degli interventi.

Cinque azioni concrete per il futuro della scuola

Che cosa possiamo fare, subito:

  • rafforzare la formazione permanente e la leadership educativa nelle scuole
  • sostenere la nascita di figure esperte interne in innovazione e trasformazione digitale
  • promuovere curricoli trasversali su intelligenza artificiale, media literacy, sicurezza online, sostenibilità
  • integrare le competenze digitali nei Ptof e nei percorsi Pcto, in modo coerente con i fabbisogni formativi e occupazionali
  • valutare i progetti anche per la loro capacità trasformativa, con indicatori di impatto qualitativi a medio e lungo termine.

La scuola come laboratorio di cittadinanza digitale

La scuola del futuro non può essere solo un luogo di istruzione, ma un laboratorio di cittadinanza digitale, attiva e consapevole. Una scuola capace di ascoltare, di innovare, di includere. Dove il digitale non è un fine, ma uno strumento per rendere l’educazione più giusta, accessibile e pertinente. Servono impatti, non solo risultati. Solo così potremo davvero colmare i divari e costruire un futuro dove ogni ragazza e ogni ragazzo abbia gli strumenti per capire, usare e migliorare il mondo in cui vive.

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