La digitalizzazione dell’istruzione sta portando nelle scuole e nelle università un nuovo attore silenzioso, ma sempre più influente: l’algoritmo. Che si tratti di piattaforme adaptive learning, intelligenza artificiale generativa per la creazione di contenuti, sistemi di analisi predittiva o chatbot per il supporto allo studio, il ruolo degli algoritmi nella formazione è in costante crescita.
Se da un lato questa evoluzione promette di rendere l’educazione più personalizzata, flessibile e accessibile, dall’altro apre interrogativi cruciali su etica, governance e responsabilità. Chi decide cosa impariamo quando è un algoritmo a suggerire i contenuti? Quali bias si nascondono nei dati che guidano le piattaforme educative? Chi controlla i modelli predittivi che profilano studenti e ne anticipano le traiettorie formative?
Indice degli argomenti
L’adozione massiva di algoritmi nella didattica
L’adozione massiva di algoritmi nella didattica non è più un futuro ipotetico, ma una realtà già operativa in molte istituzioni. Gli strumenti di learning analytics raccolgono dati sui tempi di risposta, sugli errori ricorrenti, sui pattern di apprendimento. I sistemi di adaptive learning personalizzano il percorso didattico in base ai comportamenti pregressi.
Gli algoritmi suggeriscono video, esercizi, letture integrative, proprio come le piattaforme di streaming consigliano film o serie tv. Se questa logica porta indubbi vantaggi in termini di efficienza e personalizzazione, rischia però di introdurre meccanismi di profilazione educativa che potrebbero consolidare stereotipi, creare percorsi formativi rigidi o limitare l’esplorazione spontanea. Un algoritmo addestrato su dati passati può, ad esempio, riprodurre bias di genere, culturali o socioeconomici: se uno studente appartenente a una minoranza ha avuto in passato difficoltà in matematica, il sistema potrebbe suggerirgli automaticamente percorsi più semplici, tagliandolo fuori da opportunità di crescita.
Bias algoritmici e neutralità nell’istruzione
Il problema dei bias algoritmici è noto in ambito tecnologico, ma assume una valenza ancora più delicata quando si parla di istruzione. L’educazione non è un processo neutro: è un atto culturale e sociale che forma cittadini, non solo lavoratori. Se gli algoritmi definiscono cosa, come e quanto studiare, rischiamo di trasformare l’apprendimento in un sistema chiuso, governato da logiche statistiche più che da una reale cura educativa. Le piattaforme commerciali che offrono servizi di e-learning o tutoring virtuale raccolgono enormi quantità di dati sugli studenti, spesso senza che questi siano pienamente consapevoli dell’utilizzo che verrà fatto delle loro informazioni. Chi possiede questi dati? Come vengono utilizzati? Per fini educativi, o anche per profilazioni di marketing, selezione del personale o analisi predittiva dei comportamenti futuri?
Governance e regolamentazione degli algoritmi educativi
La questione della governance algoritmica della scuola e dell’università è oggi uno dei temi più discussi nei forum internazionali di educazione digitale. L’Unione Europea, con l’AI Act, sta cercando di normare l’uso dell’intelligenza artificiale nei settori critici, tra cui l’education. Il rischio che algoritmi non trasparenti prendano decisioni formative senza supervisione umana è reale e già documentato. Servono quindi meccanismi di accountability chiari, che permettano di comprendere come funzionano gli algoritmi utilizzati nelle piattaforme educative, quali dati vengono trattati e con quali finalità. Non basta dire che un sistema è “intelligente”: bisogna sapere su quali basi decide, quali sono i margini di errore, come vengono gestite le eccezioni.
La spirale dell’auto-conferma e le disuguaglianze educative
Inoltre, la logica dei suggerimenti algoritmici può portare a fenomeni di conferma automatica dei pregiudizi: se uno studente viene classificato come “debole” in una disciplina, gli verranno proposti contenuti più semplici, impedendogli di esplorare percorsi più complessi. Questo crea una spirale di auto-conferma che riduce le possibilità di miglioramento e di sfida personale. Al contrario, chi viene classificato come “bravo” riceverà stimoli sempre più avanzati, accentuando le disuguaglianze invece di ridurle. In un sistema educativo giusto, ogni studente dovrebbe avere la possibilità di uscire dai percorsi predefiniti, di provare, sbagliare e migliorare. L’algoritmo, se non progettato con attenzione, rischia di bloccare questa dinamica evolutiva.
Trasparenza e spiegabilità degli algoritmi scolastici
Un ulteriore aspetto riguarda la trasparenza e l’esplicabilità degli algoritmi. La scuola e l’università sono per definizione spazi di apprendimento critico e riflessivo, dove la conoscenza si costruisce attraverso il confronto e la consapevolezza. Inserire strumenti algoritmici senza spiegarne il funzionamento mina alla base questo principio. È necessario che studenti e docenti comprendano cosa c’è dietro ai suggerimenti automatici, come vengono prese le decisioni sui percorsi formativi e quali sono i margini di intervento umano. La cosiddetta “scatola nera” degli algoritmi non può essere accettata nel contesto educativo: serve un modello di AI explainability, in cui le decisioni automatizzate siano comprensibili, interrogabili e modificabili.
Co-governance e controllo democratico della tecnologia educativa
Molte università stanno già sperimentando forme di co-governance dei dati e degli algoritmi, coinvolgendo docenti e studenti nella definizione delle regole d’uso delle piattaforme digitali. Si tratta di creare comitati etici, task force di monitoraggio e momenti di riflessione condivisa sull’impatto delle tecnologie. Alcuni atenei, ad esempio, hanno deciso di non utilizzare sistemi di proctoring basati su AI per gli esami, proprio per evitare pratiche invasive di controllo che potrebbero violare la privacy o generare discriminazioni. Altri stanno sviluppando ambienti di apprendimento open source, in cui l’algoritmo è trasparente e modificabile dalla comunità accademica. È questa la direzione più promettente per evitare derive autoritarie e mantenere il controllo umano sul processo educativo.
Sostenibilità sociale dell’automazione didattica
Un altro tema emergente riguarda la sostenibilità sociale ed educativa dell’automazione didattica. L’uso massiccio di algoritmi nella gestione della didattica rischia di ridurre il ruolo del docente a mero esecutore di percorsi predefiniti dal sistema. Questo non solo impoverisce la professione docente, ma riduce la ricchezza della relazione educativa. La scuola e l’università non sono semplicemente luoghi dove si trasmettono competenze tecniche: sono spazi di costruzione del senso, di negoziazione culturale, di crescita personale e sociale. L’algoritmo può supportare, ma non sostituire, questa funzione. È fondamentale che le tecnologie educative siano progettate per aumentare le possibilità di intervento umano, non per automatizzare completamente il processo.
Modello AI-in-the-loop per l’integrazione umano-algoritmo
Nel dibattito internazionale si sta affermando il concetto di AI-in-the-loop, ovvero un modello in cui l’intelligenza artificiale supporta l’insegnante senza mai sostituirlo nelle decisioni critiche. L’algoritmo fornisce dati, suggerimenti, analisi, ma la scelta finale resta al docente, che interpreta i dati alla luce del contesto, della relazione con lo studente e degli obiettivi educativi più ampi. Questo approccio permette di sfruttare i vantaggi dell’IA – personalizzazione, efficienza, adattività – senza rinunciare all’umanità del processo formativo.
Normativa europea e classificazione dell’AI ad alto rischio
Anche sul piano normativo si stanno muovendo i primi passi verso una regolamentazione più chiara dell’uso degli algoritmi in educazione. La proposta europea di AI Act prevede che i sistemi educativi basati su AI siano classificati come ad alto rischio, richiedendo audit, certificazioni e controlli periodici. Questo significa che le scuole e le università dovranno dotarsi di competenze interne per valutare i fornitori di tecnologia, monitorare le performance degli algoritmi e garantire il rispetto dei diritti degli studenti. Non si tratta solo di una questione tecnica, ma di un cambiamento culturale che richiede nuovi ruoli professionali: esperti di etica digitale, analisti dei dati educativi, designer pedagogici capaci di integrare l’AI nel rispetto della centralità della persona.
In conclusione, l’ingresso degli algoritmi nella scuola e nell’università rappresenta una sfida inedita e complessa. Da un lato, offre opportunità straordinarie per rendere l’apprendimento più personalizzato e inclusivo; dall’altro, impone riflessioni profonde su etica, trasparenza e giustizia sociale. La tecnologia non è mai neutrale e, se applicata in modo acritico, rischia di riprodurre e amplificare disuguaglianze già esistenti.
Per evitare che l’algoritmo diventi un nuovo potere occulto dietro la cattedra, è necessario sviluppare una governance partecipata e consapevole, in cui la comunità educativa sia protagonista attiva nella definizione delle regole e dei limiti d’uso. Solo così l’AI potrà diventare uno strumento di emancipazione e non un nuovo strumento di controllo.











