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Identità rubate, deepfake e frodi: come cambia la difesa nell’era AI



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L’aumento degli attacchi sofisticati e delle frodi digitali rende la cybersecurity una priorità strategica. L’intelligenza artificiale gioca un ruolo decisivo, sia come leva per i criminali, sia come alleato delle organizzazioni nella difesa della resilienza digitale

Pubblicato il 11 set 2025

Paolo Gatelli

CeTIF – Centro di Ricerca su Tecnologie, Innovazione e Servizi Finanziari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano



deepfake (1) Deepfake e diritto d'autore

L’evoluzione digitale degli ultimi anni ha aperto nuove opportunità di crescita, di efficienza e di personalizzazione dei servizi, ma ha anche reso il perimetro tecnologico più complesso, distribuito e vulnerabile. Non si tratta più soltanto di proteggere infrastrutture o dati sensibili: oggi la sicurezza informatica è un elemento costitutivo della resilienza d’impresa, un fattore che condiziona la capacità di garantire continuità operativa, reputazione e fiducia sul mercato.

L’escalation degli attacchi informatici e la loro sofisticazione

I dati confermano la rapidità con cui lo scenario sta cambiando. Secondo le ultime rilevazioni del Clusit, nel biennio 2023-2024 gli attacchi informatici a livello globale sono quasi raddoppiati, con una crescita che in Italia ha superato il 15%. A rendere ancora più insidioso questo quadro non è soltanto la quantità di incidenti, ma la loro qualità: aumentano gli episodi ad alto impatto, caratterizzati da tecniche sofisticate, difficili da rilevare e capaci di mettere in crisi anche organizzazioni dotate di sistemi di difesa avanzati.

Frodi digitali e manipolazione dell’identità

Un fronte particolarmente delicato è quello delle frodi digitali che sfruttano la manipolazione dell’identità per aggirare controlli e barriere di sicurezza. Deepfake vocali e video, documenti falsificati grazie a modelli generativi, furti di credenziali e schemi di truffa che combinano più canali (email, social, call center, app mobile) sono oggi tra le minacce più pervasive. Queste pratiche colpiscono direttamente i processi di onboarding e autenticazione, ma anche l’interazione quotidiana tra cliente e istituzione, minando la relazione di fiducia alla base dei servizi digitali.

Identità digitale e modelli di trust dinamico

In questo contesto, la gestione dell’identità digitale si impone come vero punto nevralgico della difesa. Non si tratta più di verificare staticamente un documento o una password, ma di costruire un sistema dinamico e adattivo capace di monitorare comportamenti, riconoscere pattern anomali e reagire in tempo reale a segnali di rischio. Tecniche come i controlli basati su analisi comportamentale e l’adozione di modelli di trust dinamico permettono di elevare gli standard di sicurezza senza compromettere la fluidità dell’esperienza utente.

La Generative AI rappresenta un fattore di rottura in questo scenario. Da una parte, rende più accessibili strumenti di falsificazione e manipolazione, creando contenuti sempre più convincenti e difficili da individuare. Dall’altra, mette a disposizione risorse straordinarie per rafforzare le difese: reti neurali profonde e sistemi di apprendimento avanzato possono migliorare la capacità di rilevare anomalie, simulare scenari di attacco per testare la resilienza delle infrastrutture e automatizzare attività di monitoraggio altrimenti troppo complesse o costose per essere svolte manualmente. È un equilibrio instabile, in cui l’uso della stessa tecnologia può spostare l’ago della bilancia dalla parte dell’attacco o della difesa.

Per affrontare questa sfida, non basta introdurre nuove soluzioni tecnologiche. Serve un ripensamento complessivo dei modelli organizzativi e delle logiche di governance. Il rafforzamento del presidio cyber passa dalla convergenza di competenze e funzioni: i Security Operation Center (SOC) devono operare in stretta connessione con le unità di Cyber Threat Intelligence (CTI), le funzioni antifrode e quelle di compliance, in modo da garantire una visione unificata e la possibilità di rispondere con rapidità a minacce che non conoscono confini disciplinari.

Un approccio data-driven diventa quindi essenziale: solo la capacità di correlare segnali deboli, provenienti da fonti eterogenee, consente di costruire un quadro coerente della minaccia e di anticiparne gli sviluppi. In questo senso, la cybersecurity si sposta da una logica di reazione puntuale a una vera e propria orchestrazione del dato, in cui la correlazione delle informazioni, la velocità di analisi e la prontezza decisionale fanno la differenza tra arginare un tentativo di attacco e subire un incidente grave.

Il futuro della sicurezza informatica, tuttavia, non può essere affidato alla tecnologia da sola. La resilienza digitale richiede un approccio sistemico che includa anche processi e cultura organizzativa. Le aziende devono sviluppare modelli di collaborazione che coinvolgano non solo i team IT, ma anche le aree di business, il risk management e la compliance, superando le attuali frammentazioni informative. Solo così è possibile rispondere in maniera coordinata a minacce che sono sempre più ibride, multidimensionali e capaci di colpire diversi punti della catena del valore.

In un’epoca in cui prevale l’“impazienza digitale”, i fattori distintivi saranno la velocità nella rilevazione, l’efficacia della risposta e la capacità di adattamento. L’intelligenza artificiale, in questo quadro, non è semplicemente un nuovo strumento tecnologico: è un linguaggio che ridefinisce le logiche stesse della difesa, un abilitatore che può trasformare i modelli di protezione in chiave predittiva. Governarla significa non solo resistere agli attacchi, ma anticiparli, preservando la fiducia degli utenti e garantendo la continuità di un ecosistema digitale sempre più interconnesso.

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