privacy e business

Ricatto del “Pay or Ok”, cercasi alternative: la missione del Garante Privacy



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Il modello pay or ok impone agli utenti di scegliere tra abbonamento e consenso ai cookie. Il Garante italiano avvia una consultazione per trovare soluzioni equilibrate che tutelino privacy e sostenibilità economica delle piattaforme digitali

Pubblicato il 29 mag 2025

Benedetta Contini

SC Centro Studi



pay per use (1)

Il sistema pay or ok rappresenta oggi una delle questioni più controverse nel panorama digitale italiano.

Questo meccanismo, che costringe gli utenti a scegliere tra abbonamento a pagamento e consenso al trattamento dei dati personali, sta ridefinendo l’equilibrio tra diritto all’informazione e tutela della privacy. La recente consultazione pubblica del Garante italiano segna un momento cruciale per ripensare le modalità di accesso ai contenuti online.

La trasformazione del mercato dell’informazione digitale

Il mercato dell’informazione sta attraversando una trasformazione profonda, in cui a cambiare non sono soltanto i contenuti, ma soprattutto le modalità attraverso cui l’informazione viene confezionata, proposta e resa accessibile all’utente medio.

In questo contesto, internet gioca un ruolo fondamentale quale piattaforma di scambio tra utente ed informatore o fornitore di servizio. Nell’ambito di tale digitalizzazione, tra le più grandi case editoriali e siti erogatori di servizi si è andato sempre più a sviluppare il meccanismo del cosiddetto pay or ok o pay or consent, o ancora “consent paywall”. Come lo si voglia chiamare, il significato è univoco: o dai il consenso alla pubblicità personalizzata, o paghi un abbonamento.

In pratica, all’utente vengono offerte due alternative: abbonarsi al servizio, pagando il relativo corrispettivo, oppure acconsentire al trattamento dei dati personali per finalità di profilazione tramite cookies e altri strumenti di tracciamento. Si tratta di un nuovo modello di business che, di fatto, non offre all’utente una reale possibilità di scelta, poiché l’assenza di un’alternativa gratuita compromette sin dall’inizio la sua esperienza di navigazione.

La scelta apparente degli utenti online

È esperienza comune, per chiunque navighi in rete, trovarsi di fronte alla scelta tra abbonarsi ad un servizio (e pagarne il prezzo), o acconsentire ad un ampio trattamento dei propri dati e fruirne gratuitamente.

Molti, senza conoscere e senza soffermarsi sulle implicazioni, preferiscono cliccare su “ok”, e rinunciano a proteggersi, pur di ottenere il contenuto desiderato.

Le criticità del consenso nel sistema Pay or Ok

Si tratta di una vera scelta?

Sono ormai note ed evidenti le criticità che emergono da questo meccanismo binario, e tutte afferenti alla difficoltà di qualificare il consenso prestato dall’utente come libero, consapevole revocabile e non condizionato, proprio come vuole l’art. 7 GDPR.

Sul punto, peraltro, l’EDPB ha già dato una risposta lo scorso anno, in rapporto al meccanismo utilizzato da Meta. L’EDPB ha nettamente stabilito l’invalidità del consenso al trattamento dati personali ai fini di pubblicità comportamentale nel contesto dei modelli “pay or ok”, decretando l’impossibilità di considerare i dati personali commercializzabili, al pari del pagamento di un abbonamento.

La consultazione del Garante per un nuovo equilibrio

È in questo contesto che si colloca la Consultazione pubblica promossa dal Garante con provvedimento del 29 aprile 2025, n. 272 e resa pubblica con comunicato stampa dello scorso 5 maggio. La finalità è cristallina: ottenere un bilanciamento tra le differenti poste in gioco.

Prima di tutto, come si anticipava, vi sono gli interessi e i diritti dell’utente al quale, lato privacy, dovrebbe essere offerta piena ed effettiva tutela relativamente alla libertà di dazione del consenso al trattamento dei dati personali, inteso quale informato, specifico e granulare in relazione ai trattamenti a cui si riferisce.

Quando il consenso diventa moneta di scambio

In un contesto come questo, però, non è esattamente così. È infatti più vero che il meccanismo appena descritto rischi, in concreto, di svuotare il significato del “consenso al trattamento dei dati personali”.

La valutazione (prettamente economica) che viene imposta all’utente, infatti, condiziona l’accesso alle informazioni o servizi online. Il focus della questione è che l’utente medio, spesso effettua una scelta di default, dettata dalla fretta di raggiungere il contenuto.

Scelta che, troppo spesso, porta l’utente ad utilizzare il trattamento dei propri dati quale “moneta di scambio” per ottenere – immediatamente – il contenuto o servizio che gli interessa. Ciò, senza nemmeno sapere quale sia il “prezzo” reale di tale accondiscendenza in termini di conseguenze.

I dubbi sulla libertà del consenso digitale

Va da sé che allora, come osservato dall’EDPB, almeno sotto questo punto di vista, il modello “pay or ok” solleva parecchi dubbi sulla possibilità di considerare un tale tipo di consenso liberamente prestato dall’utente.

Come è possibile, infatti, che gli utenti siano liberi di esprimere un consenso se vengono messi di fronte ad un ultimatum tra il consenso al trattamento dei dati personali a fini di profilazione e il pagamento di corrispettivo? Ancora: l’utente che opta per l’”OK” al trattamento dei propri dati, è conscio di cosa sta concedendo, a chi e per quanto tempo, pur di accedere immediatamente ai contenuti che, in quel momento, gli interessano?

Il nucleo del problema è che l’utente medio in quelle situazioni forse non sa o non realizza immediatamente che i dati ceduti potrebbero essere utilizzati per creare un profilo pubblicitario basato sulle sue interazioni con diverse pagine web, non solo con un singolo sito; che i cookie di terze parti permettono una tracciabilità estesa; e nemmeno che il consenso prestato è spesso globale e difficilmente gestibile ex post.

Gli interessi economici delle piattaforme digitali

Dall’altro lato, vi sono gli interessi delle grandi case editoriali, dei market place, socialnetwork e in generale delle piattaforme erogatrici di informazioni e servizi, le quali, sull’onda della digitalizzazione di cui si diceva in apertura, devono poter monetizzare, in un qualche modo, il loro servizio e, in generale, il loro sito web. L’utilizzo del modello “pay or ok” permette a questi soggetti di ottenere in ogni caso un epilogo remunerativo, che sia il pagamento di un abbonamento; ovvero l’ottenimento di dati personali da poter utilizzare per delineare il profilo dell’utente e offrire pubblicità comportamentale. Si tratta, in ogni caso, di un punto di vista prettamente economico, che vede, dall’altro lato della medaglia, il “contraente più forte” capace di imporre i propri dettami all’utenza.

L’approccio del Garante per una soluzione equilibrata

Il Garante, nell’ottica di evitare un approccio meramente sanzionatorio, si è posto l’obiettivo, attraverso tre quesiti, di individuare un bilanciamento tra il diritto dell’utente ad accedere ai contenuti senza dover acconsentire a cookie non necessari e l’interesse degli editori e dei siti internet a monetizzare la loro informazione e/o servizio.

Verso una terza via per il Pay or Ok

Alla luce delle riflessioni fatte, pare a chi scrive che un equilibrio valido potrebbe essere individuabile in una “terza” soluzione rispetto al meccanismo binario offerto dal modello, che possa offrire una valida alternativa al perfezionamento di un contratto a titolo oneroso. Una soluzione che, da un lato, consenta di non ridurre il consenso del singolo a mera “condizione di accesso” ad un determinato contenuto e che, al contempo, permetta all’editoria ed alle piattaforme digitali di monetizzare il loro servizio in maniera conforme alla normativa in tema privacy e di settore, come il DSA.

Requisiti per un modello di consenso consapevole

Questa terza via dovrebbe, quindi, permettere all’utente di scegliere, compiutamente, di prestare il proprio consenso in maniera libera e consapevole, in modo da rispettare il peso della scelta stessa e renderlo conscio di tale peso. In sostanza, si dovrebbe auspicare ad un modello in cui l’impatto, in termini di limitazione del diritto alla privacy dell’utente, sia minimo, e ove l’utente sia messo nelle condizioni di prevedere in maniera consapevole gli effetti della dazione del consenso.

Alternative intermedie secondo l’EDPB

In questo senso, pare a chi scrive che le linee guida tracciate dal provvedimento dell’EDPB siano più che condivisibili. In particolare, si potrebbe pensare ad un’alternativa intermedia, che diminuisca il peso che l’una o l’altra scelta possono avere sull’utente finale.

Anzitutto, dovrebbe essere proprio il titolare del trattamento, e dunque le piattaforme digitali, ad impostare un modello di accesso ai contenuti che permetta di evitare che il diritto del singolo utente alla protezione dei dati venga declassato a diritto il cui godimento sia condizionato al pagamento.

Ciò, valutando caso per caso se la richiesta di un corrispettivo sia adeguata e, in caso affermativo, quale sia l’importo adeguato in determinate circostanze, in modo da garantire che lo scambio sia proporzionato e che, quindi, il corrispettivo sia tale da permettere al singolo utente di compiere una scelta realmente orientata ai principi dettati dall’art. 5 GDPR.

Soluzioni differenziate per il trattamento dati

Si potrebbe parallelamente ipotizzare un modello che comporti, semmai, il trattamento di una quantità minore di dati personali, ovvero soluzioni differenziate a seconda del contenuto cui l’utente vorrebbe accedere.

In questo modello intermedio, il titolare dovrebbe tener conto di possibili alternative alla pubblicità comportamentale, come ad esempio una possibile limitazione al tracciamento, oppure ed anche un modello che consenta all’utente la scelta della finalità del trattamento stesso, con conseguente trattamento di una quantità inferiore di dati personali.

Il meccanismo così delineato dovrebbe poi permettere all’utente di comprendere in modo chiaro la portata della sua scelta e delle conseguenze di questa, stabilendo, anche, una maggior frequenza di rinnovo del consenso stesso.

Il risultato, in tal caso, non peccherebbe certo di trasparenza e di personalizzazione, in quanto si risolverebbe in una possibilità di accesso, ma con pubblicità meno personalizzata. In tal modo si permetterebbe anche ai giornali ed ai siti internet di monetizzare il loro servizio, pur preservando la gratuità dell’accesso all’informazione online.

Prospettive future per la maturità digitale

La consultazione del Garante può rappresentare il punto di partenza per una nuova fase di maturità digitale: una in cui la monetizzazione dell’informazione non passi necessariamente per la mercificazione dei dati personali, ma trovi alternative equilibrate, rispettose e sostenibili. Sta ora agli attori in campo – istituzioni, imprese e utenti – contribuire a definire questo nuovo paradigma.

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