Il Garante Privacy ha avviato una consultazione pubblica sul modello “pay or ok” (oppure “or consent”), che prevede l’accesso a servizi digitali in cambio del consenso alla pubblicità comportamentale o del pagamento di un corrispettivo in denaro. L’iniziativa – aperta fino al 6 luglio 2025 – punta a raccogliere contributi per definire criteri condivisi sulla validità del consenso ai sensi del GDPR.
L’obiettivo è garantire un equilibrio tra sostenibilità dei servizi digitali e tutela effettiva dei diritti degli utenti, promuovendo modelli alternativi, meno invasivi e realmente liberi.
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Una questione aperta: libertà di scelta o pressione economica?
Il Garante così si pone in prima linea nel dibattito europeo sulla liceità del consenso condizionato alla pubblicità comportamentale. L’iniziativa, aperta a commenti fino al 6 luglio 2025, chiama a raccolta aziende, esperti, associazioni e cittadini, allo scopo di chiarire i criteri per valutare se – e quando – una scelta tra pagamento e accettazione della profilazione possa considerarsi realmente libera e conforme al GDPR.
Cos’è il modello pay or consent
Il modello “pay or consent” – già criticato dalla Commissione UE nel contesto del Digital Markets Act (DMA) nei confronti di Meta – prevede che l’utente possa accedere a un servizio solo a fronte di una scelta binaria: pagare per non essere profilato, oppure accettare la pubblicità comportamentale. Ma una simile alternativa può davvero essere definita “libera”?
Secondo il Garante, la risposta non è scontata. Per questo, invece di limitarsi a un’interpretazione unilaterale, l’Autorità italiana ha scelto la via della consultazione pubblica, ponendo una serie di quesiti aperti alla comunità di riferimento, con l’obiettivo di adottare una posizione condivisa e fondata su un’analisi approfondita del contesto.
Payr or consent: sempre più usato sul web
Il ricorso crescente al modello “consent or pay” da parte di un numero sempre maggiore di titolari di siti web – in particolare le testate giornalistiche online, ma anche piattaforme di servizi come social media, posta elettronica, traduttori e portali meteo – ha evidenziato una trasformazione strutturale del modello di business digitale, in cui l’accesso ai contenuti o alle funzionalità è subordinato a una scelta binaria: consentire alla profilazione pubblicitaria oppure sottoscrivere un abbonamento a pagamento.
Questa prassi, nota anche con le espressioni cookie wall, paywall o consent paywall, è stata oggetto di un numero significativo di segnalazioni e reclami da parte degli utenti, mettendo in luce una tensione crescente tra libertà contrattuale dei titolari e tutela sostanziale dei diritti fondamentali degli utenti.
Il Garante, nella propria motivazione, ha rilevato che questo cambiamento ha ormai assunto proporzioni di sistema, imponendo una valutazione complessiva che tenga conto di molteplici aspetti: la libertà effettiva del consenso, la trasparenza delle informazioni, il rispetto della libertà d’impresa, l’accesso equo ai contenuti, gli effetti concorrenziali, nonché le condizioni di vulnerabilità economica in cui si possono trovare alcuni utenti.
Alla luce di ciò, l’Autorità ritiene necessario sollecitare una riflessione pubblica ampia e chiarire se e a quali condizioni tali modelli siano compatibili con i principi generali di protezione dati, con particolare riferimento al principio di correttezza, come richiesto dall’art. 5 GDPR. Tra le ipotesi di equilibrio, viene prospettata l’adozione obbligatoria di una terza alternativa gratuita, fondata su pubblicità contestuale o meno invasiva, che comporti un trattamento significativamente ridotto – o nullo – dei dati personali.
Il precedente Meta con il pay or consent
L’adozione del modello “pay or consent”, sebbene rappresenti una pratica sempre più diffusa nel panorama digitale, non è esente da contestazioni da parte delle istituzioni europee. Infatti, la Commissione Europea ha inflitto una sanzione a Meta che operava attraverso il cookie wall con l’imposizione di un pagamento, ritenendo tale modello incompatibile con i principi di protezione dei dati personali e con la normativa europea sulla concorrenza.
Questo intervento, che ha avuto ripercussioni significative nell’ecosistema digitale europeo, ha spinto anche il Garante per la protezione dei dati personali italiano a muoversi in tempi rapidi, avviando una consultazione pubblica per raccogliere osservazioni e valutare la compatibilità di tali modelli con la normativa nazionale ed europea.
L’Autorità ha, infatti, posto l’accento sulla necessità di garantire una vera libertà di scelta per gli utenti, evitando che il modello “pay or consent” possa tradursi in una scelta obbligata tra il pagamento e la cessione di dati personali, potenzialmente lesiva dei diritti fondamentali.
La sanzione della Commissione Europea, con il suo impatto di sistema, ha reso evidente che i modelli economici digitali che sfruttano la profilazione come condizione per l’accesso ai contenuti devono necessariamente rispettare non solo i principi di trasparenza e minimizzazione dei dati, ma anche i più ampi principi di equità, concorrenza e tutela dei consumatori.
Il Garante, in questo contesto, non può prescindere dall’orientamento della Commissione, specialmente per quanto riguarda l’adeguamento delle pratiche locali a standard normativi più stringenti, che sembrano delinearsi nel breve periodo.
Gli interrogativi posti dal Garante: cosa rende un consenso valido?
La consultazione ruota attorno a un principio fondamentale del GDPR: il consenso, per essere valido (art. 4 e 7), deve essere libero, informato, specifico e inequivocabile. Ma in che misura una scelta tra pagamento e pubblicità personalizzata risponde a questi requisiti?
Il documento evidenzia come l’onerosità economica dell’alternativa a pagamento possa costituire un elemento distorsivo. Se il prezzo fosse troppo elevato, l’utente potrebbe sentirsi costretto ad accettare la profilazione, svuotando il consenso di significato giuridico. Inoltre, il Garante sottolinea la necessità di offrire un’alternativa gratuita equivalente, ad esempio con pubblicità non personalizzata o meno invasiva. Il documento posto in consultazione dal Garante affronta un nodo teorico e operativo sempre più centrale nella regolazione dei servizi digitali: la tenuta giuridica del consenso espresso in contesti di squilibrio economico o informativo tra utente e titolare del trattamento. Il cuore del tema ruota intorno alla compatibilità del modello “pay or consent” con gli articoli 4(11) e 7 GDPR, letti alla luce delle linee guida EDPB 05/2020 e della giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Il principio della libertà del consenso: oltre la lettera dell’art. 4, paragrafo 11, GDPR
L’articolo 4, par. 11, definisce il consenso come “qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile”, ma il documento del Garante – in coerenza con l’orientamento del Comitato europeo (EDPB) – suggerisce un’interpretazione sostanzialista e non meramente formale della “libertà”. Il punto critico: se il rifiuto del consenso comporta un costo economico rilevante o la rinuncia a un servizio essenziale, la scelta dell’utente è realmente autonoma? Questa impostazione si allinea anche all’orientamento della Corte di Giustizia nei casi Planet49 (C-673/17) e Facebook Belgium (C-645/19), dove è stato chiarito che il contesto in cui il consenso viene prestato può inficiarne la validità, anche in presenza di una dichiarazione apparentemente libera.
Squilibrio tra le parti e potere contrattuale
Il Garante solleva indirettamente il tema dello squilibrio strutturale tra utente e titolare, una questione già riconosciuta in sede EDPB e nei lavori preparatori del GDPR. Secondo tale approccio, la libertà del consenso non può prescindere dal contesto di potere contrattuale: quando l’utente è di fatto vincolato da una necessità (es. accedere a un’informazione o a un servizio pubblico), la soglia per ritenere il consenso valido si alza notevolmente. In termini tecnico-giuridici, il Garante non esclude ex ante la liceità del modello “pay or consent”, ma chiarisce che la validità del consenso va valutata caso per caso, con attenzione a:
- l’equità del corrispettivo richiesto per evitare la pubblicità comportamentale
- la disponibilità di un’alternativa reale e non discriminatoria;
- la trasparenza informativa sul funzionamento dei trattamenti e sul grado di personalizzazione pubblicitaria offerta.
L’alternativa equivalente: verso una standardizzazione europea
Di particolare rilevanza è l’introduzione nel lessico normativo del concetto di “alternativa equivalente”, mutuato dalle linee guida EDPB e ora formalizzato nel lessico del Garante. Secondo questa impostazione, non è sufficiente offrire un’opzione a pagamento per garantire la libertà di consenso: è necessario offrire una reale terza via, che può consistere in:
- pubblicità contestuale o semantica, basata su contenuti e non su dati personali;
- servizi gratuiti a funzionalità ridotta ma privi di tracciamento;
- meccanismi di opt-out tecnicamente facili e revocabili.
L’importanza dell’alternativa reale e della trasparenza
Un altro punto centrale della consultazione riguarda il concetto di “alternativa equivalente”, già richiamato dal Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB). Il Garante chiede se la presenza di un’opzione meno intrusiva, magari gratuita, possa rafforzare la validità del consenso e offrire una scelta più equilibrata.
La riflessione è particolarmente rilevante anche per settori come l’editoria online, dove si moltiplicano i casi di cookie wall e accesso ai contenuti condizionato alla profilazione.
Una chiamata alla partecipazione: verso delle linee guida condivise
Attraverso la consultazione pubblica, il Garante invita tutti i soggetti interessati a contribuire all’elaborazione di criteri pratici e giuridici che consentano di valutare caso per caso la liceità del modello “pay or consent”. Si tratta, in prospettiva, di definire una cornice regolatoria più chiara e prevedibile, che tuteli i diritti degli utenti e dia certezze operative alle piattaforme digitali.
È un passo importante anche dal punto di vista istituzionale: il Garante si pone come interlocutore attivo e aperto, capace di ascoltare e dialogare, nel tentativo di colmare le lacune interpretative che ancora circondano questo tema.
La decisione del Garante di aprire una consultazione pubblica e non semplicemente adottare un provvedimento segna un cambio di passo nel modo di affrontare i nodi più delicati della protezione dei dati. In un’epoca in cui la pubblicità online alimenta l’economia digitale, ma al tempo stesso solleva questioni profonde sui diritti degli utenti, è essenziale costruire soluzioni condivise e sostenibili.
Chiunque operi nel settore digitale – dalle grandi piattaforme alle testate giornalistiche, dai fornitori di servizi ai cittadini – ha ora l’opportunità di contribuire concretamente alla definizione del perimetro della libertà digitale in Europa.