Negli anni il confine tra diritto di cronaca e tutela della persona si è fatto sempre più labile, complice – solo per citare un caso recente – il ritorno di figure mediatiche controverse come Fabrizio Corona e le sue inchieste su influencer, celebrità e personaggi dello spettacolo – dai Ferragnez alla figlia di Vanna Marchi – spesso rilanciate anche da pagine social che non sono testate giornalistiche.
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Il diritto di cronaca nell’era digitale: nuove sfide
L’esposizione mediatica della vita privata dei personaggi pubblici ha assunto forme sempre più aggressive e spettacolari, spesso guidate da logiche di clickbait e viralità piuttosto che da un genuino intento informativo. Ciò solleva interrogativi profondi non tanto sul singolo caso, quanto sul ruolo che il diritto – e più in generale l’etica della comunicazione – dovrebbe assumere in un contesto in cui chiunque può trasformarsi in “cronista” senza mediazioni professionali. In questo scenario, il rischio è quello di una progressiva erosione delle garanzie a tutela della dignità personale, sacrificata sull’altare dell’intrattenimento o della visibilità. Occorre pertanto riflettere sul confine tra il diritto di informare e il potere di esporre, tra libertà espressiva e dovere di responsabilità, soprattutto quando le piattaforme digitali amplificano contenuti che – pur non violando formalmente le norme – finiscono per alterare profondamente la percezione pubblica del concetto stesso di notizia.
In questo panorama frammentato e iperconnesso, diventa cruciale interrogarsi su chi possa dirsi titolato a “fare informazione” e fino a che punto ci si possa spingere nel raccontare la vita privata altrui, soprattutto quando l’obiettivo non è un servizio di interesse pubblico, ma la spettacolarizzazione fine a se stessa.
Inquadramento normativo del diritto di cronaca
Proviamo allora ad analizzare il delicato equilibrio tra la libertà di informazione e il diritto di cronaca, nella loro declinazione più ampia di gossip e cronaca rosa, e i diritti alla riservatezza e all’immagine, in particolare quelli delle persone famose, alle quali più di sovente si applicano eccezioni connesse alla notorietà. L’articolo si soffermerà poi sull’analisi di casi giurisprudenziali di attinenza, da cui emerga in particolare quando prevale il diritto di cronaca e quando quello alla riservatezza del singolo soggetto di cui si narra. Infine, si proporranno brevi cenni in tema di quantificazione del danno alla reputazione e/o da diffamazione.
Fondamenti costituzionali del diritto di cronaca
Il gossip, inteso come diffusione pubblica di notizie sulla vita privata di personaggi noti, è una costante della società contemporanea, alimentata dai media tradizionali e, ancor più, dai social network. Tuttavia, la spettacolarizzazione della vita privata dei “VIP” si scontra con il diritto alla riservatezza, riconosciuto sia a livello nazionale che sovranazionale. La tensione tra diritto alla riservatezza e libertà di informazione, infatti, si accentua in maniera significativa nel contesto della narrazione mediatica sulla vita privata delle persone famose. L’affermazione di un giornalismo orientato allo spettacolo e al consumo emotivo della notizia – il cosiddetto infotainment – ha portato a una crescente esposizione delle vite dei personaggi noti, alimentando un conflitto latente ma costante tra esigenze di informazione e tutela della sfera personale.
Un aspetto particolarmente attuale è rappresentato dalla diffusione virale di contenuti su Instagram, TikTok e YouTube, in cui presunti scoop vengono spesso lanciati da soggetti che non operano nell’ambito dell’informazione professionale. Account personali o pagine social con migliaia di follower, non riconosciute come testate registrate, si improvvisano centri di cronaca e inchiesta, come nel caso eclatante delle pubblicazioni di Fabrizio Corona sulla vita privata dei Ferragnez, Stefania Nobile e Davide Lacerenza. La narrazione mediatica viene così scollegata da ogni vincolo deontologico e giuridico, con potenziali ricadute significative sul piano della responsabilità civile e penale.
Le considerazioni di cui sopra impongono un’attenta analisi giuridica volta a definire i limiti entro cui la cronaca – in generale, e quella scandalistica in particolare – possono spingersi senza ledere i diritti fondamentali della persona.
Normativa di riferimento per il diritto di cronaca
Il diritto alla riservatezza è tutelato, in Italia, dall’art. 2 della Costituzione, nonché dagli articoli 7 e 8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Nell’ambito della riservatezza della persona, rileva peraltro la normativa a tutela dei dati personali, di cui al D. Lgs. 196/2003 e s.m.i., e al Regolamento UE 679/2016.
La libertà di stampa e il diritto di cronaca trovano fondamento, invece, nell’art. 21 della Costituzione.
Ai fini della presente trattazione, inoltre, assume particolare rilevanza il diritto d’immagine, come statuito dall’art. 10 c.c. e dagli artt. 96 e 97 della L. 633/1941. Tali norme stabiliscono che il ritratto di una persona (cioè sostanzialmente una fotografia) può essere pubblicato solamente a fronte di consenso della stessa o di determinati suoi eredi, a meno che non sussistano specifiche circostanze di natura eccezionale, ovvero: quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata.
Criteri giurisprudenziali per il diritto di cronaca legittimo
Dato quanto sopra, si comprenderà come, nel caso delle persone famose, ci si possa facilmente trovare in presenza dell’eccezione di cui all’art. 97 L. 633/1941, tale per cui in giurisprudenza e in dottrina si è giunti a parlare di “consenso implicito” alla pubblicazione di notizie private e dell’immagine, derivante dalla notorietà e dalla scelta di vivere una vita pubblica. Tuttavia, tale consenso non è illimitato e deve essere bilanciato con i principi stabiliti dalla giurisprudenza che vengono in rilievo quali limiti al diritto di cronaca, ossia: la verità oggettiva della notizia pubblicata, l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (cosiddetta “pertinenza”), la correttezza formale dell’esposizione (cosiddetta “continenza”) (Cass. civ., n. 16506/2019). Allo stesso modo, relativamente al diritto di critica, la Suprema Corte ha affermato che i presupposti per il legittimo esercizio dello stesso sono “a) l’interesse al racconto, ravvisabile anche quando non si tratti di interesse della generalità dei cittadini ma di quello della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la comunicazione; b) la continenza ovvero la correttezza formale e sostanziale dell’esposizione dei fatti da intendersi nel senso che l’informazione non deve assumere contenuto lesivo dell’immagine e del decoro; c) la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti; d) l’esistenza concreta di un pubblico interesse alla divulgazione” (Cass. civ., n. 2357/2018).
Quando il diritto di cronaca prevale: i criteri della giurisprudenza
Premesso l’inquadramento giuridico di cui sopra, ci si chiederà in quali contesti prevale il diritto della collettività a ricevere informazioni e in quali prevale invece il diritto del singolo alla propria riservatezza. A tal fine, risulta utile una disamina della giurisprudenza in materia.
Limiti del diritto di cronaca nella cronaca generale
Qualora il soggetto su cui sono divulgate le notizie non goda di notorietà, chiaramente sarà più difficile ravvisarsi un consenso implicito alla pubblicazione dell’immagine e di altri dati personali che lo riguardano, sicché andrà valutato se sussista una delle altre eccezioni di cui all’art. 97 L. 633/1941 (necessità di giustizia o di polizia, scopi scientifici, didattici o culturali, o riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico) e/o uno dei criteri elaborati dalla giurisprudenza (verità, pertinenza/interesse pubblico alla notizia e continenza).
In proposito, la giurisprudenza ha stabilito che, ai fini della valutazione della continenza, è necessario considerare “la portata offensiva non solo delle singole espressioni in esso contenute, ma dell’intero contesto” (Cass. civ., n. 9746/2000) e, così, ha considerato non rispettare il principio di continenza un articolo che si riferiva all’attività di ONLUS che utilizzavano fondi pubblici per l’accoglienza dei migranti come a “papponi che si arricchiscono con la tratta dei neri” (Corte appello Milano sez. II, 20/01/2021, n. 170), in quanto da ciò traspariva l’intenzione di indirizzare l’attenzione del lettore, non già affinché questi si formasse una opinione negativa sulla gestione del denaro pubblico operata da alcune forze politiche, ma a ritenere che le associazioni in esame operassero indistintamente con modalità approfittatrici alle spalle dei più deboli (i migranti) quando istituzionalmente avrebbero dovuto svolgere attività assistenziale nel loro interesse, con danno del contribuente che indirettamente pagava tale servizio.
Ancora, in un caso di cronaca in cui un poliziotto aveva subito un’aggressione da parte di un altro soggetto, che gli aveva procurato l’amputazione di una falange, una testata giornalistica aveva pubblicato diversi dati anagrafici, nonché una fotografia dell’offeso, senza che quest’ultimo vi avesse concesso autorizzazione. In tal caso, il Tribunale di Torino (21/11/2022, n. 4471) ha stabilito che tali dati aggiuntivi, compresa l’immagine del poliziotto e la sua provenienza geografica, non risultavano pertinenti rispetto alla vicenda narrata, poiché non offrivano elementi utili al pubblico, al quale bastava conoscere il fatto di cronaca e, tutt’al più, le generalità del reo – non della vittima.
Il gossip come cronaca: limiti e giustificazioni giuridiche
Più complesso è il caso in cui la cronaca si configuri come “gossip”, in quanto più difficile inquadrare l’interesse pubblico alla notizia, che può anche consistere semplicemente in una relazione sentimentale di un personaggio famoso. In tale contesto, si tende a ritenere che l’interesse pubblico (e quindi la pertinenza) sussista quando la notizia sia in qualche modo legata alla ragione per la quale il personaggio è noto (che potrebbe anche solo essere la notorietà fine a se stessa, come nel caso di personaggio del mondo dello spettacolo o influencer).
In tal senso, per esempio, con l’ordinanza n. 19515 del 16 giugno 2022 la Corte di Cassazione si è pronunciata sui limiti per l’uso legittimo di alcune immagini di un personaggio famoso nel mondo dello sport, l’ex calciatore Gianni Rivera. La vicenda verteva sulla pubblicazione per scopi commerciali, da parte di un noto gruppo editoriale, di foto in cui il calciatore non era ritratto nell’atto della prestazione sportiva, ma in abiti non sportivi e in scene di vita quotidiana, quali il calciatore che scendeva da un aereo con un trofeo vinto, durante un ritiro della Nazionale con altri calciatori e durante un’intervista.
Oltre all’uso delle immagini, il personaggio famoso aveva anche contestato la produzione da parte della casa editrice di alcune medaglie su cui era raffigurata la propria immagine e la violazione del diritto d’autore su una serie di frammenti di interviste da lui rilasciate, inclusi in una serie di DVD. In tale caso, la Cassazione ha sostenuto che l’eccezione riguardante la notorietà del personaggio famoso (art. 97 L. 633/1941) non dev’essere intesa in senso troppo rigoroso, soprattutto laddove la riproduzione dell’immagine sia in qualche modo accessoria o indirettamente collegata alla ragione per la quale il personaggio è noto. Infatti, secondo la Suprema Corte, sussiste l’interesse pubblico alla notizia ove, per esempio, vi sia la rappresentazione di un noto calciatore in partenza per una competizione sportiva (anche senza divisa della squadra), con un trofeo vinto o durante un’intervista legata alla sua attività, come quelle contestate nel caso in esame, nel quale peraltro si è ritenuto che tale pubblicazione avesse carattere didattico-culturali in quanto accessoria rispetto alla narrazione.
In un caso più risalente (Cassazione civile sez. III – 07/05/2014, n. 9867), in cui una persona non famosa aveva contestato la pubblicazione di proprie fotografie in compagnia di un personaggio famoso, a corredo delle quali si leggeva che trai due sussistesse una relazione sentimentale, invece, si è sostenuto che vi era comunque l’interesse del pubblico ad apprendere della vita privata del personaggio famoso che era parte della notizia, non rilevando che la persona cui questi si accompagnava non era a propria volta famosa. Infatti, le fotografie in questione dovevano reputarsi: “a) veicolanti una notizia di interesse pubblico, ancorchè parametrato “sul tipo di pubblicazione scandalistica”; […]; b) sostanzialmente veridiche, atteso che nel caso di specie la “verità” della notizia coincideva con la stessa rappresentazione fotografica tanto più che [la ricorrente] aveva effettivamente lamentato l’indebita estrapolazione delle fotografie dal più ampio contesto di ripresa, ma non aveva contestato quanto in esse specificamente raffigurato, e cioè “di essere realmente stata in compagnia del cantante ed abbracciata allo stesso”; c) associate a modalità continenti di espressione, atteso che le didascalie ed i commenti non potevano reputarsi offensivi o esagerati, in quanto rispecchianti in toto l’eloquenza dei fotogrammi pubblicati.” Nel caso in esame, si era poi evidenziato che la responsabilità della casa editrice per la pubblicazione era esclusa non perché il consenso della persona non famosa non fosse nella specie necessario ex art. 97 L. 633/1941, ma perché era comunque qui ravvisabile l’esimente costituzionale del diritto di cronaca ex art. 21 Cost..
Dal punto di vista penale, peraltro, e quindi in tema di reato di diffamazione, si è stabilito che, nell’ambito delle trasmissioni dedicate al gossip, caratterizzate dalla spettacolarizzazione del pettegolezzo, i limiti dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e della continenza espressiva, immanenti all’esercizio del diritto di critica, assumono una maggiore elasticità in considerazione del contesto dialettico nel quale si sono realizzate le condotte e, in particolare, il parametro dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, che in siffatte trasmissioni ruota attorno alla curiosità determinata dalla vita privata di personaggi noti, deve necessariamente ampliarsi, tenendo in considerazione anche la scelta dell’interessato di partecipare a siffatti dibattiti, che implica la volontaria esposizione al pericolo che vengano colpiti da critica anche aspetti della sfera personale ulteriori rispetto a quelli che egli ha deciso di rendere noti; mentre la continenza espressiva deve valutarsi secondo i parametri propri della critica di costume, che consente toni anche sferzanti, purché non gratuiti e pertinenti al fatto narrato e al concetto da esprimere (Cassazione penale sez. V – 20/03/2019, n. 32829).
Questa tendenza si inserisce in un contesto sempre più ibrido, in cui la distinzione tra informazione giornalistica, intrattenimento e gossip online si fa sfumata. Non di rado, infatti, a diffondere contenuti lesivi della riservatezza sono pagine Instagram e canali YouTube non soggetti ad alcuna regolamentazione editoriale, ma con un’enorme capacità di influenza e diffusione. La notorietà del personaggio coinvolto – come nel caso degli influencer più seguiti – non può di per sé giustificare qualsiasi tipo di esposizione mediatica: resta imprescindibile il rispetto dei criteri di verità, continenza e pertinenza, anche e soprattutto nell’ecosistema digitale dove l’impatto reputazionale può essere immediato e irreversibile.
Quando prevale la riservatezza sul diritto di cronaca
Ma quindi, quando prevarrà invece il diritto alla riservatezza del personaggio famoso?
In primis, da quanto sopra esposto, si possono trarre corollari che indicano che sicuramente prevarranno i diritti alla riservatezza e all’immagine del personaggio noto in mancanza dei requisiti di verità, pertinenza e continenza e/o delle eccezioni di cui all’art. 97 L. 633/1941, nonché quando venga leso l’onore e la reputazione dell’individuo (per esempio attraverso la pubblicazione di immagini di nudo o l’utilizzo di termini turpi). In secundis, potrebbe tornare utile fare riferimento ad alcuni casi giurisprudenziali in cui si è sostenuto che non fosse possibile pubblicare immagini di un personaggio famoso e correlati articoli in quanto questi non si trovava in luogo pubblico. Infatti, in tali casi, si dovrebbe a rigore ritenere che il soggetto abbia esplicitamente negato il consenso alla pubblicazione, laddove magari in luogo pubblico potrebbe averlo concesso implicitamente.
Giurisprudenza sui limiti del diritto di cronaca in luoghi privati: il caso di Lilli Gruber
In tal senso, si annovera per esempio la decisione del Tribunale di Milano del 17 novembre 1994, in cui la giornalista Lilli Gruber aveva contestato la pubblicazione, da parte dei giornali scandalistici “Novella 2000” e “Oggi”, di fotografie che la ritraevano nuda ai bordi della piscina della villa di famiglia, delimitata da un muro di recinzione. Le foto erano state scattate da un c.d. “paparazzo”, il quale – in un’intervista a corredo delle foto – aveva parlato apertamente delle difficoltà incontrate negli scatti, avendo egli a tal fine dovuto arrampicarsi su un albero e adoperare un teleobiettivo.
Il Tribunale aveva in tal caso condannato le testate, i relativi direttori e il paparazzo al pagamento della somma complessiva di 100 milioni di Lire, stabilendo che “non è ipotizzabile una pubblicazione legittima di immagini attinenti alla vita privata di un soggetto, realizzata con una condotta che integri la fattispecie di cui all’art. 615 bis cod.pen.” e che “costituisce violazione del diritto alla riservatezza l’utilizzo, consistente nella diffusione a mezzo stampa, di immagini attinenti alla vita privata indebitamente carpite in luogo privato con strumenti professionali”. L’art. 615 bis c.p. punisce le “interferenze illecite nella vita privata”, ossia la condotta di chi “mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614”, ossia il domicilio o altri luoghi di privata dimora (comma 1°), sia chi “rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo”.
Ancora, in un caso afferente alla pubblicazione di foto ritraenti l’attore George Clooney in atteggiamenti affettuosi con la compagna Elisabetta Canalis, all’interno del parco di Villa Oleandra, nei pressi del lago di Como, il Tribunale di Milano (Trib. Milano, n. 14065/2013) ritenendo la pubblicazione delle immagini illecita, aveva condannato congiuntamente il gruppo Mondadori S.p.A. e il direttore Alfonso Signorini al pagamento di una somma pari a 300.000 euro in favore del ricorrente. Successivamente, la Corte d’Appello di Milano aveva ridotto l’ammontare del risarcimento, sicché si era giunti in Cassazione. In tal sede, la Suprema Corte (Cass. n. 17217/21) ha precisato che la notorietà del personaggio non comporta la rinuncia alla tutela del diritto all’immagine e alla riservatezza in luogo privato. In particolare, ha ribadito che, qualora si verifichino molteplici violazioni della normativa mediante la pubblicazione e la diffusione non autorizzata di fotografie, il danno patrimoniale subito può e deve essere risarcito, anche determinandolo in via equitativa. In questo caso, quindi, i giudici si sono soffermati sul valore economico dello sfruttamento dell’immagine e, quindi, si può dire, sul c.d. “prezzo del consenso”, ossia il compenso normalmente richiesto dal soggetto per la pubblicazione della propria immagine, che aiuta a determinarne il valore e, conseguentemente, il valore della lesione.
Quantificazione del danno da violazione del diritto di cronaca
In tema di responsabilità civile per diffamazione a mezzo stampa, si è più volte statuito che “il danno all’onore e alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa, identificandosi il danno risarcibile non con la lesione dell’.interesse tutelato dall’ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’.offesa e la posizione sociale della vittima” (Cass. civ., n. 10596/2020; Cass. civ., n. 4005/2020 Cass. civ., n. 25420/2017; Cass. civ. n. 24474/2014). A ciò si aggiunga il principio secondo cui la prova del danno non patrimoniale “può essere fornita con ricorso al notorio” (Cass. civ., n. 13153/2017).
In merito a quanto sopra, potrà essere utile fare ricorso ai “Criteri orientativi per la liquidazione del danno da diffamazione a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa” del Tribunale di Milano (nella loro edizione del 2024), che forniscono indici di quantificazione del risarcimento dovuto per diffamazione, applicabili anche a casi di lesione del diritto di riservatezza e di quello di immagine. Trai criteri in questione si segnalano:
- notorietà del diffamante;
- carica pubblica o ruolo istituzionale o professionale ricoperto dal diffamato;
- natura della condotta diffamatoria (se colpisca la sfera personale e/o professionale, se sia violativa della verità e/o anche della continenza e pertinenza, se sia circostanziata o generica, se siano utilizzate espressioni ingiuriose, denigratorie o dequalificanti, uso del turpiloquio, possibile rilievo penale della condotta);
- condotte reiterate, campagne stampa;
- collocazione dell’articolo e dei titoli, spazio che la notizia diffamatoria occupa all’interno dell’articolo/libro/trasmissione televisiva o radiofonica;
- intensità dell’elemento psicologico in capo all’autore della diffamazione (se vi sia animus diffamandi, se il dolo sia eventuale);
- mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione e relativa diffusione, eventualmente anche con edizione on line del giornale (escludendo la automatica equiparazione tra minor tiratura (o diffusività) = minor danno, specie in caso di mezzo di stampa che abbia un ambito di diffusione assai limitato sul territorio, ma di elevata diffusività proprio in quell’ambito assai ristretto, ove lo stesso costituisca “territorio” di vita e relazione del danneggiato);
- risonanza mediatica suscitata dalle notizie diffamatorie imputabile al diffamante (es. falso scoop con la consapevolezza di avvio di campagna stampa diffamatoria, ovvero notizia data ad agenzia tipo Ansa che la diffonde universalmente);
- natura ed entità delle conseguenze sull’attività professionale e sulla vita del diffamato;
- se siano evidenziati profili concreti di danno o meno;
- reputazione già compromessa (es. ampio coinvolgimento in procedimento penale);
- limitata riconoscibilità del diffamato (es. foto di spalle, mancata indicazione del nome);
- ampio lasso temporale tra fatto e domanda giudiziale;
- rettifica successiva e/o spazio dato a dichiarazioni correttive del diffamato o rifiuto degli stessi;
- pubblicazione della sentenza.
In base all’intensità con cui gli indici di cui sopra si presentano nel caso concreto, il Tribunale di Milano ha individuato cinque “livelli di gravità” dell’offesa, a cui corrisponderanno cinque fasce di quantificazione del risarcimento del danno, da “tenue” (ossia da euro 1.175,00) a “eccezionale” (ossia da euro 58.745,00).
Prospettive future del diritto di cronaca digitale
Alla luce di quanto esposto, emerge chiaramente come il proliferare di contenuti scandalistici – spesso veicolati da account social senza alcuna responsabilità editoriale – stia ridefinendo le regole del gioco nel rapporto tra notorietà, informazione e privacy. Se da un lato figure come Fabrizio Corona rivendicano un nuovo giornalismo d’inchiesta “dal basso”, dall’altro la giurisprudenza continua a richiamare con fermezza i limiti imposti dalla legge a tutela della dignità e dell’immagine, anche dei personaggi pubblici. È giunto quindi, ad avviso di chi scrive, il momento di una riflessione collettiva, anche normativa, su come bilanciare libertà d’espressione e diritti fondamentali nella nuova era della cronaca digitale (in linea con quanto già accaduto di recente con normative quali il Digital Service Act che, restando in tema, ci permette di ragionare in modo parzialmente diverso, con riferimento ai temi affrontati, anche sul ruolo delle piattaforme che ospitano le “nuove notizie”).