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Regole big tech, è confronto-scontro tra UE e USA: i punti chiave



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L’Unione Europea e gli Stati Uniti sembrano ancora d’accordo sull’idea che il gigantismo digitale delle big tech richieda un intervento correttivo. Vedi caso GoogleAl tempo stesso, con Trump, Ue e Usa divergono sugli strumenti con cui neutralizzare l’asimmetria concorrenziale imposta dai colossi della tecnologia. Cerchiamo di capirci di più

Pubblicato il 10 mar 2025

Francesca Niola

Fellow – ISLC, Università degli Studi di Milano



usa europea regole

Quali regole per il digitale globale? Dopo l’elezione Trump la risposta è diventata più complessa. L’Unione Europea e gli Stati Uniti sembrano ancora d’accordo sull’idea che il gigantismo digitale delle big tech richieda un intervento correttivo.

Al tempo stesso, con Trump, Ue e Usa divergono sugli strumenti con cui neutralizzare l’asimmetria concorrenziale imposta dai colossi della tecnologia.

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Regole digitali Usa e Ue: lo scenario

  • L’Europa, con il Digital Markets Act (DMA), ha definito una cornice strutturata che prescrive vincoli stringenti ai gatekeeper, mirando a spezzare le inerzie monopolistiche e a garantire un tessuto economico digitale permeabile all’ingresso di nuovi operatori.
  • Negli Stati Uniti, il Dipartimento di Giustizia in questi giorni ha scelto di continuare l’offensiva giudiziaria nei confronti di Google, riconoscendo la natura anticoncorrenziale della sua strategia di integrazione verticale, fino a richiedere lo scorporo di Chrome per restituire un equilibrio dinamico al mercato della ricerca online.

L’apparente convergenza sulle esigenze regolatorie cela, tuttavia, un’irriducibile asimmetria di fondo.

Mentre l’amministrazione statunitense procede con misure di enforcement selettive, calibrate su esigenze interne, le istituzioni americane attribuiscono alla normativa europea un intento punitivo nei confronti delle imprese a stelle e strisce.

L’ha detto chiaramente Trump. L’ha ribadito l’Authority Fcc prendendosela con la normativa Ue Digital Services Act, equiparato a censura della libertà di parola.

In questo clima, le big tech – X di Musk in primis, non a caso dati i suoi legami con Trump – sembrano sentirsi titolati a fare melina nel rispetto delle regole Ue.

Jim Jordan, presidente della commissione giudiziaria della Camera dei Deputati, a febbraio ha chiesto alla responsabile della concorrenza dell’UE, Teresa Ribera, come intende applicare il DMA, affermando che le regole sembrano colpire ingiustamente le aziende statunitensi. Jordan ha dato alla Ribera un termine del 10 marzo per informare la commissione sulla legge.

La risposta dell’UE agli attacchi Usa

Il clima è quello del confronto. Nei giorni scorsi. Un gruppo di legislatori dell’Unione Europea ha scritto agli alti funzionari statunitensi per respingere le accuse che il blocco stia usando le sue nuove regole di concorrenza digitale per trattare ingiustamente i giganti tecnologici americani, affermando che alcune aziende statunitensi ne stanno chiedendo l’applicazione.

La lettera è stata inviata mercoledì al Procuratore Generale del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti Pamela Bondi e al Segretario al Commercio Howard Lutnick. I legislatori dell’UE hanno invitato le autorità di regolamentazione di entrambe le sponde dell’Atlantico a lavorare insieme per affrontare le Big Tech e hanno affermato che le affermazioni secondo cui le leggi europee in materia di tecnologia minano le relazioni o agiscono come una tassa sulle società americane sono infondate.

“Data l’importanza dei nostri valori condivisi nel promuovere la concorrenza leale e l’innovazione, è essenziale che allineiamo i nostri sforzi per affrontare le sfide poste dalle piattaforme digitali dominanti”, si legge nella nota. La nota è stata firmata da nove membri del Parlamento europeo, tra cui la francese Stephanie Yon-Courtin e il tedesco Andreas Schwab.

La lettera afferma che il Digital Markets Act dell’UE, che la Commissione ha utilizzato per avviare indagini su Apple, Google di Alphabet e Meta Platforms l’anno scorso, non si rivolge esclusivamente alle aziende statunitensi, sottolineando che anche Booking.com – l’attività europea di Booking Holding – e TikTok sono finiti sotto esame. Booking.com ha sede nei Paesi Bassi, mentre TikTok è di proprietà della cinese ByteDance.

La Commissione ha inoltre affermato che diverse aziende statunitensi vogliono trarre vantaggio dall’applicazione delle norme e si battono attivamente per l’applicazione della legge contro le società di Big Tech.

Aziende come Epic Games, creatrice di Fortnite, hanno sviluppato o stanno sviluppando app store che possono essere utilizzati su iPhone e dispositivi Android europei in alternativa a quelli di Apple e Google.

DuckDuckGo – un motore di ricerca americano attento alla privacy – questo mese ha cofirmato una lettera ai principali regolatori della concorrenza e della tecnologia dell’UE, chiedendo loro di indagare su Google per aver potenzialmente violato le disposizioni della DMA sulla condivisione dei dati di ricerca e di offrire agli utenti un’alternativa al motore di ricerca di Google e al browser Chrome come predefinito sui telefoni Android.

“Allo stesso modo, Netflix, Disney e altre società di streaming, attualmente gravate dalle alte tariffe di Apple e Google per gli app store, beneficerebbero di un panorama competitivo più equo grazie alla DMA”, hanno dichiarato i legislatori dell’UE, aggiungendo che migliaia di startup statunitensi potrebbero generare entrate dall’UE se i giganti tecnologici rispettassero la legge.

“La DMA promuove un ecosistema competitivo in cui le aziende innovative – siano esse americane, europee o di altre parti del mondo – possono innovare senza essere ingiustamente svantaggiate da un potere di mercato radicato”, si legge nella lettera dei legislatori europei.

La dialettica transatlantica assume così i tratti di un confronto non meramente giuridico, ma eminentemente politico, dove il principio di concorrenza muta di segno a seconda del contesto in cui viene invocato. L’irrigidimento delle posizioni tra Bruxelles e Washington testimonia, dunque, non solo una diversità di approcci regolatori, ma una contesa sulla legittimità stessa di disciplinare un fenomeno che, per sua natura, trascende i confini nazionali e si proietta in una dimensione sovranazionale.

Gli Usa su Google, scontro antitrust

L’azione del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti nei confronti di Google si inscrive in una più ampia ridefinizione dei principi regolativi applicati alle piattaforme digitali. L’intervento mira a ristrutturare gli equilibri concorrenziali nel settore della ricerca online, imponendo un disaccoppiamento tra il browser Chrome e il motore di ricerca, due asset che, integrati, garantiscono all’azienda una posizione di preminenza difficilmente contendibile.

Il giudizio della corte federale ha confermato la natura anticoncorrenziale delle strategie di Google, evidenziando come la combinazione di accordi esclusivi con i produttori di dispositivi e la preinstallazione forzata dei suoi servizi abbia prodotto un sistema chiuso, ostacolando l’ingresso di operatori alternativi. Il rimedio proposto introduce un vincolo strutturale che trasforma il modello operativo dell’impresa, obbligandola a separare funzioni chiave del suo ecosistema digitale.

La concezione statunitense del diritto antitrust si fonda su un principio di tutela dell’iniziativa economica privata, privilegiando misure che incentivano la contendibilità del mercato. L’intervento del Dipartimento di Giustizia si allinea a questa impostazione, adottando una soluzione che stimola la concorrenza attraverso la redistribuzione del potere di accesso alle risorse digitali. L’abolizione dei meccanismi di esclusività ristabilisce condizioni più eque per l’innovazione e accresce la competitività nel settore.

La strategia adottata si distingue per un approccio incentrato sulla valutazione ex post delle dinamiche di mercato, anziché sull’imposizione preventiva di obblighi generalizzati. Ogni misura viene calibrata in funzione delle specificità del caso, senza ricorrere a schemi regolativi rigidi. Il modello statunitense conserva una flessibilità che, pur garantendo l’efficacia dell’intervento, evita il rischio di una sovrapposizione tra regolazione pubblica e strategie di impresa.

L’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti delle Big Tech rivela una stratificazione di logiche regolative che, pur condividendo l’obiettivo della tutela della concorrenza, adottano criteri differenti a seconda della giurisdizione di riferimento. L’azione del Dipartimento di Giustizia contro Google si basa su un riconoscimento esplicito della pervasività del potere monopolistico esercitato dal colosso di Mountain View nel mercato della ricerca online. Tuttavia, la reazione delle istituzioni statunitensi nei confronti del Digital Markets Act europeo suggerisce una visione della regolazione che si modula in funzione dell’interesse nazionale piuttosto che della coerenza giuridica.

Il confronto Usa-UE sulle regole: i nodi

L’accusa mossa contro il DMA, considerato una normativa concepita per limitare la crescita delle imprese americane, introduce un elemento di ambiguità nel discorso regolativo statunitense. L’impianto normativo europeo non si struttura attorno a criteri geografici, né introduce distinzioni tra aziende americane ed europee, ma definisce categorie economiche basate su soglie di fatturato e sul volume di utenti attivi. Il rigetto del modello europeo da parte di Washington non si fonda su un’incompatibilità giuridica, bensì su una percezione politica della normativa come strumento di riequilibrio del mercato a vantaggio di attori non statunitensi.

L’atteggiamento dell’amministrazione americana riflette un paradosso regolativo: l’antitrust viene invocato per garantire una maggiore concorrenza nel mercato domestico, ma risulta inaccettabile quando le stesse logiche vengono applicate in un contesto sovranazionale. La difesa della sovranità giuridica statunitense si traduce, di fatto, in un tentativo di delegittimare interventi normativi che, se applicati internamente, avrebbero incontrato minore resistenza. Questa impostazione sottende una concezione asimmetrica della regolazione della concorrenza, in cui l’azione pubblica si giustifica quando rafforza la posizione del mercato statunitense, ma viene contrastata quando incide sugli equilibri globali a discapito delle imprese nazionali.

Il contrasto con l’Unione Europea si inserisce in una dialettica più ampia sulla definizione degli standard di governance digitale. L’UE ha costruito un modello regolativo che si propone come alternativa alla dottrina americana, non solo per il suo carattere preventivo, ma anche per la volontà di limitare il potere di mercato delle piattaforme indipendentemente dalla loro nazionalità. L’opposizione statunitense al DMA si radica nella consapevolezza che l’approccio europeo, se adottato su scala più ampia, potrebbe erodere la centralità delle aziende americane nell’infrastruttura digitale globale, aprendo spazi di contendibilità che ridimensionerebbero il loro ruolo dominante.

L’antitrust determina l’architettura del mercato digitale, stabilendo un equilibrio tra l’iniziativa economica privata e la contendibilità degli spazi competitivi. Ogni ordinamento giuridico adotta criteri specifici per garantire che l’innovazione non si concentri nelle mani di pochi attori, favorendo un ambiente dinamico in cui nuove imprese possano svilupparsi senza ostacoli strutturali.

L’Unione Europea ha concepito un modello regolativo che attribuisce centralità alla prevenzione delle distorsioni concorrenziali, definendo parametri chiari per l’identificazione dei gatekeeper e introducendo obblighi che garantiscono una distribuzione equa delle risorse digitali. Il Digital Markets Act si distingue per la capacità di integrare la tutela del mercato con una visione strutturata della governance digitale, assicurando regole uniformi per tutte le piattaforme che esercitano un’influenza rilevante sul sistema economico.

L’approccio statunitense, orientato all’intervento ex post, preserva un elevato grado di flessibilità e risponde con misure specifiche a configurazioni di mercato che richiedono una correzione normativa. L’azione nei confronti di Google conferma una strategia che stimola la concorrenza attraverso la ridefinizione degli assetti proprietari, incentivando la diversificazione dell’offerta tecnologica. Il Dipartimento di Giustizia adotta rimedi che riequilibrano le condizioni di accesso ai servizi digitali senza imporre vincoli preventivi, privilegiando un controllo fondato sull’analisi concreta delle dinamiche economiche.

Gli scenari a tendere

L’interazione tra i due modelli contribuisce a delineare un quadro globale in cui le regolazioni si influenzano reciprocamente, rafforzando la consapevolezza della necessità di un coordinamento internazionale nella disciplina dei mercati digitali. L’Europa promuove una regolazione che stabilisce criteri universali per la tutela della concorrenza, mentre gli Stati Uniti adottano soluzioni che rispondono alle esigenze del proprio contesto economico.

L’evoluzione di questi paradigmi normativi arricchisce il dibattito giuridico e rafforza la capacità delle istituzioni di governare l’economia digitale con strumenti coerenti con la complessità del settore tecnologico.

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