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Industry 4.0, partire dalle Regioni: ecco il modello

Fra il piano nazionale “Industria 4.0” e i piani territoriali per la ricerca e le startup, esiste uno spazio ampio che coinvolge cittadini e imprese che hanno un grande potenziale di “fare digitale intelligente”, che in questo momento cresce nonostante il disinteresse della PA

Pubblicato il 03 Feb 2016

Gianluigi Cogo

Consulente PA digitale, ex Regione Veneto

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Nei prossimi giorni i decreti attuativi della riforma PA saranno letti, esaminati ed emendati al fine di renderli utili e attuabili.

Nel contempo chi opera nella PA e attende l’ennesima riforma come una rivoluzione, continua ad essere pervaso dalla ‘cultura dell’adempimento’ che si sostanzia con un vero e proprio modus operandi: faccio solo ciò che è previsto da leggi e regolamenti.

Spesso questa cultura determina delle distorsioni mentali che impattano negativamente nei rapporti con l’utenza (vedi gli incredibili fatti di Sanremo dove gli accusati portavano a loro discolpa il fatto di non avere nulla da fare).

Ma andiamo con ordine. La cultura dell’adempimento ci distanzia notevolmente dai modelli anglosassoni che identificano nel civil servant un soggetto con attribuzioni più ampie e sicuramente non perimetrati a compiti specifici ed esclusivi.

Ovvio dunque che il seme dell’Open Government riesca a mettere radici più solide dove l’humus culturale lo consente.

Ovvio anche che quell’humus non si limita a rinforzare le radici di un approccio pubblico più civico e partecipato ma permette a tutti i civil servant, cresciuti con tale cultura, di guardare oltre i propri perimetri in una modalità evolutiva ed innovativa che punti al benessere collettivo e non solo esclusivo della pianta (o ecosistema) a cui appartengono, ovvero la PA.

Nella pratica molti operatori del government italiano lamentano la scarsa disponibilità di tempo, risorse e visione per occuparsi e intrigarsi della parte evolutiva e questo è rafforzato proprio dalla cultura dell’adempimento.

Nei giorni scorsi ho dibattuto sul tema con alcuni operatori di government di piccoli comuni ai quali ho palesato (purtroppo è un mio mantra un po’ noioso) le 4 assi del gov, così come ben le descrive anche Wikipedia:

  • G2G (government to governments)
  • G2C (government to citizens)
  • G2E (government to employees)
  • G2B (government to businesses)

Per l’ennesima volta ho riscontrato un totale distacco dal tema G2B supportato da diverse motivazioni, prima fra tutte quella che non esistono adempimenti in merito.

Ero arrivato a questa discussione dopo aver cercato di persuadere gli operatori che i dati pubblici vanno considerati vera e propria benzina per l’economia del territorio, ricevendo molte contestazioni che posso così riassumere: Apro i dati se la legge me lo chiede; Apro i dati se trovo il tempo (prima ho altri adempimenti urgenti); Aprirò i dati quando disporrò di finanziamenti e premialità; Se il territorio debba crescere o no, non è compito mio.

Certo si potrebbe obbiettare che è anche un problema di scala. Nel senso che i piccoli comuni spesso non hanno obbiettivi di programmazione strategica, anche se ciò è abbastanza discutibile.

Ma vengo dunque a una progettualità che sto seguendo in modo veramente embrionale a livello interregionale. Da alcune settimane sto provando a rafforzare un modello sul quale poggiare alcune azioni regionali a supporto dell’Industria 4.0. Il tema è tosto perchè ovviamente stiamo parlando di G2B a tutto tondo.

Teoricamente la dimensione regionale (lo Stato ha prodotto solo documenti di scenario) è quella che meglio si adatta a supportare un modello così complesso, dove si sviluppano e si intrecciano temi ed occasioni come la Smart specialisation, la digital transformation, l’IoT, la Data analysis, la sharing economy, ecc.

In sintesi, per aiutare a capire meglio il contesto, questo è un piccolo abstract propedeutico al lavoro di modellazione:

Gruppo interregionale “IoT, big data e smartness”

Il gruppo “IoT, big data e smartness” è stato istituito in ambito interregionale a supporto dell’attuazione delle agende digitali nazionali e regionali al fine di strutturare un’azione interregionale sull’internet delle cose (IoT), più in generale sullo sviluppo sul territorio del “fare digitale intelligente” secondo i nuovi paradigmi o meglio come può la PA favorire il “fare digitale intelligente”.

Le principali finalità sono riassumibili nei seguenti concetti.

Spesso abbiamo definito il supporto che la PA può offrire alla competitività del territorio come ‘Government2Business’. Oggi questa formulazione viene amplificata dal ruolo che la PA è chiamata a sostenere nel panorama più ampio del Digital Single Market quando la si propone come facilitatore di business digitale.

Dunque, definire un’azione interregionale che metta a fuoco il ricco contesto attuale del fare digitale (a livello cittadini makers, a livello imprese, lab o start up) e ne individui le leve a disposizione della PA per farlo crescere e sviluppare diventa doveroso per non rischiare di eludere questo ruolo che sotto certi aspetti potremmo definire nuovo ma al tempo stesso innovativo.

Fra il piano nazionale “Industria 4.0” e i piani territoriali per la ricerca e le startup, esiste uno spazio ampio che coinvolge cittadini e imprese che hanno un grande potenziale di “fare digitale intelligente”, che in questo momento cresce nonostante il disinteresse della PA, il gruppo intende individuare modelli e strumenti da implementare successivamente in una azione interregionale che la PA può mettere in campo per migliorare e facilitare lo sviluppo di questo potenziale, favorendo la condivisione dei risultati e delle risorse, secondo i modelli sociali che si sono consolidati negli ultimi anni (sharing economy).

Ora, ammesso che tutto ciò abbia la sua logica e che a livello di scala, di dimensione, di afferenza sia demandato all’attuazione da parte della PA che fa riferimento ad alcuni ministeri (MISE in primis) e alle Regioni, qual è il decreto legislativo o il regolamento che induca i detrattori a considerare queste opportunità come adempimenti?

Purtroppo nessuno. Ad oggi.

Questo significa molto semplicemente che se la PA vuol trasformarsi anche in acceleratore di business, mettendo a disposizione asset importanti (penso ad esempio ai dati pubblici per scenari come Smart City e/o Smart territories) per favorire la transizione del modello economico/industriale verso quel paradigma di Industria 4.0 che anche i recenti impegni delle multinazionali come Cisco e Apple indicano come irrinunciabile, forse va rivisto in primis il modello concettuale e culturale che rende il civil servant italiano un mero esecutore invece di un propulsore.

PA 4.0 per un Industria 4.0 e un Italia 4.0, significa innanzitutto sfoltire e ringiovanire il parco degli addetti e favorire un ingresso di forza lavoro abituata a operare per progetti ed obbiettivi specifici.

Il resto è accademia e decreti.

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