Quando si parla di intelligenza artificiale e impatti sul lavoro, la maggior parte delle analisi si basa su proiezioni, simulazioni, previsioni teoriche – numeri generati da modelli, spesso anche ben costruiti, ma che hanno un punto debole: non partono dalla realtà concreta di ciò che le persone stanno facendo oggi con l’IA generativa.
Indice degli argomenti
Dallo studio ai dati reali: come è stata analizzata l’IA sul lavoro
Per una volta, invece, c’è uno studio che parte dal basso, dalla raccolta e dall’analisi di dati veri. E forse proprio per questo è così interessante.
Lo hanno condotto cinque ricercatori di Microsoft Research analizzando più di 200.000 conversazioni anonime avvenute con Copilot in Bing, negli Stati Uniti, in un arco temporale di nove mesi.
Hanno preso le interazioni e le hanno mappate su una struttura standard del lavoro professionale, O*NET, il database ufficiale del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti che descrive ogni professione scomponendola in attività, competenze, abilità e conoscenze. Una sorta di “anatomia del lavoro” che consente di guardare non solo ai ruoli, ma alle singole azioni che li compongono (le cosiddette IWAs, Intermediate Work Activities).
Uno degli aspetti più interessanti dello studio è che non si è limitato a osservare cosa le persone abbiano chiesto al modello, ma l’aver cercato di capire perché lo facevano (cioè, quale fosse il loro obiettivo) e come l’IA ha risposto (cioè, quali azioni ha compiuto il sistema).
Una conversazione con un sistema artificiale, insomma, è stata letta come un piccolo frammento di lavoro: un task da completare.
Alcuni molto semplici, altri più complessi; alcuni ben riusciti, altri meno.
Ne è uscita una fotografia realistica e piuttosto precisa di come l’IA viene oggi utilizzata nel lavoro della conoscenza.
attività, non mestieri: il cambio di prospettiva nell’analisi del lavoro
Le attività più richieste? Ricerca di informazioni, scrittura, revisione di testi, creazione di contenuti, spiegazioni e supporto. Le attività che il modello svolge meglio? Proprio queste: fornire informazioni, generare testi, aiutare nella comunicazione con terzi.
Laddove l’interazione diventa numerica, visiva, progettuale – ad esempio nel design o nell’analisi statistica – il livello di soddisfazione e di completamento cala bruscamente.
Sottolineo un punto di attenzione importante: non stiamo parlando di mestieri, ma di attività. E questo è un passaggio fondamentale. Lo studio non dice che “il lavoro dello scrittore è a rischio”, ma che alcune attività che uno scrittore (o un assistente, o un venditore, o un consulente) compie quotidianamente sono già oggi replicate in modo efficace da un sistema di AI generativa. E questo cambia la prospettiva, perché ci costringe a smettere di pensare in termini di professioni a rischio e iniziare a ragionare in termini di componenti.
Obiettivi, linguaggio e relazione: cosa cercano davvero gli utenti
Ci sono attività – oggi – che vengono svolte in modo rapido ed efficace da un LLM. Lo studio ci dice quali, con che frequenza, con quale grado di completezza. E lo fa confrontando l’obiettivo dell’utente con l’azione dell’IA, perché molto spesso le due cose non coincidono.
Se io chiedo a Copilot: “Scrivi una mail per scusarmi di un errore con un cliente”, il mio obiettivo non è scrivere una mail: è risolvere una situazione con un cliente. Il testo è solo un mezzo. E il modello, nel produrlo, non si limita a scrivere: sceglie toni, parole, strategie di comunicazione.
Lo stesso accade se preparo un messaggio di scuse per un familiare, una sintesi da consegnare al medico curante, una scaletta per un podcast, un discorso per una riunione scolastica, una descrizione da caricare su un sito di e-commerce, un biglietto di ringraziamento.
Ogni attività è linguaggio, ma anche relazione, contesto, finalità.
Ecco allora che l’assistenza linguistica si intreccia alla negoziazione, alla gestione della relazione, alla capacità di anticipare la reazione di un interlocutore. E l’IA, anche senza comprenderlo nel senso umano del termine, lo simula. Lo costruisce. Lo orienta.
Chi è più esposto e dove l’IA non riesce a competere
Ciò che emerge con forza è che l’intelligenza artificiale oggi è fortemente abilitante in tutti quei contesti dove l’obiettivo è produrre, trattare, comunicare contenuti testuali o informativi. Le figure più “esposte” non sono quelle che lavorano con le mani, ma quelle che lavorano con le parole. Traduttori, autori, giornalisti, analisti, operatori di customer service. Ma anche venditori, consulenti, persone che – nella sostanza – fanno da ponte fra dati e persone.
Al contrario, ci sono ambiti dove il chatbot non riesce nemmeno ad avvicinarsi. Lavori fisici, di cura, di intervento sul campo. Laddove il contesto fisico, ambientale, umano è dominante, l’IA oggi non ha accesso. Non vede, non sente, non tocca. E anche quando ascolta, lo fa solo tramite prompt.
Co-produzione e delega: il nuovo paradigma del lavoro con l’IA
La domanda, allora, non è più “quali lavori spariranno”, ma “quali attività possono essere ridisegnate”. Perché è lì che si giocherà il cambiamento.
L’automazione completa è una possibilità, ma non è l’unica. Molto più interessante – e molto più attuale – è la co-produzione: attività svolte insieme da persone e IA. Il modello scrive la prima bozza, io la rifinisco. Il modello propone un approccio, io lo valido. Il modello genera un documento, io lo carico, lo personalizzo, lo firmo.
Il rischio non è l’IA che ruba il lavoro. Il rischio è non saperla usare, non saperle delegare ciò che può fare meglio, più velocemente, a costi marginali. Il rischio è ostinarsi a fare a mano ciò che può essere fatto in modo assistito. Perché il vero cambiamento non è nella sostituzione, ma nella capacità di riorganizzare il lavoro. E questo richiede visione, metodo, design.
Dati concreti e nuove responsabilità per chi guida organizzazioni e aziende
Lo studio, infatti, non offre certezze, ma strumenti per pensare. Non dice “questo lavoro sparirà”, ma dice “questa attività è già oggi affrontata ogni giorno da migliaia di persone con un LLM”. E lo dice con i dati concreti, tangibili e verificabili. Non con le opinioni.
Il futuro che emerge da queste conversazioni è ibrido, stratificato, sfaccettato. Un futuro dove nessuno è davvero al sicuro e nessuno è davvero tagliato fuori, ma in cui serve scegliere da che parte stare: dalla parte di chi osserva da lontano o dalla parte di chi sperimenta, integra, progetta.
Credo che chi guida delle organizzazioni, chi lavora in azienda, chi si occupa di formazione o di strategia abbia una responsabilità importante: quella di imparare a vedere il lavoro non più solo come un ruolo, ma come un insieme di azioni, alcune automatizzabili, altre no. Alcune delegabili a un copilota, altre da conservare con cura.
Un futuro ibrido: adattamento e collaborazione con l’intelligenza artificiale
L’intelligenza artificiale non ci toglierà tutto, ma – molto probabilmente – ci cambierà tutto. E la differenza, come sempre, la farà il modo in cui sapremo adattarci, imparare e decidere.
Se fino a qualche tempo fa ci chiedevamo se l’IA ci avrebbe aiutato a lavorare meglio, ora dovremmo chiederci: saremo in grado di lavorare meglio insieme all’IA?










