Nei sistemi IT di molte organizzazioni si accumula un debito nascosto: il cosiddetto security debt. Il concetto, mutuato dal più noto technical debt in ambito software, rappresenta l’insieme di vulnerabilità irrisolte, sistemi legacy non dismessi, componenti software fuori supporto, processi di difesa mai implementati e decisioni procrastinate in materia di cybersecurity.
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La natura del security debt e le sue implicazioni
Questa forma di debito digitale cresce nei settori più critici come finanza, sanità e Pubblica Amministrazione, dove la complessità operativa e l’evoluzione tecnologica rendono la gestione della sicurezza una sfida costante. Ogni patch mancata, ogni aggiornamento rimandato, ogni valutazione di rischio incompleta genera interessi che il tempo trasforma in costi, esposizione e rischio sistemico.
Oggi, con l’arrivo delle nuove normative europee il security debt non è più solo una minaccia tecnica, ma anche un potenziale fattore di non conformità e, quindi, di sanzione. Ogni legacy, vale a dire componenti ereditati dal passato che restano operativi pur essendo tecnicamente superati, rappresenta un nodo scoperto, una possibile backdoor per attori ostili. Se si aggiunge il fatto che molti processi di controllo interno sono frammentati tra IT, compliance, risk management e fornitori terzi, si comprende come il debito sia tanto tecnologico quanto culturale e organizzativo. Tuttavia, con le giuste strategie e investimenti, il security debt può essere affrontato in modo proattivo, trasformandosi da minaccia latente a opportunità di rafforzare la resilienza digitale.
Banche e sanità tra legacy e nuove soluzioni
L’industria bancaria si è evoluta rapidamente verso il digitale, anche se questa evoluzione è avvenuta anche sovrapponendo nuove architetture cloud-native a sistemi preesistenti senza rimuovere quelli obsoleti. Molti istituti utilizzano applicazioni sviluppate in linguaggi ormai desueti non più aggiornabili né facilmente monitorabili. Allo stesso tempo, però, si stanno diffondendo sempre più approcci zero trust, sistemi di autenticazione multifattore e test di resilienza operativa, in linea con le nuove normative europee.
Anche nel settore sanitario la situazione non è ancora perfetta: ospedali e cliniche utilizzano spesso dispositivi medici connessi ma che non sono stati progettati per essere sicuri e le reti ospedaliere, sovrapposte a seguito di fusioni o ampliamenti, risultano eterogenee, non segmentate e difficili da mappare. L’aggiornamento è complicato dall’impatto che un’interruzione può avere sulla continuità delle cure. Nonostante ciò, il settore sta accelerando l’adozione di soluzioni sicure per proteggere i dati dei pazienti e ridurre la superficie di attacco.
Il caso della pubblica amministrazione e le sfide culturali
La Pubblica Amministrazione, infine, porta il peso di investimenti insufficienti, competenze non aggiornate e governance disomogenea. Molti enti locali non dispongono di un responsabile per la sicurezza informatica, i budget sono limitati e la cultura della prevenzione è debole: ne deriva un ecosistema digitale frammentato, con sistemi non aggiornati, password deboli, scarsa cura nella gestione degli accessi privilegiati e assenza di simulazioni d’incidente o piani di continuità. D’altro canto, esistono molti esempi virtuosi di PA che investono sulla sicurezza beneficiando di progetti di trasformazione digitale finanziati a livello nazionale ed europeo, che prevedono non solo l’ammodernamento delle infrastrutture, ma anche la formazione continua del personale e l’adozione di pratiche di sicurezza by design.
I costi nascosti e gli interessi del security debt
Come ogni debito, anche quello informatico genera interessi. Il primo è rappresentato dai costi di manutenzione di sistemi obsoleti: server dedicati, licenze fuori supporto e personale specializzato sempre più raro. A questo si sommano i premi delle assicurazioni cyber, in ascesa costante: le compagnie, consapevoli dei rischi legati a infrastrutture fragili, alzano le tariffe o riducono le coperture quando rilevano security debt elevato. Infine, l’interesse più pericoloso è la crescente probabilità di subire un breach: più il debito resta irrisolto, più aumentano le chance che un attaccante sfrutti una delle molte vulnerabilità aperte.
Il ruolo delle normative europee nella gestione del debito
In questo scenario, le normative europee stanno fungendo da catalizzatore per il cambiamento.Il primo passo in tale direzione è stata l’approvazione della direttiva NIS2, entrata in vigore il 16 gennaio 2023, che stabilisce obblighi vincolanti di gestione del rischio cyber per soggetti “essenziali” o “importanti”, inclusi i settori sanitario, finanziario e le amministrazioni, con sanzioni fino a 10 milioni di euro o al 2% del fatturato mondiale. Successivamente, il Parlamento europeo ha approvato nel marzo 2024 il Cyber Resilience Act (CRA) che si applicherà dal’11 dicembre 2027 e per la prima volta assegna ai produttori di software e dispositivi connessi responsabilità sulla gestione delle vulnerabilità, incluse quelle derivanti da componenti open-source e dipendenze di terze parti, imponendo principi secure by design e secure by default.
Infine, dal 17 gennaio 2025 è diventato applicabile il regolamento DORA (Digital Operational Resilience Act), che si concentra sul settore finanziario e sui fornitori ICT, richiedendo test periodici di resilienza, gestione strutturata del rischio di terza parte, notifiche di incidente e dimostrazione di un ciclo di patch management attivo.
La combinazione di questi strumenti normativi segna un cambio di paradigma. Il security debt non è più un tema confinato ai CISO (Chief Information Security Officer), ma una priorità per board, revisori e consulenti legali. Affrontarlo significa adottare un approccio strutturato: mappare gli asset, classificare le vulnerabilità, stabilire priorità di intervento, introdurre automazione nei processi di aggiornamento e applicare architetture zero trust che riducano l’impatto di eventuali compromissioni.
La cultura organizzativa come leva per la resilienza
Oltre alla tecnologia, un fattore chiave è la cultura organizzativa: la sicurezza non deve essere percepita come un ostacolo o un costo, ma come un investimento che abilita l’innovazione e rafforza la fiducia degli utenti. Le organizzazioni che riescono a integrare questa visione in ogni fase dei progetti, dalla progettazione alla manutenzione, saranno meglio posizionate per affrontare le sfide future.
Dal debito al vantaggio competitivo
Ridurre il security debt significa non solo diminuire l’esposizione al rischio, ma anche costruire un vantaggio competitivo. Comunicare ai clienti, ai partner e ai regolatori di conoscere il proprio stato di sicurezza, di monitorarlo costantemente e di avere un piano di miglioramento continuo è un messaggio di solidità e affidabilità. In un’epoca in cui la fiducia digitale è fondamentale quanto la sicurezza fisica, questo può fare la differenza tra subire passivamente il cambiamento o guidarlo con consapevolezza e competenza.












