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Dal clic alla conversazione: come cambia la UX con l’AI generativa



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Nell’era dell’AI, l’esperienza utente si trasforma in conversazione. L’attenzione si sposta dall’organizzazione delle schermate alla costruzione di ecosistemi dialogici, capaci di leggere segnali, adattarsi e mantenere continuità narrativa

Pubblicato il 9 ott 2025

Eleonora Moretti

Head of UX di altermAInd



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Dopo anni a progettare interfacce come luoghi da attraversare, griglie da comporre, flussi da ottimizzare, layout responsive da adattare a ogni schermo, assistiamo oggi a una rivoluzione profonda e irreversibile nel mondo dell’UI: il passaggio da un’interfaccia reattiva a un’interfaccia proattiva, in cui l’interazione avviene in linguaggio naturale e il design cambia forma, cambia tempo, cambia ritmo.

Interfacce proattive e personalizzate con l’AI generativa

La domanda che guida la progettazione di un’UX non è più dunque “dove deve cliccare l’utente?”, ma piuttosto “che cosa vuole ottenere?” e soprattutto “come posso accompagnare l’utente nel modo più naturale possibile?”. In altre parole, la nuova interfaccia non è soltanto un ambiente grafico, è una conversazione a tutti gli effetti (e no, non si tratta semplicemente di chatbot).

Un cambio di paradigma determinato dall’integrazione dell’IA generativa nell’UX, una trasformazione che è già realtà in molti dei contesti aziendali dove ogni giorno progettiamo esperienze alimentate da modelli generativi.

Quando le interfacce imparano ad anticipare

Con l’affermazione dell’intelligenza artificiale generativa, le interfacce non si limitano solamente a rispondere: iniziano ad anticipare. Il design, in questo contesto, non ha più il solo compito di “reagire” a un input, ma di suggerire percorsi, offrire possibilità, leggere tra le righe. Ogni esperienza diventa personale, costruita in tempo reale a partire dai segnali dell’utente. Le interfacce imparano, si adattano, dialogano. E ogni singola interazione è un tassello che modella la successiva.

Il nuovo ruolo del designer tra linguaggio e interazione

Questo significa anche che il ruolo dei designer si estende, diventando più articolato: progettiamo ecosistemi conversazionali, non più solo sequenze visive. Le esperienze conversazionali nascono infatti da un principio opposto rispetto a quello sotteso alla tradizionale UX: non è l’utente a doversi adattare all’interfaccia, ma l’interfaccia che si adatta al linguaggio, ai bisogni e perfino allo stato d’animo dell’utente.

Niente più percorsi lineari, dunque, ma interazioni fluide e non deterministiche, capaci di accogliere input più vaghi, ambigui, a volte persino un po’ contraddittori. Pensiamo a come ChatGPT o Claude gestiscono richieste complesse, o a strumenti come Figma Make, che generano UI partendo da prompt testuali. Il punto non è automatizzare il design, ma progettare strutture più elastiche, capaci di evolvere in tempo reale, mantenendo chiarezza, coerenza e controllo.

In questo scenario, i designer diventano progettisti del dialogo tra utente e interfaccia, lavorando su un doppio binario. Da un lato, progettano i codici del dialogo per dar luogo a interazioni che si piegano alle intenzioni dell’utente senza spezzarsi e in cui tutto deve fluire senza soluzione di continuità, creando percorsi alternativi, riformulazioni, scelte progressive. Dall’altro, modellano il tono, la voce, la progressione emotiva dell’esperienza, curando le micro-interazioni, i tempi di risposta, il linguaggio, il silenzio. Perché in un’interfaccia conversazionale ogni parola — e ogni pausa — contano.

Cambiamenti chiave nella progettazione delle interfacce conversazionali

Progettare per il dialogo significa rivedere molte delle certezze progettuali e accogliere alcuni cambiamenti-chiave.

Il primo, riguarda l’entry point, che diventa mobile e distribuito: l’interazione può infatti iniziare da un prompt vocale, da una ricerca oppure da un messaggio nel contesto. La classica “home page” perde così significato, in quanto l’interfaccia deve saper accogliere ogni tipo di ingresso.

Il secondo cambiamento riguarda il “ritmo” dell’interazione stessa, ora dettato dall’utente: alcuni utenti vogliono tutto subito, altri preferiscono procedere un passo alla volta, ma il sistema deve supportare entrambi, senza forzare né disorientare.

In terzo luogo, all’interno delle nuove interfacce i micro-feedback diventano fondamentali: i microcopy, il tono, perfino il tempo d’attesa, fanno parte dell’esperienza emotiva e ogni risposta contribuisce a costruire fiducia all’interno di un dialogo. Infine, l’intera progettazione deve diventare empatica, così che l’interfaccia possa percepire segnali di frustrazione o incertezza e rispondere con empatia, riformulando, rassicurando, orientando.

Un esempio concreto: dall’analisi dati alla conversazione

Si tratta senz’altro di un prodotto estremamente complesso che un esempio concreto può aiutare a comprendere meglio. Immaginiamo una piattaforma per l’analisi dati: in una UX tradizionale, l’utente deve scegliere dataset, applicare filtri e selezionare visualizzazioni. In una UX conversazionale può interagire semplicemente dicendo alla macchina: “Fammi vedere le vendite medie degli ultimi tre mesi in Europa, suddivise per categoria di prodotto.”

Dietro la soddisfazione di quella specifica richiesta c’è un lavoro di design molto sofisticato che include attività complesse quali interpretazione semantica, disambiguazione, gestione degli edge case, scelta della visualizzazione più adatta. Ma all’utente non interessa la complessità, l’utente vuole solo una risposta chiara. E il bravo designer lavora per rendere quella complessità totalmente invisibile.

Tre suggerimenti pratici per progettare conversazioni efficaci

Ma come si iniziano a progettare davvero le interfacce conversazionali?

Ecco tre suggerimenti fondamentali:

  • Mappare le intenzioni, non i flussi. Non partire da schermate o percorsi fissi, ma da ciò che l’utente vuole ottenere. Le conversazioni non seguono schemi lineari: partono da bisogni, spesso espressi in modo personale o incompleto. Capire le intenzioni aiuta a progettare interazioni più flessibili e centrate sull’obiettivo.
  • Scrivere microcopy reali da subito. Il testo non è un dettaglio: è parte centrale dell’esperienza. Le parole guidano, rassicurano, attivano. Usare Lorem Ipsum significa rinunciare a progettare davvero. Scrivete microcopy autentici fin dai primi prototipi: danno tono, direzione e credibilità al dialogo.
  • Progettare anche l’incertezza. L’AI, purtroppo, non capisce sempre tutto. E va bene così, se sappiamo gestire l’incertezza con empatia. Errori o incomprensioni non devono interrompere l’esperienza, al contrario, possono diventare un’occasione per accompagnare l’utente: offrendo alternative, suggerendo come riformulare, mantenendo un tono rassicurante e coerente.

Verso una UX più umana e inclusiva

In conclusione, progettare interfacce conversazionali significa ripensare radicalmente il design, rovesciando il paradigma tradizionale focalizzato sulla composizione di schermi piuttosto che sulla costruzione di relazioni e interazioni vicine al reale. Siamo di fronte a una sfida affascinante, che ci chiede empatia, ascolto e una nuova sensibilità per i dettagli invisibili e che se accolta ci porterà a costruire UX sempre più umane, inclusive e personalizzate.

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