La Terza Missione nasce in un tempo in cui l’accademia ha perso il monopolio del sapere e la conoscenza si distribuisce tra reti, imprese tecnologiche e piattaforme digitali.
In questo scenario, l’università è chiamata a reinventarsi come ecosistema cognitivo aperto, non più solo luogo di formazione ma nodo di connessione tra saperi e società. È da qui che prende forma la riflessione sull’era che finisce e sulle nuove istituzioni della transizione.
Indice degli argomenti
L’accademia: declino e rigenerazione
L’era che finisce. Per secoli l’università è stata il cuore pulsante della conoscenza. Il luogo in cui il sapere si formava, si custodiva e si trasmetteva; un laboratorio della mente e, insieme, un’istituzione civile: lo spazio in cui le società definivano che cosa fosse la conoscenza e a quale scopo dovesse servire.
Oggi quella centralità sembra svanita. La ricerca più innovativa nasce altrove — nelle imprese tecnologiche, nei laboratori privati, nelle reti transnazionali che combinano dati, capitale e talento cognitivo su una scala che le università non riescono più a eguagliare. Le imprese più innovative attraggono i migliori talenti, sperimentano metodi che le università osservano da fuori.
Terza Missione università e fine del monopolio accademico
La “repubblica del sapere” si è trasformata in una burocrazia dell’apprendimento: lenta, iper-regolata, autoreferenziale.
Ma dietro questa crisi istituzionale c’è una crisi epistemica: il modo stesso in cui la conoscenza nasce, si valida e circola è cambiato. Il sapere non è più cumulativo e disciplinare, ma enattivo, emergente e connettivo.
Dalle origini medievali alla Terza Missione dell’università moderna
Dalle corporazioni studentesche all’università humboldtiana. L’università nasce nel Medioevo come corporazione autonoma di studenti, organizzata per proteggere e trasmettere il sapere.
Bologna, Parigi, Oxford: sono comunità cognitive ante litteram, dove le regole si decidono collettivamente, la reputazione conta più del titolo, e la mobilità attraverso un’Europa che parla tutta latino crea la prima rete accademica transnazionale.
Con l’età moderna tutto cambia. La Chiesa arretra, la Nuova Scienza diventa strumento di governo e di progresso. L’Europa cristiana si frammenta negli stati nazionali, che assumono il controllo del sapere.
All’inizio dell’Ottocento emerge il grande modello humboldtiano, fondato su libertà della scienza (Freiheit der Wissenschaft), unità tra ricerca e insegnamento (Einheit von Forschung und Lehre), e soprattutto Bildung — la formazione dell’individuo come cittadino e spirito autonomo.
L’università moderna nasce così: un santuario del sapere e della formazione morale. Non un luogo per imparare un mestiere, ma per comprendere il mondo.
Università americana, mercato e limiti della Terza Missione università
La svolta pragmatica americana. A fine Ottocento, il modello tedesco attraversa l’Atlantico e si reinventa.
Negli Stati Uniti, Charles W. Eliot, presidente di Harvard, introduce corsi opzionali, scuole professionali, programmi di ricerca legati all’industria, e trasforma l’università in un motore di progresso nazionale, mobilità sociale e innovazione.
Le riforme di Eliot danno vita all’università di ricerca moderna: flessibile, pragmatica, meritocratica — e sempre più intrecciata al mercato – finché, a metà Novecento, l’università diventa un pilastro dello Stato industriale.
La “multiversity” descritta da Clark Kerr negli anni Sessanta — un organismo tentacolare che in America fonde ricerca, istruzione e servizio pubblico — rappresenta l’alleanza tra conoscenza, potere e tecnologia.
L’università si trasforma in una corporazione della conoscenza, una macchina burocratica che nutre scienza e politica con menti addestrate e innovazione controllata.
Eppure, sotto la superficie del successo, si prepara una lenta erosione: la burocrazia cresce, la libertà diminuisce, la scienza diventa sempre più dipendente da bandi e rendiconti. La logica amministrativa sostituisce quella del pensiero.
Dal sapere alla competenza: cosa manca alla Terza Missione università
Dal sapere alla competenza: il falso modernismo dell’employability. A partire dagli anni ’90, la globalizzazione e le politiche neoliberali impongono un nuovo paradigma: sotto la bandiera della modernizzazione, si impone l’idea che l’università debba adattarsi alle esigenze del mercato, misurando l’apprendimento in competenze e risultati occupazionali.
La retorica dell’“employability” sostituisce quella della formazione. Le università devono formare “profili occupabili”, tradurre i saperi in competenze misurabili. Il lessico cambia: non più Bildung ma outcome, non più pensiero ma skill.
La conoscenza come formazione interiore cede il passo a un addestramento funzionale a obiettivi immediati. I corsi si moltiplicano, ma la cultura si assottiglia.
Le università smettono di formare élite culturali per produrre lavoratori specializzati in funzioni spesso già destinate all’obsolescenza.
Oggi molte università assomigliano a scuole professionali avanzate: diventano fabbriche di competenze, invece di essere laboratori di senso. Il risultato è una generazione di laureati tecnicamente preparati, ma privi di una prospettiva culturale e critica.
E, paradossalmente, questo approccio fallisce anche sul piano economico: i mercati globali oggi premiano la creatività, la visione sistemica, la capacità di apprendere e reinventarsi — proprio ciò che la logica della “competenza” ha soffocato.
Università online e nuova Terza Missione dell’università in rete
Il fenomeno delle università online — esploso anche in Italia — è la risposta più evidente, anche se parziale, alla crisi di accesso e alla rigidità del sistema tradizionale.
Esse offrono flessibilità, inclusione, e la possibilità di studiare ovunque. Il sapere diventa modulare, “on demand”, tracciato dai dati. Il docente è un curatore di contenuti; lo studente, un manager di sé stesso. L’apprendimento diventa un atto di navigazione più che di partecipazione collettiva.
Le lauree online sono spesso considerate meno prestigiose, eppure sempre più accettate nel mercato. La lezione, però, è chiara: l’istruzione non è più un luogo, ma un servizio; non un rito, ma un flusso.
Il futuro sarà ibrido: università tradizionali che adottano modelli digitali e piattaforme che conquistano legittimità accademica, che forse convergeranno in ecosistemi intelligenti dove tutor AI, blockchain e realtà immersive si integreranno con nuovi spazi di presenza culturale.
Nuove reti cognitive e università oltre la Terza Missione formale
Per generazioni, le università d’élite — Harvard, Oxford, la Sorbona — sono state per le classi dirigenti i portali d’accesso al potere.
Oggi quella funzione sta migrando verso reti cognitive extra-accademiche: fellowship globali, think tank transdisciplinari, organizzazioni temporanee per incentivare innovazioni tecnologiche radicali, scuole dove non si entra per titoli e neppure si rilasciano titoli, e dove tuttavia si acquisisce visibilità e potere di influenza.
L’appartenenza non è più una condizione, ma una performance: chi innova moltiplica le relazioni e le opportunità, chi punta alla ripetitività sparisce.
Dal basso emerge in parallelo, mentre il lavoro stabile scompare, l’impegno connesso, fatto di micro-progetti, collaborazioni temporanee, ecosistemi digitali. Non si lavora più “per” un’impresa, ma “dentro” una rete. Lo studente deve costruire il proprio brand, vendersi come startupper del proprio talento.
La rete è diventata dunque, dall’alto e dal basso, un luogo in cui emergono embrioni di nuove università invisibili, e la connessione è il nuovo curriculum.
Paradossalmente, il futuro della conoscenza potrebbe assomigliare al suo passato.
Le prime università medievali erano corporazioni autogovernate: comunità di studiosi che stabilivano regole e reputazioni in modo autonomo, gilde planetarie di ricercatori, sviluppatori e creatori, connesse non da territori, ma da protocolli di fiducia condivisi.
La storia sembra tornare alle origini — ma su una scala infinitamente più ampia.
In questo scenario, l’università dovrebbe ospitare i laboratori di questa nuova cittadinanza cognitiva, dove si impara ad abitare i sistemi complessi.
Terza Missione università e nascita del Transition Institute
Tutto converge verso un punto: la conoscenza appartiene a ecosistemi di senso — ambienti ibridi dove dati, persone e intelligenze artificiali co-creano valore e significato.
Il passaggio è storico:
• dalla disciplina all’interazione,
• dal processo alla connessione,
• dall’istituzione chiusa alla rete cognitiva aperta.
In questo contesto, il compito delle università non è difendere il monopolio della conoscenza, ma ripensare la propria funzione: diventare mediatori di senso tra sapere e società, garanti di qualità dentro un mondo dove l’intelligenza è ovunque.
Un contesto adatto a fungere da laboratorio per la trasformazione dell’accademia può essere costituito dalla cosiddetta Terza Missione, che negli ultimi vent’anni si è affermata accanto alle due funzioni storiche — la ricerca e la didattica — e si incarna nel rapporto con la società.
La Terza Missione nasce come tentativo di riconnettere la conoscenza con la vita reale dei territori, delle comunità, delle imprese, delle città: l’università non più faro isolato, ma nodo attivo nei processi di transizione — ecologica, digitale, culturale; un’interfaccia tra sistemi di sapere e sistemi di vita, capace di tradurre l’intelligenza accademica in azioni collettive, esperimenti, progetti, e nuove forme di cittadinanza.
La Terza Missione rappresenta, in fondo, il passaggio più profondo che l’università possa compiere: abbandonare la posizione di “autorità” per assumere quella di facilitatore di processi cognitivi diffusi.
In un mondo dove il sapere è ovunque, il valore dell’università non sta più nel custodire la conoscenza, ma nell’essere il motore di un’“educazione come flusso”.
Da questa visione nasce il Transition Institute, promosso da Diotima Society in collaborazione con università e città.
Il suo obiettivo è trasformare la Terza Missione in uno spazio in cui la trasformazione dell’accademia possa trovare il contesto adatto, grazie alla relazione continua con gli ambienti sociali e culturali e soprattutto in un laboratorio in cui affrontare le sfide sempre più complesse che le transizioni in corso pongono.
Il Transition Institute funziona come meta-laboratorio:
• coordina esperimenti di apprendimento aperto,
• attiva progetti di rigenerazione urbana e culturale,
• integra strumenti digitali e piattaforme cognitive,
• e mette in rete saperi accademici, imprese e istituzioni pubbliche.
In questa prospettiva, la Terza Missione non è un’estensione amministrativa, ma una trasformazione in cui l’università apprende insieme alla società.
La Terza Missione è la porta d’ingresso di questa metamorfosi.
E il Transition Institute ne rappresenta un laboratorio avanzato: un luogo dove la conoscenza si fa atto, e l’educazione si rinnova come flusso continuo di vita e intelligenza.
C-School e conoscenza generativa nella missione cognitiva
In questa fase storica in cui i vecchi ordini declinano, e il presente viene percepito come disordine – reale o apparente, si delineano le sfide prioritarie per le istituzioni del sapere:
• acuire la capacità di scorgere i pattern dei nuovi ordini emergenti,
• e saper costruire gli ambienti e le strutture in cui questi nuovi ordini possano trovare processi istituenti.
La Convenzione quadro tra la CRUI-Conferenza dei Rettori delle Università Italiane e Diotima Society si inserisce in questo passaggio epocale, dando origine al Transition Institute e rilanciando il concetto di C-School, la Scuola di Connessione.
La C-School: una nuova grammatica cognitiva
La C-School non è una scuola tradizionale, ma un ambiente di connessione sistemica, dove discipline, linguaggi e comunità si intrecciano per generare nuove forme di senso e di valore.
È una struttura aperta e modulare che trasforma la Terza Missione delle università — spesso confinata all’outreach o al trasferimento tecnologico — in una Transizione Cognitiva: un processo continuo di apprendimento collettivo tra università, imprese e città.
Ogni nodo universitario che aderisce alla convenzione tra CRUI-Diotima Society diventa un Transition Node, un laboratorio territoriale in cui la conoscenza non si trasferisce, ma si co-produce.
Qui l’esperienza si fa didattica, ogni progetto diventa ricerca, e la Terza Missione si manifesta come infrastruttura di intelligenza collettiva e laboratorio di trasformazione.
La C-School diventa così un protocollo vivente di innovazione: un metodo, ma anche una cultura.
La conoscenza come impresa generativa. Nel modello della C-School e del Transition Institute, la conoscenza è intesa come forma d’impresa generativa, capace di produrre impatto, valore e relazioni.
Non si misura più solo in termini di output scientifici o brevetti, ma attraverso indicatori di co-evoluzione: capacità di leggere sistemi complessi, ridurre asimmetrie informative, creare alleanze, generare fiducia.
In questo senso, la collaborazione CRUI-Diotima introduce un nuovo paradigma della Terza Missione: la missione cognitiva, che mette al centro il sapere non digitalizzato — quello che abita nei comportamenti, nei linguaggi, nei territori — e ne fa la materia prima della transizione.
È il sapere situato, esperienziale, tacito, che nessuna intelligenza artificiale può produrre da sola, ma che può invece riconoscere, sollecitare, valorizzare.
AI che interroga e co-evoluzione cognitiva con l’accademia
L’AI che interroga. Nel mondo del MetaDominio, l’intelligenza artificiale non è più solo una fonte di risposte, ma può diventare un sistema che genera domande.
Attraverso l’interazione con dati strutturati e conoscenze umane elicitate, essa costruisce un dialogo permanente con il sistema cognitivo che la circonda: un’intelligenza distribuita, auto-riflessiva e relazionale.
Questo principio — l’AI che interroga — può rappresentare il vero salto metodologico per la scuola del futuro.
Non più un luogo che trasmette certezze, ma un ecosistema che coltiva domande; non più un edificio di sapere, ma un campo semantico dove reti umane e reti di computazione co-producono senso.
L’AI, in questo contesto, diventa maieutica socratica: aiuta l’uomo a far emergere ciò che già sa ma non ha ancora formulato, traducendo l’implicito in esplicito, il tacito in condivisibile.
È qui che la C-School mostra tutta la sua funzione: insegnare a dialogare con l’intelligenza, non a utilizzarla come semplice strumento, ma a farne un interlocutore della trasformazione.
In questa relazione, la scuola – e l’università in particolare – ritrova la sua radice originaria: una comunità in cui ogni sapere, umano o artificiale, contribuisce alla costruzione di una civilizzazione.
La co-evoluzione cognitiva. Il Transition Institute si pone come punto d’incontro tra AI e società, tra conoscenza e valore.
Ogni progetto, ogni laboratorio, ogni territorio coinvolto diventa un frammento di un grande organismo collettivo, dove le connessioni generano nuove domande e le domande nuove possibilità.
È il passaggio da un sistema di istruzione a un ecosistema di apprendimento continuo, dove la ricerca non precede l’azione, ma evolve con essa.
In questa prospettiva, la transizione non è solo ecologica o digitale: è epistemica.
Non cambia solo ciò che sappiamo, ma come impariamo a sapere insieme.
Verso un’università post-digitale e una scholè di transizione
Verso l’università post-digitale. L’università del futuro sarà dunque un organismo dialogico: parte umana, parte artificiale, parte sociale.
Un luogo dove le intelligenze, in tutte le loro forme, si incontrano per interpretare la realtà e trasformarla.
In questo scenario, la C-School — la scuola di connessione — rappresenta il suo nucleo vitale: il punto in cui la conoscenza torna a essere relazione, e la domanda – come nell’antica scholè – torna a essere il motore del mondo.
Epilogo: la spirale del sapere. Forse la storia non si ripete, ma percorre una spirale.
La conoscenza torna al punto di partenza — alla comunità, alla collaborazione, alla libertà — ma su una scala più ampia e più consapevole.
Come scriveva Humboldt, “solo chi sa essere libero può educare alla libertà.”
Oggi, la libertà del sapere significa uscire dal recinto: imparare, pensare e creare insieme, in un ecosistema che non ha più muri — solo connessioni.
© Diotima Project | Edizione Italiana – 2025















