competenze e professioni

Saper usare un software non è un mestiere: l’errore che l’IA non perdona



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L’intelligenza artificiale non sostituisce le professioni, ma rende visibile il vero mismatch delle competenze nel mercato del lavoro italiano, separando chi sa solo usare strumenti da chi sa progettare, interpretare e decidere in modo critico e consapevole

Pubblicato il 23 dic 2025

Alessia Romito

Collaboratrice di ricerca presso la Struttura Sistemi Formativi Inapp

Boris Sofronic

Collaboratore di ricerca presso la Struttura Lavoro e Professioni Inapp



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Il dibattito sul divario esistente tra le competenze richieste dalle aziende e quelle possedute dai lavoratori rischia spesso di fermarsi agli slogan. In realtà, al centro della trasformazione guidata dall’intelligenza artificiale c’è la distinzione tra competenze strumentali e competenze professionali, cioè tra chi sa usare un software e chi sa progettare, interpretare e decidere.

È proprio da questo scarto che nasce il “paradosso della calcolatrice” e l’idea, sempre più fragile, di potersi definire professionisti solo in base alla padronanza di uno strumento.

Quando lo strumento viene scambiato per professione

Immaginiamo di incontrare qualcuno che si presenta come esperto di calcolatrice. Probabilmente sorrideremmo, riconoscendo l’assurdità di confondere la padronanza di uno strumento con una competenza professionale.

Eppure, questo è esattamente ciò che accade quotidianamente nel mercato del lavoro quando si cercano candidati con padronanza del pacchetto Adobe (Photoshop e Illustrator), operatori di Excel, esperti SAP o professionisti di Power BI.

Questa confusione tra competenze strumentali e competenze professionali autentiche non è solo un problema semantico: è uno dei fattori chiave del crescente mismatch tra domanda e offerta di lavoro che affligge il sistema italiano.

E l’avvento dell’intelligenza artificiale sta portando questo paradosso alla luce in modo sempre più evidente, mostrando quali competenze strumentali e competenze professionali restano davvero rilevanti nel tempo.

Come competenze strumentali e competenze professionali emergono con l’IA

Luciano Floridi (2022), direttore fondatore del Digital Ethics Center alla Yale University e tra i massimi esperti mondiali di etica dell’intelligenza artificiale, ha introdotto un concetto illuminante per comprendere questo fenomeno: il “divorzio” tra la capacità di svolgere compiti con successo e la necessità di essere intelligenti nel farlo. Secondo Floridi, l’IA opera a intelligenza zero: riesce a risolvere problemi complessi, a generare output straordinari, a compiere operazioni che, se affidate a un essere umano, richiederebbero intelligenza, ma senza possedere alcuna forma di comprensione genuina. È pura capacità operativa senza consapevolezza.

Sulla stessa lunghezza d’onda troviamo anche Massimo Chiriatti, che nel suo libro Incoscienza artificiale (2021) afferma: “Una macchina intelligente in grado di prendere decisioni al posto dell’uomo: se pensiamo sia questa la definizione di intelligenza artificiale, sbagliamo. Anche se sempre più sofisticate, infatti, le macchine sono pur sempre dei meri esecutori di istruzioni impartite dall’uomo sotto forma di numeri e formule, che poco hanno a che vedere con facoltà tipicamente umane come le emozioni, il coraggio, la responsabilità o l’immaginazione.”

L’interazione con alcuni tipi di sistemi di intelligenza artificiale è diventata così simile a un’interazione con esseri umani coscienti che le persone hanno iniziato a vedere coscienza e intenzionalità invece di algoritmi (Porębski e Figura 2025). Questo è un fenomeno molto rischioso e le persone devono essere rese consapevoli del fatto che stanno interagendo con entità non coscienti. Il pubblico dovrebbe essere protetto da un’interpretazione eccessiva delle funzionalità dell’intelligenza artificiale e acquisire la consapevolezza che è solo un “mezzo”.

Questa distinzione è cruciale perché ci aiuta a capire cosa l’IA può effettivamente sostituire e cosa no. L’intelligenza artificiale può sostituire l’operatore Excel – chi si limita a eseguire operazioni tecniche su uno strumento – ma non può sostituire l’analista di dati che sa quali domande porre, quali pattern cercare, come interpretare le anomalie nel contesto specifico del proprio settore e quali decisioni strategiche trarre dai risultati. Qui si misura la distanza tra competenze strumentali e competenze professionali.

Intelligenza operativa delle macchine e intelligenza umana

Quello che viene spesso scambiato per “intelligenza” dei sistemi di IA è in realtà potenza computazionale applicata a grandi moli di dati. La macchina ottimizza, prevede, classifica, ma non comprende. La comprensione del contesto, la capacità di attribuire significato e di assumersi responsabilità rimangono saldamente ancorate all’essere umano.

In questo scenario, chi possiede solo competenze strumentali rischia di essere rapidamente sostituibile, mentre chi sviluppa competenze professionali profonde – analisi, sintesi, giudizio critico – può usare l’IA come potente alleato. La differenza tra sapere usare lo strumento e sapere cosa farci diventa quindi decisiva.

Dall’operatore di strumenti all’analista del valore

La figura dell’operatore di strumenti – la persona che conosce comandi, menu e funzioni di un software – è sempre più distinta dalla figura del professionista che genera valore. Quest’ultimo non si limita a produrre output, ma li interpreta, li contesta e li inserisce dentro una strategia.

L’IA mette in luce con forza questa distinzione: dove prevalgono solo competenze strumentali, l’automazione avanza velocemente; dove servono competenze professionali che combinano dati, contesto e decisione, l’IA diventa un moltiplicatore di efficacia.

Perché le competenze strumentali e competenze professionali non sono intercambiabili

Floridi stesso ha condiviso un’esperienza personale significativa: quando ha provato a usare un generatore di immagini IA, ha ottenuto risultati pessimi semplicemente perché non aveva le competenze di un designer, illustrando con una metafora la tesi da lui sostenuta: “È come se qualcuno dicesse di essere un grande matematico perché sa usare la calcolatrice, oppure se qualcuno mi desse un’auto da Formula 1 e io pensassi di saperla guidare. Non saprei che fare o mi schianterei dopo un minuto…” (Floridi 2022).

Un esempio perfetto di come, anche con gli strumenti più avanzati, senza le competenze professionali sottostanti si producano solo output mediocri o pessimi. La presenza di strumenti potenti rende ancora più evidente la differenza tra competenze strumentali e competenze professionali, che non possono essere considerate equivalenti.

Questo ci porta dritti al cuore del problema del mismatch delle competenze: quando le aziende cercano esperti di Excel o specialisti di Power BI, in realtà cercano professionisti con competenze di analisi, problem-solving, pensiero critico e capacità di comunicare insight complessi. Lo strumento è irrilevante – tra cinque anni potrebbe essere completamente diverso, ma competenze strumentali e competenze professionali ben integrate restano la base del valore generato.

Competenze strumentali vs competenze professionali: una distinzione necessaria

Facciamo chiarezza con alcuni esempi concreti, confrontando le competenze tecniche con quelle strumentali (figura 1).

Figura 1. Competenze strumentali vs competenze professionali

La differenza è evidente: le competenze strumentali sono legate a specifici software e possono diventare obsolete rapidamente. Le competenze professionali sono trasversali, durature e si possono manifestare attraverso strumenti diversi (Assintel 2024).

Misurare il mismatch tra competenze strumentali e competenze professionali con gli LLM

L’utilizzo di Large Language Models (LLM) opportunamente addestrati su fonti istituzionali certificate ha permesso di sviluppare una metodologia innovativa per l’identificazione e l’analisi del mismatch delle competenze. Utilizzando il modello di intelligenza artificiale generativa (GenAI) personalizzato con dati Anpal, Cedefop, Inapp, Istat, Unioncamere e altre fonti autoritative, è stato possibile superare i limiti delle precedenti generazioni di modelli, caratterizzate da errori fattuali, allucinazioni artificiali e obsolescenza della knowledge-base (Alkaissi & McFarlane 2023).

La metodologia adottata prevede l’analisi sistematica di tre componenti fondamentali: i requisiti professionali emersi dagli annunci di lavoro, i contenuti dei percorsi formativi esistenti e l’identificazione del gap specifico tra domanda e offerta formativa. In questo modo è possibile collegare meglio competenze strumentali e competenze professionali richieste dalle imprese e offerte dai sistemi formativi.

Per ciascun caso analizzato, il modello distingue la tipologia di mismatch (natura qualitativa del gap) e il livello quantitativo del disallineamento individuato. Usando le metriche di “GPT match” (Chen et al. 2024), il modello classifica diversi casi di mismatch come gap strumentali, tecnologici o paradigmatici e gli assegna il grado di allineamento usando una scala da 0 a 1 (tabella 1).

Questa metodologia assume particolare rilevanza in quanto permette di identificare non solo le competenze mancanti, ma anche la natura specifica del disallineamento, orientando così interventi formativi mirati e differenziati: permette di identificare con precisione questi diversi pattern, supportando la progettazione di interventi formativi calibrati sulla natura specifica del gap, ottimizzando così risorse e tempi di formazione mentre si massimizza l’impatto occupazionale.

Tipologie di gap: strumentale, tecnologico, paradigmatico

Tabella 1. Esempi di identificazione del mismatch e soluzioni proposte

La tabella illustra come un modello opportunamente addestrato non si limiti solamente a identificare il mismatch, ma ne caratterizzi la tipologia del gap, suggerendo la progettazione di moduli formativi aggiuntivi differenziati in base al “GPT match” individuato: dai moduli integrativi per colmare gap strumentali ai percorsi di aggiornamento tecnologico che valorizzano le competenze esistenti, fino ai programmi di riqualificazione completa per affrontare cambiamenti paradigmatici (Romito e Sofronic 2025).

Formazione e politiche del lavoro tra competenze strumentali e competenze professionali

L’intelligenza artificiale sta esacerbando il problema del mismatch in modo paradossale. Da un lato, automatizza proprio quelle competenze strumentali che molte persone consideravano il proprio mestiere; dall’altro, sta creando una domanda esplosiva di competenze professionali autentiche.

I dati dell’OCSE (2023) confermano questa tendenza: le imprese faticano a trovare profili adeguati non per mancanza di candidati che sanno usare gli strumenti, ma per carenza di competenze trasversali, capacità di problem-solving complesso, pensiero critico e, soprattutto, capacità di integrare efficacemente le nuove tecnologie nei processi lavorativi. Qui diventa esplicito il divario tra competenze strumentali e competenze professionali.

I lavori del futuro si concentreranno sul design, management e controllo dei sistemi di IA. Non si tratta di programmare l’IA – una competenza strumentale che anch’essa un giorno potrebbe essere automatizzata – ma di avere le capacità di gestire singole operazioni in una data organizzazione, integrando l’IA in modo strategico e contestualizzato.

Competenze trasversali e alfabetizzazione all’IA

Questa distinzione ha conseguenze profonde per come dovremmo ripensare formazione e politiche del lavoro. Prima di tutto, è necessario superare l’ossessione per le certificazioni tecniche: invece di formare esperti di Power BI, dovremmo puntare a formare professionisti con solide competenze di analisi che usano Power BI (o qualsiasi altro strumento) come mezzo per esprimere quelle competenze.

Parallelamente, diventa fondamentale investire sulle competenze trasversali e metodologiche. Problem-solving, pensiero critico, capacità di apprendimento continuo, comunicazione efficace e collaborazione sono le competenze che l’IA non può replicare e che determinano il valore professionale. A queste si affianca la necessità di promuovere l’alfabetizzazione IA come competenza strategica, non tanto nell’imparare a sviluppare modelli di Machine Learning, LLM o GenAI, quanto piuttosto nel comprendere cosa l’IA può e non può fare, come integrarla efficacemente e come valutarne criticamente gli output.

Nuovi criteri per il matching tra candidati e imprese

Sul fronte pratico, occorre rivedere i sistemi di matching domanda-offerta: le piattaforme di incontro tra candidati e aziende dovrebbero focalizzarsi su competenze professionali piuttosto che su liste di software conosciuti. Un candidato che conosce Structured Query Language (SQL) ma non il linguaggio R, ad esempio, può apprendere quest’ultimo rapidamente se possiede solide competenze di informatica e analisi dati.

Allo stesso modo, un candidato che padroneggia Gimp, o qualsiasi altro software per l’elaborazione digitale delle immagini, ma non Photoshop può apprendere quest’ultimo rapidamente se possiede competenze di fotografia e graphic design. Qui si vede come competenze strumentali e competenze professionali possano essere ricombinate senza ridurre il profilo a un elenco di strumenti.

Infine, è urgente affrontare il misalignment sistemico. È ampiamente condiviso che tra le cause della disoccupazione strutturale, in Italia e nell’Unione europea, il mismatch tra domanda e offerta ne rappresenta il principale fattore determinante1. Per questo, servirebbero politiche di formazione mirate e non interventi generici, capaci di lavorare sulla combinazione tra competenze strumentali e competenze professionali.

Amazon, automazione e segnali sul futuro del lavoro

La buona notizia è che l’intelligenza artificiale, lungi dall’essere la minaccia apocalittica spesso dipinta dai media, può diventare un potente amplificatore delle competenze professionali autentiche, ma solo se manteniamo una visione strumentale dell’IA. L’IA è uno strumento – straordinariamente potente, certo – ma pur sempre uno strumento al servizio dell’intelligenza umana. Non è intelligente, non comprende, non ha giudizio etico o capacità di contestualizzare. Fa esattamente quello per cui è stata progettata, con efficienza impressionante ma zero comprensione.

Il professionista del futuro non sarà sostituito dall’IA, ma sarà colui che saprà orchestrarla strategicamente, combinando la potenza computazionale delle macchine con l’insostituibile capacità umana di comprendere contesti, porre le domande giuste, esercitare giudizio critico e prendere decisioni eticamente fondate.

Recentemente ha suscitato grande interesse dei media la notizia che Amazon sta pianificando di tagliare fino a 30.000 posti di lavoro. Questa cifra rappresenta solo una piccola percentuale dei 1,55 milioni di dipendenti totali dell’azienda, configurandosi comunque come il taglio più significativo dal 2022, quando furono eliminate circa 27.000 posizioni.

Il CEO di Amazon Andy Jassy sta portando avanti questa iniziativa per ridurre quella che ha definito un “eccesso di burocrazia”, ribadendo che l’aumento dell’uso di strumenti di IA, automatizzando compiti ripetitivi e di routine, avrebbe probabilmente portato a ulteriori tagli occupazionali. I licenziamenti potrebbero interessare diverse divisioni, tra cui risorse umane, operazioni, dispositivi e servizi e Amazon Web Services (AWS).

La scelta della grande azienda americana, che ha avuto una risonanza pubblica riprovevole, di fatto fa riferimento proprio alla necessità di automatizzare quelle competenze pratiche – compiti ripetitivi e di routine – su cui molte persone basavano la propria professione, diventate tuttavia obsolete. Ciò conferma che ci troviamo di fronte a un giro di boa: è necessario investire in una formazione mirata a sviluppare competenze professionali più profonde e specializzate, e a ripensare in modo sistematico il rapporto tra competenze strumentali e competenze professionali.

Tre domande per il futuro del lavoro con l’intelligenza artificiale

Mentre l’Italia e l’Europa affrontano sfide complesse legate alla transizione digitale, verde e demografica, dovremmo porci alcune domande fondamentali. Sono domande che toccano direttamente il rapporto tra competenze strumentali e competenze professionali e il modo in cui gestiremo il mismatch delle competenze nei prossimi anni.

  1. Stiamo formando operatori di strumenti o professionisti con competenze trasferibili? Il nostro sistema educativo e formativo continua a concentrarsi troppo sulle competenze strumentali anziché su quelle professionali durature?
  2. Le aziende sanno davvero cosa cercano? Quando pubblicano annunci per esperti di Excel o specialisti di Power BI, stanno davvero cercando quella competenza strumentale o piuttosto analisti capaci di generare valore attraverso i dati?
  3. Come possiamo trasformare il mismatch in opportunità? L’IA sta rendendo obsolete molte competenze strumentali, ma sta anche creando domanda per competenze professionali più elevate. Come possiamo aiutare le persone in questa transizione, sul piano formativo, organizzativo e di politiche attive?

La risposta a queste domande determinerà se l’Italia saprà cogliere le opportunità della rivoluzione IA o ne subirà solo gli effetti potenzialmente negativi. E la chiave sta nello smettere di confondere lo strumento con la professione, la tecnica con l’intelligenza, il mezzo con il fine.

L’intelligenza artificiale non rappresenta una minaccia in sé: non ci sostituirà e non ci toglierà il lavoro. Renderà obsolete quelle competenze strumentali che non evolvono con i tempi, metterà in difficoltà chi si affida esclusivamente a mansioni routinarie senza aggiornarsi e premierà chi è pronto ad acquisire nuove capacità e apprendere continuamente.

Bibliografia

Alkaissi H., McFarlane S.I. (2023), Artificial hallucinations in ChatGPT: implications in scientific writing, Cureus, 15, n.2,

e35179

Assintel (2024), Competenze Digitali: Un’opportunità per lo sviluppo del Paese

Banca d’Italia (2024), Labour shortages in Italy: determinants, firms’ responses and employment prospects, Questioni di Economia e Finanza, Occasional Papers, n. 887, October 2024

Chen Y., Fang H., Zhao Y., Zhao Z. (2024), Recovering overlooked information in categorical variables with LLMs: an application to labor market mismatch, NBER Working Paper n.32327, Cambridge, MA, National Bureau of Economic Research

Chiriatti M. (2021), Incoscienza artificiale. Come fanno le macchine a prevedere per noi: Un’analisi critica dell’intelligenza artificiale e delle sue implicazioni sulla società, Luiss University Press

European Commission (2023), Employment and Social Developments in Europe. Addressing labour shortages and skills gaps in the EU, European economy – discussion papers, Directorate-General for Employment, Social Affairs and Inclusion, European Commission, Publications Office of the European Union, 2023, https://data.europa.eu/doi/10.2767/089698

Floridi, L. (2022), Etica dell’intelligenza artificiale. Sviluppi, opportunità, sfide. Raffaello Cortina Editore

Forges Davanzati G. (2022), Le cause della disoccupazione giovanile in Italia, in Economia e Politica, XIV, n.23

OECD (2023), OECD Employment Outlook 2023: Artificial Intelligence and the Labour Market, OECD Publishing, Paris

Porębski, A., Figura, J. There is no such thing as conscious artificial intelligence. Humanit Soc Sci Commun 12, 1647 (2025). https://doi.org/10.1057/s41599-025-05868-8

Romito A., Sofronic B. (2025), Determinare il mismatch delle competenze usando la GenAI. Costruzione di un modello su istruzione, formazione e mercato del lavoro in Italia, Sinappsi, XV, n.2, pp.208-227

  1. European Commission (2023), Employment and Social Developments in Europe. Addressing labour shortages and skills gaps in the EU, European economy – discussion papers, Directorate-General for Employment, Social Affairs and Inclusion, European Commission; Banca d’Italia (2024), Labour shortages in Italy: determinants, firms’ responses and employment prospects, Questioni di Economia e Finanza, Occasional Papers, n. 887, October 2024; Forges Davanzati G. (2022), Le cause della disoccupazione giovanile in Italia, in Economia e Politica ↩︎
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