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LLM Open-Weights: come usare l’AI in azienda senza esporre dati sensibili



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Le imprese adottano LLM open-weights in architetture chiuse per innovare mantenendo controllo sui dati. Modelli eseguiti on-premise, nessun data sharing esterno, tracciabilità completa. Un approccio che coniuga innovazione rapida, compliance e sovranità del dato senza compromessi sulla sicurezza

Pubblicato il 29 dic 2025

Andrea Ceschini

CEO e co-founder di GRID+



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Nel dibattito su intelligenza artificiale e privacy, “chiuso” non significa opaco: indica architetture a perimetro controllato in cui gli LLM di tipo “open-weight” girano in ambienti isolati, i dati non escono mai dall’infrastruttura e ogni risposta è tracciabile alle fonti interne. Questo approccio consente di innovare con rapidità e, allo stesso tempo, rispettare governance, compliance e sovranità del dato.

Le caratteristiche dell’approccio chiuso

Per “approcci chiusi” intendiamo soluzioni in cui:

  • i modelli sono eseguiti on-premise o in private cloud (tenant dedicato) con telemetria locale;
  • le fonti interrogate sono esclusivamente repository documentali interni (con metodologia RAG, ovvero Retrieval-Augmented Generation);
  • non esiste data sharing con servizi esterni; si applicano zero data retention e no training on customer data;
  • la catena di elaborazione è auditabile end-to-end (policy, log, provenienza delle risposte).

È un’AI “a circuito chiuso“: l’assistente generativo valorizza il patrimonio informativo interno, senza esportare contenuti o metadati sensibili.

I sei blocchi dell’architettura di riferimento

  • Data layer interno – Documenti e database restano dentro ai sistemi dell’azienda. I dati sensibili sono protetti, cifrati e correttamente etichettati, così che non circolino più del necessario.
  • Motore di ricerca privato – Creiamo un indice interno (come un Google aziendale) che permette di trovare rapidamente le informazioni. Ogni persona vede solo ciò che è autorizzata a vedere.
  • Motore RAG (Assistente che risponde con le fonti) – Quando l’utente fa una domanda, l’assistente cerca i passaggi rilevanti nei documenti interni e li usa per costruire la risposta, indicando da dove ha preso le informazioni.
  • LLM open-weights (Modello linguistico locale) – Modelli a “pesi aperti” (es. famiglia Llama, Mistral, Gemma, ecc.), ovvero modelli i cui parametri (i “pesi”) sono pubblici e consentono di installare ed eseguire l’AI in autonomia, personalizzandola senza dipendere da piattaforme esterne, girano su server dell’azienda o in cloud privato. I dati non escono mai: niente invii di dati o prompt a servizi esterni.
  • Sicurezza integrata – Ci sono filtri che bloccano richieste malevole, controlli automatici sui contenuti e test periodici di sicurezza. Le domande degli utenti non vengono conservate oltre il necessario.
  • Tracciabilità e audit – Ogni risposta è tracciabile: sappiamo quali documenti sono stati usati e con quale versione del modello. Questo rende più semplici controlli interni e verifiche di compliance.

Privacy-by-design nella pratica

Un approccio “chiuso” e privacy-by-design significa progettare l’AI mettendo la protezione dei dati al centro: l’assistente opera in ambienti controllati dell’azienda, senza canali di uscita non autorizzati; si indicizza solo ciò che serve e i dati restano dove devono stare; i permessi degli utenti sono rispettati anche nelle risposte, che riportano le fonti interne e possono essere verificate. Il sistema include difese contro richieste malevole e tentativi di esfiltrazione di informazioni riservate, e viene controllato nel tempo per ridurre errori, bias e comportamenti indesiderati.

Questo impianto semplifica la compliance: documentare trattamenti e valutare i rischi diventa più lineare grazie a log affidabili e tracciabilità delle fonti; i requisiti di trasparenza sono dimostrabili, e la contrattualistica è più semplice perché non c’è trasferimento di dati a terzi. In breve, è una governance dell’AI sostenibile: l’organizzazione mantiene il controllo su modelli, dati e metriche, senza rinunciare all’innovazione.

Quando conviene e quando no

Gli approcci “chiusi” hanno più senso quando l’obiettivo è valorizzare in sicurezza il patrimonio informativo interno: assistenti documentali su policy, procedure e contratti, supporto alla compliance, knowledge base tecniche e redazione di report con citazioni puntuali alle fonti.

Sono invece meno adatti a funzioni consumer su larga scala, basate su contenuti pubblici e forte integrazione con piattaforme esterne, dove la priorità è l’apertura dell’ecosistema più che la segregazione dei dati.

Sfatiamo i miti sull’AI chiusa

Sul piano dei malintesi:

  • “chiuso” non significa meno innovazione, perché l’innovazione si concentra sul dominio proprietario con cicli rapidi di test e rilascio, evitando vincoli di piattaforma;
  • open-weights” non vuol dire minore qualità, poiché su dati aziendali, con RAG e buon setup dei prompt, le prestazioni sono spesso in linea o superiori ai modelli chiusi generalisti;
  • on-prem” non equivale a costi ingestibili, perché modelli efficienti, quantizzazione e una scelta mirata dell’hardware mantengono il TCO competitivo, soprattutto considerando compliance e rischio.

Roadmap di implementazione in 12 settimane

Il percorso di adozione è breve e misurabile: nelle prime 1–2 settimane si chiariscono casi d’uso, dati e rischi, impostando le metriche di base; tra la 3ª e la 6ª si definiscono architettura e controlli (pipeline RAG, policy, logging, audit); tra la 7ª e la 10ª si avvia un pilot in produzione limitata con SLO chiari, feedback degli utenti e hardening della sicurezza; tra l’11ª e la 12ª si decide il go/no-go e si prepara l’estensione per altri domini e integrazioni.

Metriche concrete per valutare i risultati

Il successo si misura con indicatori concreti: percentuale di risposte verificabili con citazioni corrette, accuratezza percepita su compiti reali, blocco delle prompt injection e assenza di data leakage, tempo risparmiato e minori escalation operative, audit superati senza azioni correttive.

La visione strategica sull’AI proprietaria

L’AI diventa davvero un asset quando l’impresa ne possiede tutte le componenti: modelli a pesi aperti, dati che non varcano il perimetro aziendale, catena di elaborazione isolata. Non si tratta di frenare l’innovazione, ma di indirizzarla: soluzioni utili, verificabili e progettate per resistere nel tempo. È così che si coniugano competitività, sicurezza e responsabilità.

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