Commissioni e PA

Quando PagoPA ci fa pagare di più: il paradosso

Molti cittadini si lamentano del fatto che, per via di PagoPA, si ritrovano a pagare commissioni che prima non pagavano. Succede in pochi ma significativi casi. Come stanno davvero le cose? Facciamo chiarezza

Pubblicato il 04 Mar 2021

Sergio Sette

consulente informatico e digital trasformation

pagopa

C’è un’ombra nell’indubbio successo di PagoPA e di cui si parla poco.

Le proteste di utenti e associazioni dei consumatori che a volte si ritrovano a pagare con PagoPa più di quanto pagavano prima, per lo stesso servizio, per colpa delle commissioni. Si arriva anche a 2,5 euro a transazione.

Ma come stanno le cose?

La difesa di PagoPA

PagoPA S.p.A. rimanda in modo deciso al mittente le proteste di cittadini e Associazioni dei consumatori. La posizione della società è presente nelle FAQ (la FAQ A 14 per la precisione) del sito Docs Italia dedicato al sistema PagoPA, che riporto qui di seguito:

“Con pagoPA le commissioni, nella peggiore delle ipotesi, rimangono invariate rispetto ai casi in cui pagoPA non è usato. La differenza è che, con pagoPA, le commissioni vengono esposte in modo trasparente al cittadino, che potrà rendersi conto come tendenzialmente i costi si riducono. Prima dell’introduzione di pagoPA in molti casi era l’Ente Creditore a inglobare i costi di commissione all’interno del tributo o del servizio. Il costo di commissione, quindi, rimaneva nascosto al cittadino ma comunque presente. Negli altri casi il costo di commissione era esplicito. Ad esempio, il pagamento con il bollettino postale o con un avviso in banca comporta un costo di commissione, anche se pagato con l’home banking“.

Come stanno davvero le cose?

Le cose non stanno proprio così, specie laddove si dichiara che i costi delle commissioni, pre-PagoPA, fossero, in modo non trasparente, inglobati all’interno del tributo o del servizio.

Che fra l’altro è un modo per dire che, laddove oggi i costi non fossero inferiori, sarebbe colpa delle PA che non avrebbero scorporato il costo delle commissioni ora non più presenti. Che insomma sarebbero queste ultime a farci la cresta.

Sebbene non sia facile da dimostrare, per via che di anno in anno gli importi da pagare sono differenti, ci sono casi, facilmente documentabili, dove l’asserzione è certamente falsa. 

Il caso del MAV

È il caso, ad esempio, dei pagamenti che prima avvenivano con il cosiddetto MAV.

Il MAV (Mediante AVviso) è una particolare procedura interbancaria standardizzata, abbastanza utilizzata fra le amministrazioni medio-grandi, dove è il creditore stesso (nel nostro caso la P.A., che lo può fare autonomamente o per mezzo del servizio di Tesoreria) a emettere uno speciale bollettino.

Il costo del MAV è a carico di chi lo emette, mentre chi paga, lo fa senza alcun costo aggiuntivo. Il pagamento si può effettuare presso lo sportello di qualunque banca o attraverso i servizi di home banking, sempre senza alcun costo. Ebbene, abbiamo sentito alcune Amministrazioni e ci hanno confermato che il costo del MAV non veniva assolutamente aggiunto a quello del tributo/servizio. In alcuni casi poi le PA hanno dichiarato che emettevano loro stesse i bollettini e il costo di incasso del MAV era per loro nullo, in base alle condizioni “spuntate” in fase di gara per il servizio di Tesoreria.

In casi come questi quindi il cittadino si ritrova certamente a pagare di più. E la banca ad incassare qualcosa che prima non avrebbe incassato, ma non solo, a non erogare più i servizi di emissione dei MAV, contrattualmente previsti nei contratti per il servizio di Tesoreria.

Non solo: per la PA il pagamento attraverso PagoPA non ha nemmeno il vantaggio della riconciliazione automatica, in quanto questa avveniva (e ci assicurano, con meccanismi più semplici e stabili) anche attraverso il MAV.

Tasse scolastiche e altri casi

Il caso del MAV non è tuttavia l’unico: moltissimi cittadini, infatti, si lamentano del fatto di pagare commissioni che prima non pagavano. Molti, ad esempio, riportano come le tasse scolastiche (che sono importi confrontabili negli anni) attraverso PagoPA richiedano oggi commissioni che prima, pagando attraverso bonifici che erano, in base agli accordi con la loro banca, gratuiti o dal costo molto basso, non c’erano o erano inferiori.

In altri termini, sono forzati ad usare un canale diverso da quello per loro contrattualmente più conveniente. Anche in questo caso quindi maggiori costi per il cittadino e maggiori introiti per la banca.

In molti altri casi poi, per via dell’estrema complessità del sistema (altro problema non trascurabile), sebbene quanto affermato da PagoPA possa essere vero, è il cittadino che, non riuscendo a districarsi fra i diversi canali di pagamento possibili, si trova a pagare attraverso un canale per lui più oneroso.

In alcuni casi, ad esempio quelli in cui non è disponibile il bollettino stampato, come nei pagamenti contestuali all’erogazione del servizio, il cittadino si trova a pagare di più solo per il fatto di utilizzare la modalità telematica. Per essere chiari, se si fosse recato allo sportello avrebbe potuto pagare in contanti o con il bancomat, oppure in modo differito usando un canale (es. CBILL) meno caro. Lasciando pure da parte l’articolo 62 del Codice del Consumo invocato dalle associazioni dei consumatori (che per altro purtroppo non si applica per la PA) la sola idea che il servizio erogato online sia più caro di quello erogato a sportello, appare, specie in questo periodo storico, per lo meno distopico.

Le cose da sistemare

Riporto quanto scritto da un’associazione di consumatori (Altroconsumo) a proposito di PagoPA, che magari non del tutto correttamente, ma ben descrive la percezione che l’utenza media ha del sistema:

PagoPA si definisce «un sistema unico per i pagamenti elettronici verso la pubblica amministrazione», ma di unico i cittadini non vedono nulla, se non un logo. Infatti, bisogna continuare a districarsi tra diversi canali telematici – siti e app – dei tanti enti pubblici (Comune, Regione, università…) sui quali poter pagare, oppure chiedere all’ente un avviso di pagamento, cioè un bollettino cartaceo o digitale da pagare attraverso altri canali”.

Insomma, non un sistema perfetto, e non solo dal punto di vista delle commissioni.

È un po’ l’intero impianto a lasciare perplessi, più pensato con in mente i prestatori di servizi che l’interesse della PA o la praticità/economicità per il cittadino. Perché PagoPA è come oggi si presenta per via della scelta, prioritaria, di creare un sistema che fosse aperto a tutti i prestatori di servizi. È un po’ il modello scelto per SPID, ma in questo caso le conseguenze sono certamente più marcate.

Questa scelta infatti ha fatto sì che scaturisse un sistema (inutilmente) complesso da usare per i cittadini, che devono districarsi fra canali di pagamento, prestatori di servizi, diverse tariffe e altre difficoltà, ma anche per la PA stessa che necessita, gioco forza, vista anche la (inutile?) complessità tecnologica, di un intermediario tecnologico, e quindi spesso di costi, per poterlo utilizzare.

Senza che, per altro, come dimostrano le cose dette sopra, ciò comporti un reale vantaggio economico e nemmeno funzionale (visto che molte caratteristiche erano già presenti nel MAV).

Il sospetto è poi che la PA abbia perso anche il notevole potere contrattuale (quando si movimentano decine, forse centinaia di miliardi il potere c’è, eccome) lasciando che fosse il sistema bancario stesso a generare concorrenza. I risultati non sono incoraggianti, almeno da quel che si vede finora e, francamente, era anche ragionevole aspettarselo.

È altrettanto vero però che il sistema non è da buttare, superata una prima fase di assestamento, inizia a fornire prestazioni soddisfacenti, che non potranno che migliorare man mano che la sua diffusione fra le PA risulterà più pervasiva.

A patto però che non si ignorino, arroccandosi su posizioni di principio (ricordo ancora quando a ForumPA osai criticare “l’interfaccia WISP” quali furono le reazioni), i problemi sopra esposti e si lavori per porvi rimedio.

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