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Se l’AI spinge il gender gap nel lavoro: come evitare la distopia occupazionale



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Per due secoli la tecnologia ha spinto le donne nel mondo del lavoro: ora l’AI potrebbe portare a un’inversione di tendenza. Lo rivela un report firmato da economisti della Northwestern University e del MIT: un modello che non è una condanna definitiva ma invita a riflettere

Pubblicato il 3 nov 2025

Nicoletta Pisanu

Giornalista professionista, redazione AgendaDigitale.eu



donne e scienza (1); AI divario di genere sul lavoro; AI gender gap

La tecnologia per due secoli è stata amica delle donne e ha contribuito a ridurre il gender gap nel mercato del lavoro. Ma l’AI potrebbe cambiare tutto. L’inversione di trend emerge dal working paper pubblicato dal National Bureau of Economic Research, firmato dagli economisti del MIT e della Northwestern University Huben Liu, Dimitris Papanikolaou, Lawrence D.W. Schmidt e Bryan Seegmiller. Utilizzando proprio l’intelligenza artificiale, gli studiosi hanno creato un dataset relativo agli ultimi duecento anni circa per capire gli impatti dell’innovazione sui cambiamenti del mercato del lavoro. Un’andamento che ha manifestato la stessa tendenza, fino a un certo punto.

Secondo i ricercatori infatti, l’intelligenza artificiale, introducendo per la prima volta su larga scala l’automazione delle mansioni cognitive, tenderà a spostare la domanda di lavoro verso impieghi a più bassa qualificazione, caratterizzati da retribuzioni inferiori e tradizionalmente a prevalenza maschile.

Un’ipotesi da valutare però con cautela: “Lo studio del NBER mostra che i lavori più esposti all’automazione cognitiva sono anche quelli con maggiore presenza femminile e più alto livello d’istruzione – spiega ad AgendaDigitale.eu Ginevra Cerrina Feroni, vice presidente del Garante privacy, avvocata e professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato nel dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Firenze.

Questo significa che l’AI, se non governata, “può produrre un paradosso già, a dire il vero, molto evidente: una tecnologia di punta che non promuove, ma restringe, l’inclusione femminile nel mondo del lavoro. Tuttavia, non credo che si tratti di un destino tecnologico irreversibile. Il punto non è tanto cosa fa l’AI, ma come e per chi viene progettata, implementata e valutata”.

Tecnologia e trend del lavoro, cosa dice il paper

Nel paper si conferma la visione dominante dello skill-biased technological change (SBTC). Dalla meccanizzazione all’elettrificazione, il progresso tecnologico ha progressivamente sostituito le mansioni manuali, orientando la forza lavoro verso compiti di maggiore complessità. Ne è derivato un impatto significativo: la domanda di occupazioni con livelli più elevati di istruzione e retribuzioni più alte è cresciuta in modo marcato. E non solo: si evidenziano gli spillover di produttività tra settori, in quanto l’innovazione non si limita a sostituire o potenziare il lavoro umano, ma può accrescere l’efficienza complessiva di intere industrie. Una condizione che favorisce l’occupazione.

Dunque la tecnologia e l’innovazione hanno dunque storicamente operato su un duplice fronte: da una parte hanno rivoluzionato numerose professioni, dall’altra hanno agito come motore di sviluppo per i settori più avanzati e dinamici.

Tale evoluzione ha alimentato una corsa tra istruzione e tecnologia e ha contribuito all’aumento dell’occupazione femminile, in particolare nei comparti dei servizi e nelle professioni impiegatizie, dove le competenze cognitive e relazionali — sempre più valorizzate dal progresso tecnologico — risultavano decisive.

qSecondo Cerrina Feroni “è vero: le trasformazioni tecnologiche degli ultimi due secoli hanno progressivamente favorito l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, perché hanno ridotto la centralità della forza fisica e ampliato il peso delle competenze cognitive e organizzative. La rivoluzione digitale ha accelerato questa tendenza: l’economia della conoscenza ha aperto spazi nuovi di partecipazione e di leadership femminile”.

Come cambia il lavoro con l’AI

Tuttavia, ora, con l’AI e la conseguente automazione delle mansioni cognitive potrebbe verificarsi un’inversione di tendenza, per cui si registrerà una riduzione della domanda relativa a professioni che richiedono un alto grado di istruzione e al contrario una crescita della richiesta per le occupazioni pagate meno e che richiedono livelli di istruzione inferiori, così come quelle in cui predomina, tra il personale, la componente maschile, come nel caso dei lavori manuali. Si registra inoltre, secondo il modello, che la domanda di lavoro per le occupazioni a più alta presenza femminile calerà, secondo le previsioni, dello 0,53% all’anno.

Sembra dunque che all’orizzonte si prefiguri una certa discontinuità nel trend che per due secoli ha dominato il tema. Del resto l’AI “è la prima tecnologia che non si limita ad automatizzare compiti fisici o procedurali, ma entra nel dominio delle capacità cognitive, interpretative e decisionali, esattamente quelle che avevano costituito il vantaggio comparato dell’occupazione femminile nell’epoca post-industriale – commenta Cerrina Feroni -. La tendenza a premiare competenze iper-tecniche e a sottovalutare quelle strategiche, comunicative o di coordinamento riflette una visione parziale del valore del lavoro umano. Se l’innovazione continuerà a essere costruita su metriche di produttività che misurano solo la dimensione tecnica o quantitativa o fisica, è evidente che ne risulteranno penalizzate le professioni in cui le donne sono più presenti“.

Come ridurre il gender gap al tempo dell’AI

La priorità è gestire il cambiamento in modo sostenibile e attento: “Il problema non è l’automazione in sé, ma il modello di sviluppo che accompagna l’automazione”, aggiunge la vice presidente del Garante privacy.

Per questo la risposta della società e della politica “non può essere meramente compensativa”, prevedendo ad esempio una maggiore partecipazione femminile ai corsi di laurea STEM o bonus per le aziende che adottano criteri d’assunzione inclusivi, ma “serve una riflessione sistemica sul modo in cui definiamo e riconosciamo il valore economico e sociale delle competenze. L’intelligenza artificiale può diventare un acceleratore di parità solo se sarà inserita in un contesto regolatorio, educativo e culturale capace di valorizzare la diversità dei profili e di redistribuire le opportunità di apprendimento lungo tutto l’arco della vita lavorativa”, spiega Cerrina Feroni.

I risultati del modello applicato dagli economisti nel paper, insomma, non deve farci sentire condannati. Si tratta “di una possibilità che dipende dalle scelte collettive: da come governeremo la tecnologia, da quali incentivi daremo al mercato, e da quanto sapremo orientare l’innovazione verso finalità socialmente sostenibili – precisa Ginevra Cerrina Feroni -. Se invece continueremo a pensare l’IA come un fine e non come uno strumento, allora sì, rischieremo davvero di trasformare un progresso potenzialmente inclusivo in un nuovo fattore di disuguaglianza”.

Bias di genere nell’AI, l’impatto sul mercato del lavoro

Un aspetto interessante legato all’impatto dell’AI sul mercato del lavoro, delle competenze e in particolare in relazione all’occupazione femminile, è dato dai bias di genere insiti nei Large language models. Bias la cui presenza negli algoritmi secondo diversi studi e sentenze impatterebbe sul divario di genere nel mondo del lavoro. Un tema delicato e uno specchio di schemi sociali reali, in quanto “mostra con evidenza come la tecnologia, lungi dall’essere neutra, rifletta e amplifichi gli squilibri strutturali presenti nella società – sottolinea Cerrina Feroni -. Quando un sistema di intelligenza artificiale viene addestrato su dati storici, inevitabilmente apprende non solo informazioni, ma anche relazioni di potere e schemi culturali incorporati in quei dati“.

E i dati non possono far altro che rappresentare le disuguaglianze di genere storicamente presenti in molte società: “Se in passato le donne hanno avuto minori opportunità di carriera, retribuzioni inferiori o una rappresentanza limitata in ruoli di responsabilità, questi squilibri rischiano di essere imparati e riprodotti dall’algoritmo”, con effetti concreti sul mercato del lavoro, manifestandosi per esempio sotto forma di “sistemi di selezione automatica che escludono curriculum femminili per mansioni tecniche, annunci di lavoro meno visibili alle candidate, valutazioni di performance basate su modelli che privilegiano stili comportamentali associati alla leadership maschile“, aggiunge la vice presidente.

Soluzioni alla discriminazione automatizzata

Non è la tecnologia, in questo caso l’intelligenza artificiale, a inventare la discriminazione. La discriminazione viene presa, ottimizzata a riprodotta all’infinito, con la conseguenza “che il gender gap rischia di diventare più resistente, perché si nasconde dietro la presunta oggettività dell’algoritmo. È ciò che la dottrina chiama discriminazione automatizzata: più difficile da rilevare, più subdola, ma potenzialmente più pervasiva”, aggiunge Cerrina Feroni.

Secondo Ginevra Cerrina Feroni, limitare il fenomeno richiede di approcciare il tema secondo uno schema multilivello che comprenda:

  • un livello normativo
  • un livello tecnico-organizzativo
  • un terzo livello culturale.

Normativa e discriminazione algoritmica di genere

Considerando il livello normativo, “il GDPR, se applicato con rigore, offre strumenti molto efficaci. Penso al principio di esattezza dei dati (art. 5), che impone di verificare la rappresentatività dei dataset; alle valutazioni d’impatto sulla protezione dei dati (DPIA), obbligatorie per i sistemi ad alto rischio; e al diritto alla spiegazione e all’intervento umano (art. 22), che consente di contestare decisioni algoritmiche discriminatorie. Queste garanzie vanno però rese operative: la DPIA, ad esempio, non può ridursi a un adempimento formale, ma deve diventare uno strumento sostanziale di analisi dell’equità dei modelli”, spiega.

Approccio tecnico alla riduzione del gender gap legato all’AI

Per attuare il secondo livello “occorrono audit indipendenti sui sistemi di IA, metriche di equità (fairness metrics) applicate in fase di test, registri delle versioni del modello e protocolli di accountability lungo tutto il ciclo di vita. Le organizzazioni devono imparare a trattare la prevenzione del bias non come un costo, ma come una componente essenziale della qualità del prodotto”.

AI e gender gap lavorativo: i fattori culturali

E poi, c’è la questione culturale. Anche sul posto di lavoro: “La lotta alla discriminazione non si esaurisce in un algoritmo più pulito. Riguarda la predisposizione e la formazione dei team che progettano e addestrano quei sistemi. Se i gruppi di sviluppo sono omogenei per genere, formazione o prospettiva, il rischio di ciechi cognitivi è inevitabile“.

L’importanza della formazione umanistica per il contrasto dei bias algoritmici

Per questo, “se ne parla da ormai molto tempo, è necessario introdurre una formazione non solo scientifica, ma anche umanistica, intesa come studio dell’impatto che la tecnologia ha sulla società, per chi sviluppa la tecnologia stessa – aggiunge Cerrina Feroni -. Infine, serve una vigilanza pubblica più strutturata. Il ruolo delle autorità, e del Garante privacu in particolare, è fondamentale per verificare che i principi di correttezza e non discriminazione siano rispettati non solo nei trattamenti di dati personali, ma anche nei processi algoritmici che incidono su diritti fondamentali, come l’accesso al lavoro o all’istruzione. Solo così la promessa dell’IA, aumentare l’efficienza e ridurre l’arbitrarietà umana, può essere una garanzia di equità, anziché nel suo opposto”.

Responsabilità di genere e piattaforme di AI

Importante, su questo fronte, la consapevolezza e la collaborazione delle piattaforme di AI, per concretizzare azioni volte alla responsabilità di genere. Un concetto fondamentale, “ma ancora poco sviluppato nella prassi. Significa chiedere conto a chi progetta, a chi usa e a chi regola l’IA di come le scelte tecnologiche incidano concretamente sull’eguaglianza”, precisa Cerrina Feroni.

AI Act, GDPR e gender gap lavorativo

Il framework normativo europeo aiuta, ma solo in parte: “Nel diritto europeo che disciplina l’ambito tecnologico, l’AI Act rappresenta un passo importante, ma ancora incompleto. Il testo non introduce un obbligo esplicito di valutare gli impatti di genere, pur riconoscendo tra gli obiettivi generali la prevenzione di discriminazioni e la tutela dei diritti fondamentali. Sarà quindi essenziale colmare questo vuoto con linee guida, codici di condotta e pratiche di auditing, che rendano effettivo quel principio di equità”, spiega la vice presidente del Garante privacy.

Il GDPR invece, “integrato con le norme sul lavoro (come l’art. 88), consente al Garante privacy di imporre cautele aggiuntive nei trattamenti algoritmici usati per la selezione o la valutazione dei dipendenti. La Convenzione del Consiglio d’Europa sull’IA, poi, introduce all’art. 10 un obbligo ancora più netto: garantire che l’IA sia sviluppata e usata nel rispetto del principio di uguaglianza, inclusa la parità di genere”, aggiunge.

Tuttavia è fondamentale affiancare all’impianto normativo anche meccanismi puramente operativi. Le priorità riguardano “almeno quattro direttrici: introdurre una Gender and Equality Impact Assessment per i sistemi ad alto rischio, soprattutto in ambito occupazionale, prevedere audit indipendenti nei contratti pubblici di fornitura di sistemi di IA, rendere trasparenti i criteri decisionali e i fattori che incidono sugli esiti algoritmici e infine promuovere formazione e consapevolezza, perché la responsabilità di genere non si impone solo per legge”, conclude Cerrina Feroni. Insomma, serviranno competenze specifiche, impegno, consapevolezza e propensione al cambiamento per evitare scenari di disuguaglianza ed esclusione.

Bibliografia

  • Liu, Huben, Dimitris Papanikolaou, Lawrence D.W. Schmidt, and Bryan Seegmiller, ‘Technology and Labor Markets: Past, Present, and Future; Evidence from Two Centuries of Innovation’, NBER Working Paper 34386 (2025) https://doi.org/10.3386/w34386.
  • Menis–Mastromichalakis, O., G. Filandrianos, M. Symeonaki, et al., ‘Gender Bias in Machine Learning: Insights from Official Labour Statistics and Textual Analysis’, Quality & Quantity (2025) https://doi.org/10.1007/s11135-025-02261-0
  • Platania, S., ‘Special Issue: “Gender Equality in the Workplace: Theory and Practice for Decent Work and a Climate of Inclusion”’, Social Sciences, 14 (2025), 492 https://doi.org/10.3390/socsci14080492
  • Commissione Europea, Gender equality strategy

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