l'analisi

Soft, hard e life: come districarsi nei meandri delle competenze digitali

Parlare di competenze senza contestualizzarle è fuorviante. I framework esistenti vanno comparati tra loro per evitare ridondanze o visioni parziali. Ecco alcune considerazioni formulate sul mondo della scuola e su quello del lavoro

Pubblicato il 01 Mar 2023

Carlo Giovannella

Università di Roma, Tor Vergata

competenze (immagine: https://pixabay.com)

Sviluppare il pensiero scientifico e il pensiero progettuale è una necessità riconosciuta per una crescita armonica ed è ormai chiaro come questi possano essere amplificati dal pensiero computazionale (che non va messo sullo stesso piano degli altri due). 

Abbiamo visto altresì che ciò che distingue l’uomo dalle Intelligenze artificiali, e probabilmente continuerà a distinguerlo anche in futuro, è l‘essere competente, ovvero la capacità di produrre nuovi oggetti culturali.

Alla luce di ciò, il concetto di competenza assume un ruolo fondamentale – anche maggiore di quello che viene a esso assegnato – quantunque resti ancora contornato da una certa foschia, per non dire nebbia, che genera non poche resistenze a un suo ampio utilizzo, per esempio le micro-certificazioni o l’e-portfolio.

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La competenza

Ormai sembra abbastanza chiaro ai più che la competenza implica l’acquisizione di conoscenze sulla base delle quali è possibile introdurre delle azioni (sapere fare), per poi arrivare al punto in cui, introitate conoscenze e abilità, anche di fronte all’ignoto e all’inaspettato si è in grado di rispondere con un comportamento adeguato (sapere essere) e persino innovativo (produzione di nuovi oggetti culturali).

È altresì abbastanza assodato che:

  •   il livello di competenza raggiungibile dipende anche dalle capacità / potenzialità individuali (diciamo da ciò che ci è stato trasmesso attraverso il nostro DNA?) oltre che dalle esperienze vissute,
  •   l’intensità con cui viene mobilitata una competenza dipende dallo specifico contesto e situazione, senza che questi ultimi, però, ne possano cambiare la natura intrinseca (al massimo potranno generare un arricchimento esperienziale).

I quadri di riferimento

Ammesso che l’inquadramento del concetto di competenza non sia più un problema per chi legge, non poche criticità si palesano quando si passa dalla competenza alle competenze, ovvero quando si cerca declinare il concetto nelle sue multiple istanze che finiscono per caratterizzare ciascuno di noi anche rispetto ai contesti operativi, ovvero quando si cerca di definire i quadri di riferimento delle competenze. 

In ogni settore si può assistere alla definizione più o meno fantasiosa di un qualche sistema di competenze che, quando va bene, prevede l’incrocio scarsamente definito di competenze tecniche con altre che si ritrovano citate in tanti contesti (e per questo tendono ad essere definite trasversali).

Nel peggiore dei casi, veniamo messi di fronte ad elenchi in cui abilità e competenze (più raramente conoscenze) vengono poste sullo stesso piano.  

Come fare per diradare la nebbia che avvolge la definizione di tali quadri di riferimento? Tre i punti chiave:

  •   realizzare che sovente un quadro di riferimento di competenze presuppone un modello di individuo e / o di un contesto,
  •   servirsi di uno spazio di competenze di riferimento quanto più universale possibile al quale poter ricondurre i quadri di rifermento con i quali ci confronta,
  •   analizzare tutti i quadri di riferimento con un sano spirito critico.

Occorre però definire i tre punti chiave e, per questo, ricorriamo ad alcuni esempi.

Esempi pratici

Per quel che riguarda i modelli che sottendono i quadri di riferimento facciamo tre esempi. Il primo riguarda la lista delle competenze chiave per la cittadinanza, che (Figura 1) sono rappresentate sulla destra, accanto alle competenze chiave per l’apprendimento permanente (sulla sinistra).

La rappresentazione aiuta a svelare il modello di cittadino che avevano in mente, scientemente o meno, coloro che hanno stilato l’elenco di tali competenze: un cittadino in grado di sviluppare un processo progettuale (non è chiaro se d’innovazione o meno) in forma collaborativa e partecipata. 

In pratica un individuo che a partire dall’acquisizione e l’interpretazione delle informazioni, fase dopo fase del processo, potesse arrivare a elaborare un progetto finalizzato a risolvere i problemi definiti nel corso del processo stesso.

Tale processo progettuale, inoltre, dovrebbe fungere come volano per l’apprendimento continuo (imparare a imparare) e, considerando il riferimento ad alcune “life skills” (competenze trasversali), dovrebbe richiedere autonomia, responsabilità e capacità di “team working” oltre che capacità di comunicare in ogni fase del processo stesso.

Figura 1

Il secondo esempio riguarda il quadro di riferimento dell’Unesco per le competenze digitali degli insegnanti (Figura 2), la cui rappresentazione a colonne è determinata in buona sostanza dal riferimento a conoscenze (technology literacy – sapere), abilità (knowledge deepening – sapere fare) e competenze (knowledge creation – sapere essere).

Figura 2

 La rappresentazione di cui alla Figura 3 fa riferimento alle voci presenti nella prima colonna della Figura 2 e, insieme alle relazioni tra tali voci, disvela il modello di contesto educativo sotteso al quadro di riferimento: in pratica trattasi di un contesto educativo la cui maturità digitale viene a essere definita dall’utilizzo di competenze digitali nell’organizzazione e gestione del contesto stesso, oltre che nell’implementazione del processo didattico e nelle pratiche di valutazione.

Tutti aspetti che richiedono uno sviluppo professionale continuo dei docenti, oltre a conoscenze di base negli ambiti pedagogico e ICT e una consapevolezza circa le politiche che riguardano il contesto.

Quantunque questo quadro di riferimento riguardi più specificatamente le competenze digitali degli insegnanti, risulta bene evidente che nel modello di contesto educativo sotteso gli studenti vengono considerati un elemento esterno.

Figura 3

Diversamente, nel quadro di riferimento chiamato DigiComp EDU gli studenti sono rappresentati come parte dell’ecosistema (Figura 4). Utilizzando le stesse diciture della Figura 3 possiamo facilitare il raffronto con il modello dell’Unesco.

Analizzando con occhio critico il framework DigiComp EDU ci si accorge che non è esente da pecche: le competenze trasversali, infatti, sono ritenute rilevanti per gli studenti ma non per i docenti, come se le competenze necessarie a questi ultimi facessero riferimento a uno spazio di competenze ridotto, in cui invece viene sottolineata la rilevanza delle competenze digitali.

 Figura 4

Quest’ultima osservazione ci conduce alla necessità di disporre di uno spazio di competenze di riferimento quanto più universale possibile, così come illustrato nella Figura 5.

Figura 5

 Sostenuto dalle competenze / abilità di base (leggere, scrivere – eventualmente anche in altre lingue – e far di conto) prende forma in tale figura uno spazio tridimensionale delle competenze che include:

  •   le “life skills” (o competenze trasversali) che ci aiutano a definire il sapere essere di una persona in un contesto sociale,
  •   le competenze digitali “soft” che fungono da amplificatrici delle competenze trasversali e di base e proiettano il cittadino nella dimensione digitale,
  •   le competenze “hard” specifiche di ciascun settore che definiscono le caratteristiche del soggetto che lavora in tale settore con competenza.

È da notare come lo spazio di competenza che definisce le caratteristiche degli individui necessiti, poi, di essere posto in relazione con le specifiche del contesto che può caratterizzarsi per una propria maturità digitale (definita ad esempio alle infrastrutture digitali o all’utilizzo di processi smart) e per il livello di benessere (smartness / well-being) che è in grado di generare in tutti gli attori che operano al suo interno.

Analisi delle competenze

Addentrarsi nella definizione delle competenze hard non è ovviamente possibile per la loro specificità settoriale. Per quel che concerne le competenze digitali invece, come mostrato nella Figura 5, si può far riferimento alle macroaree definite dal quadro di riferimento delle competenze digitali DigiComp 2.2.

In tale figura però le competenze legate alla “sicurezza” e alla “risoluzione di problematiche tecniche” sono state collocate in uno spazio intermedio tra “competenze digitali soft” e “competenze ICT hard”, a causa del loro contenuto che le rende piuttosto ambigue in termini di collocabilità.

Sono le “life skills” a causare il maggior livello di disorientamento a chi intenda districarsi nello spazio delle competenze. Per questo, nella Figura 5, se ne fornisce una macro-suddivisione in competenze individuali, socio-relazionali e processuali (management).

Il dettaglio della ripartizione delle life skill in queste macro aree viene fornito dalla Figura 6, ove le competenze individuali vengono ripartite in competenze utili nel problem setting, nel problem solving e in competenze che contribuiscono a determinare ciò che usualmente viene definita personalità di un individuo. Le competenze relazionali vengono a loro volta ripartite in quelle collegate al team working, alla leadership e alla gestione di gruppi, all’affidabilità individuale e alla comunicazione. Per finire le competenze processuali vengono ripartite tra quelle utili per la definizione del processo, per la sua gestione e per il suo monitoraggio. 

Figura 6

 La Figura 6, inoltre, è arricchita da retinature colorate che indicano le competenze maggiormente ricercate dalle aziende del Regno Unito qualche anno prima della Brexit. Le cornici arancioni indicano, invece, le competenze più richieste dalle aziende italiane in un’indagine svolta nel 2017 dall’Unione Industriali di Roma. Le cornici celesti, infine, identificano le competenze considerate dall’Ue per formulare il framework LifeComp che, come si può intuire, fornisce un quadro molto parziale delle “life skills”.

Ora che disponiamo di un framework piuttosto completo, quantunque perfettibile, siamo nella posizione di analizzare con spirito critico, come fatto poc’anzi con LifeComp, tutti i framework di riferimento proposti da chicchessia e di raffrontarli tra loro.

Come esempio prendiamo un altro dei framework europei, l’EntreComp di cui alla Figura 7. Come si può facilmente comprendere dalla, se si escludono alcune conoscente specifiche al settore economico, tutte le altre competenze che fanno parte di tale framework formano un sottoinsieme delle life skills e ci si può chiedere, dunque, se fosse strettamente necessario definire un ulteriore quadro di riferimento.

Figura 7

Conclusioni

Dopo aver esemplificato tutti e tre i punti chiave che riguardano la definizione dei quadri di riferimento di competenze confidiamo che la nebbia si sia, almeno in parte, diradata e che il lettore possa navigare tra di essi disponendo di una prospettiva più ampia e, soprattutto integrata.

La capacità di orientamento e di integrazione tra i quadri di riferimento delle competenze non risolve tutti i problemi perché poi, oltre alla definizione dei descrittori, sarebbe necessario esplicitare le relazioni che intercorrono tra le varie competenze.

Senza entrare in meandri labirintici quali quelli che caratterizzano le interrelazioni tra le competenze che definiscono la personalità di un individuo (Figura 6), sarebbe però sempre opportuno, nell’utilizzare i framework delle competenze digitali, identificare anche quali life skill sarebbero necessarie per poterle sviluppare al meglio e, al contrario, identificare le life skill che possono essere amplificate da ciascuna delle competenze digitali.

Un tema, questo, di estrema rilevanza, ad esempio, per i progetti di formazione sulle competenze digitali che dovrebbero essere introdotti delle scuole nel prossimo futuro.

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