sfruttamento 2.0

Il vero volto di OnlyFans: guadagni per pochi, danni per molte



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OnlyFans promette facili guadagni ma il 95% delle creator guadagna solo 24$ al mese. Un fenomeno che coinvolge una ragazza americana su dieci, con gravi conseguenze psicologiche mentre solo i proprietari della piattaforma si arricchiscono davvero

Pubblicato il 17 lug 2025

Francesco Vito Tassone

imprenditore nel Cleantech



onlyfans

OnlyFans è diventato, nel giro di pochi anni, un fenomeno di massa tra le giovani donne in cerca di facili guadagni online. Un grande successo anche economico, tanto che ora è in trattative per una potenziale vendita per un valore di 8 miliardi di dollari.

Nata nel 2016 come piattaforma di content subscription “per adulti”, OnlyFans ha conosciuto un boom durante la pandemia, propagandata sui social come opportunità di guadagno immediato ed empowerment femminile. Ma dietro i titoli sensazionalistici sulle star che incassano milioni, quali sono i numeri reali e l’impatto psicologico su chi vi partecipa?

I dati sulla diffusione di OnlyFans negli Usa

Negli Stati Uniti, i dati indicano che circa 2% delle donne americane tra 18 e 45 anni hanno creato un account da creator su OnlyFans.

La quota sale drasticamente nella fascia più giovane: oltre 1,2 milioni di donne statunitensi tra 18 e 24 anni risultano attive su OnlyFans, pari a circa il 10% dell’intera popolazione femminile di quella fascia d’età. In altre parole, una ragazza americana su dieci tra i 18 e i 24 anni vende contenuti (spesso intimi o pornografici) su questa piattaforma.

Quanto è diffuso OnlyFans in Europa e in Italia

Questa tendenza non riguarda solo gli USA. OnlyFans è diffuso anche in Europa, seppure con numeri più contenuti. Nel 2024 gli Stati Uniti contavano circa 1.100.000 creator sulla piattaforma, il numero più alto al mondo, mentre il Regno Unito ne aveva circa 280.000, numeri comunque elevatissimi rispetto alla popolazione residente, e l’intera Europa continentale qualche centinaio di migliaia.

In Italia, ad esempio, si stimano circa 70.000 creatori di contenuti OnlyFans – una cifra più bassa rispetto agli USA, ma comunque significativa se rapportata alla popolazione giovane adulta italiana. Anche il bacino di utenti (“fan”) rispecchia una diffusione globale: a fine 2023 OnlyFans dichiarava 305 milioni di account utenti nel mondo, con circa la metà dei ricavi generati dagli Stati Uniti e il 25% circa da Europa e Regno Unito. La base di utenti è prevalentemente maschile (circa 79% uomini), mentre i creator sono in stragrande maggioranza donne (84%), spesso giovanissime. Uno studio citato da Archives of Sexual Behavior rileva addirittura che circa l’86% delle creatrici di contenuti ha tra i 18 e i 24 anni, a conferma che si tratta di un fenomeno concentrato soprattutto fra le ragazze nella prima età adulta.

OnlyFans e la normalizzazione della pornografia: effetti psicologici e sociali

Si tratta, insomma, di un fenomeno senza precedenti, alimentato da social network come Instagram e TikTok dove l’idea di monetizzare la propria immagine è ormai sdoganata. Il salto concettuale e culturale di Onlyfans è che si è passati dalla normalizzazione dell’esibizionismo e della ricerca di soddisfazione delle proprie vanità, tutte attività che non vedono stigma sociale o repressione culturale, alla normalizzazione della pornografia e della propria intimità.

Attività contro cui la società da sempre ha espresso forte repressione culturale. Percentuali così elevate sono forse l’indice definitivo di una diga, di uno stigma sociale ormai definitivamente crollato.

I numeri impressionanti che abbiamo citato, poi, spiegano perché OnlyFans sia ormai parte dell’immaginario collettivo giovanile. Non è raro sentire battute del tipo: “Se non trovo un lavoro decente, mi aprirò un OnlyFans” Nei campus universitari USA, scherzare sulla possibilità di vendere foto osé per pagare affitto e bollette è diventato comune quanto discutere di stage o lavoretti part-time. Questa normalizzazione di un’attività a forte componente sessuale come strategia di guadagno pone inevitabilmente interrogativi sugli effetti psicologici e sociali, soprattutto considerando che a lanciarsi su OnlyFans sono spesso ragazze poco più che maggiorenni. E che, come nel porno, eventuali futuri pentimenti, lasciano poche se non nulle possibilità di “riabilitazione”, con l’aggravante tipica della rete, di non poter controllare la diffusione di tali contenuti nel tempo.

Guadagni per poche, illusioni per molte: la distribuzione dei ricavi

La promessa implicita che attrae molte giovani su OnlyFans è quella di fare soldi facili mostrando il proprio corpo online, magari ispirate dai casi mediatici di celebrity che dichiarano incassi astronomici. La realtà è molto diversa e si riassume in una statistica brutale: la stragrande maggioranza dei creator guadagna pochissimo, mentre una piccola élite incassa quasi tutto. I numeri ufficiali e gli studi sul campo convergono nel mostrare un’enorme disparità economica sulla piattaforma.

Una recente analisi su oltre 1 milione di transazioni OnlyFans ha svelato che il top 0,1% dei creatori (lo “0,1 percentile” più alto) incassa da solo circa il 76% di tutti i ricavi della piattaforma. Sono poche migliaia di persone in tutto il mondo – per lo più donne giovani – che guadagnano cifre da capogiro: in media circa 146.000 dollari al mese ciascuna, equivalenti a oltre 1,7 milioni di dollari l’anno. Appena sotto di loro, le creatrici al vertice del top 1% (quindi tra lo 0,1% e l’1%) guadagnano comunque molto meno: mediamente circa 34.000 dollari al mese, che restano comunque più di 400.000 $ annui – cifre raggiungibili però solo da chi sta ai vertici assoluti. Scendendo ulteriormente, i creator compresi tra il top 1% e il top 5% si attestano intorno a 8.200 $ al mese.

Oltre questa piccola fascia di testa, il crollo è verticale, tanto che molti creatori nel restante 95% guadagnano appena 24 dollari al mese. Ventiquattro dollari al mese – poco più di 20 euro – è una somma irrisoria, che “a malapena copre i costi base di marketing” necessari a mantenere attivo un account. In pratica, la maggioranza assoluta dei creatori guadagna spiccioli: il grosso della torta va a pochissime figure di successo, spesso già celebri o dotate di team e mezzi per emergere.

Per questi 24 dollari al mese, una giovane donna americana su 10, mette in circolo contenuti sessuali che non è più in grado di controllare e che in un altro momento della loro vita può riapparire come autentica bomba nella stabilità di un percorso di vita adulta ormai diverso ed iniziato. Revenge porn, carriere lavorative in difficoltà, relazioni sentimentali che possono crollare.

Un ulteriore dato rende l’idea di quanto “democratizzata” (o meno) sia la possibilità di far soldi su OnlyFans: secondo alcune analisi il creatore medio su OnlyFans avrebbe solo circa 21 abbonati (per le donne la media salirebbe a ~30 abbonati). Il portafoglio di follower paganti per la maggior parte dei creator è talmente ridotto da generare entrate insufficienti a un vero sostentamento. Non sorprende allora che uno studio del 2021 citato da Statista rilevasse che meno del 10% dei creator dichiarava di aver guadagnato oltre 10.000 dollari in totale nell’anno. Addirittura, 6 creator su 10 affermavano di non aver ancora monetizzato affatto i propri contenuti (segno che molte aprono l’account sperando di fare soldi, ma poi non riescono a trovare abbastanza abbonati).

In sostanza, per la maggioranza delle giovani che approdano su OnlyFans la prospettiva di guadagni importanti è un miraggio. La piattaforma viene spesso pubblicizzata (anche tramite passaparola social) come una sorta di “miniera d’oro” alla portata di chiunque sia carina e disinibita: basta postare foto hot e i soldi arriveranno. Ma i numeri smontano questa illusione: fuori dalla ristretta cerchia di star – spesso modelle già famose, molto più spesso pornostar affermate e professioniste con investimenti seri in attrezzatura e marketing – le entrate sono modeste o nulle.

OnlyFans stesso ammette, nelle linee guida ai creator, che “non è una cosa part-time nella tua testa… se pubblichi poco non guadagnerai abbastanza”, riconoscendo implicitamente che servono dedizione totale e capacità imprenditoriali per emergere.

Chi paga davvero? La spesa degli utenti e la dipendenza dai “whales”

Dal lato dei consumatori, il modello OnlyFans presenta un’altra caratteristica interessante: pochi utenti pagano per mantenere tutto il sistema. Uno studio su 1.003.855 utenti abbonati condotto dalla società di analisi OnlyGuider ha scoperto che solo il 4,2% degli iscritti spende denaro sulla piattaforma, mentre il restante 95,8% utilizza OnlyFans senza mai pagare nulla (presumibilmente seguendo account gratuiti o sfruttando promozioni). In pratica, meno di un utente su 20 è effettivamente disposto ad aprire il portafoglio. Questo significa che i creator non solo competono tra loro per una piccola platea pagante, ma dipendono fortemente dai cosiddetti “whales” – i grandi spender. Infatti, la ricerca mostra che appena lo 0,01% degli utenti (“whale”, appunto) genera oltre il 20% dell’intera spesa su OnlyFans. Una piccolissima quota di fan facoltosi e super-appassionati costituisce quindi una fetta enorme del mercato: trovare e tenersi stretto anche solo uno di questi big spender può fare la differenza tra un creator di successo e uno che annaspa. Non a caso, gran parte del “lavoro” delle creatrici top consiste nel coltivare rapporti personalizzati via chat privata con questi utenti generosi.

Ecco perché tante creator “normali” finiscono col desistere o tentare altre strade lavorative in parallelo: senza migliaia di follower paganti (cosa difficilissima da ottenere senza investimenti e notorietà esterna), l’attività non è per nulla redditizia.

In sintesi: OnlyFans non è affatto la fonte di guadagno facile e democratica che molti immaginano. I dati di mercato smentiscono la narrazione secondo cui “basta aprire un account e diventare ricchi”. Al contrario, la piattaforma replica e accentua le diseguaglianze: pochi vincono (molto), tutti gli altri fanno da comparse. A questo punto diventa lecito chiedersi: se la maggior parte delle ragazze su OnlyFans non guadagna quasi nulla, perché continuano a popolare il sito in numeri così alti? Cosa le spinge ad aprire e mantenere account, nonostante le prospettive economiche reali siano così scarse?

E da qui il lato più oscuro. Onlyfans non è altro che un ulteriore passo verso lo sfruttamento commerciale di una fragilità umana che degenera nel patologico. I social media in modo via via crescente hanno coltivato ed estremizzato il desiderio di attenzione, un narcisismo patologico latente in gran parte degli esseri umani. Se Facebook ha iniziato, Instagram ha coltivato la sola immagine, TikTok si è spinto ai video ed ai balletti, di creator sempre più giovani, Onlyfans nel privato dei contenuti aperti solo ai “Fans” ha iniziato a sfruttare direttamente il sesso. L’Oggettificazione del corpo femminile, che diventa industria.

Esibizionismo 2.0: motivazioni psicologiche oltre il denaro

Molte giovani donne approdano su OnlyFans attirate dal miraggio dei facili guadagni. Tuttavia, visto che per la maggioranza i soldi non arrivano, subentrano altre spinte motivazionali. Quanto c’entra la ricerca di attenzione, l’esibizionismo, il bisogno di approvazione? In che misura OnlyFans soddisfa – o sfrutta – pulsioni psicologiche profonde, come quella di sentirsi desiderate e “guardate”?

Gli psicologi evidenziano che l’esibizionismo sessuale può fungere da forte gratificazione in sé, indipendentemente dal guadagno monetario. Esporre il proprio corpo e ottenere riscontri (like, commenti, messaggi ammirati) genera un rilascio di dopamina e un senso di potere e validazione personale. Nel caso di OnlyFans, questa dinamica è amplificata: la creator non solo riceve attenzione maschile per le sue foto intime, ma la può anche interpretare come l’attenzione “vale dei soldi”. Anche se i soldi sono pochi, psicologicamente l’idea che qualcuno sia disposto a pagare pur di vederla nuda rappresenta un potente rinforzo dell’ego. Si innesca così un circolo di dipendenza dal feedback dei fan, simile a quello dei social media tradizionali ma ancora più interiorizzato, perché legato alla sfera intima e al corpo sessualizzato.

La rappresentazione ingannevole dell’esibizionismo come atto di empowerment

Studi sulle piattaforme di webcamming (le “camgirl”, che sono un precursore di OnlyFans) hanno identificato l’esibizionismo come un motivatore chiave per molte sex workers online. Alcune donne riferiscono di provare eccitazione e soddisfazione nel mettersi in mostra davanti a un pubblico, vivendo la cosa come liberatoria o “empowering”.

Va detto che questo è il lato “rosa” dipinto da alcune narrative: OnlyFans come strumento di agency sessuale, dove le donne “diventano boss di sé stesse” capitalizzando sul proprio sex appeal, fuori dalle gerarchie dell’industria porno tradizionale. Questa retorica – molto in voga sul web – presenta la creator di OnlyFans come una sorta di imprenditrice di sé, emancipata e padrona del proprio destino, che sceglie liberamente l’esibizionismo come atto di empowerment. Ma si tratta di una rappresentazione parziale e spesso ingannevole. OnlyFans, pur dando più controllo alle singole donne rispetto a una produzione hard tradizionale, non elimina affatto il contesto di oggettivazione né le pressioni di un pubblico maschile pagante.

In effetti, molte testimonianze di creator raccontano un’altra faccia della medaglia: dietro l’apparente “sicurezza” che deriva dal mostrarsi sexy e ricevere attenzione, spesso si celano insicurezze profonde e dinamiche psicologiche problematiche. Alcune ragazze ammettono di essere spinte a iscriversi più per bisogno di conferme che per brama di denaro: se guadagnano poco non importa, ciò che conta è vedere gente disposta a seguirle, desiderarle e magari inviare messaggi di apprezzamento. Questo indica il rischio di condizionare l’autostima al giudizio sessuale altrui, un meccanismo psicologicamente pericoloso.

OnlyFans e l’economia dell’attenzione erotica

Gli esperti parlano di “economia dell’attenzione erotica”: su OnlyFans l’attenzione è letteralmente monetizzata, quindi ciò che molte inseguono non è in primo luogo il denaro in sé, ma ciò che il denaro simboleggia – ovvero la misura del proprio valore e desiderabilità. Quando i ricavi non arrivano, il colpo all’autostima può essere devastante.

Invece di concludere razionalmente che “il mercato è saturo” o “non ho fatto abbastanza marketing”, la ragazza comune rischia di interiorizzare il fallimento: “non ho abbastanza valore, non piaccio”. Questo può alimentare una spirale di comportamenti sempre più estremi per attirare attenzione, scatti più spinti, atti più audaci, pricing al ribasso, in una sorta di escalation tossica. Si cerca cioè di compensare la mancanza di guadagno aumentando l’asticella dell’esposizione di sé – assecondando un impulso esibizionistico al limite del patologico.

L’utente finisce così per “pagare” soprattutto in termini psicologici: investe tempo, energie emotive e mette a nudo la propria intimità, traendone magari un effimero appagamento narcisistico, ma senza costruirsi un vero futuro professionale o finanziario. Si delinea un paragone provocatorio: per molte ragazze OnlyFans rischia di essere non un lavoro, ma una forma di auto-sfruttamento psicologico, dove il guadagno primario consiste nel solleticare i propri bisogni emotivi (attenzione, affermazione, eccitazione) sotto la veste di un’attività imprenditoriale. In questo senso, l’elemento di esibizionismo compulsivo può diventare preponderante – “posto perché ne sento il bisogno, anche se non guadagno” – avvicinando la pratica a una dipendenza comportamentale.

Conseguenze sulla salute mentale: tra ansia, depressione e stigma

L’attività su OnlyFans, specie quando protratta nel tempo, può comportare una serie di effetti negativi sul benessere psicologico delle giovani donne. Diversi studi e report hanno iniziato a documentare i danni psicologici associati a questa forma di lavoro sessuale digitale – danni che ricordano in parte quelli già noti dell’industria pornografica tradizionale e dei social media ma estesi ad una fetta di popolazione ordini di grandezza superiore. Ricordiamo una giovane donna su 10 nel mercato americano.

Lavorare come creator pornografica online significa spesso tenere segreta questa parte della propria vita a famiglia, amici, partner, vivendo una doppia identità. Anche se l’attività avviene da casa, dietro uno schermo, il carico di stigma sociale percepito è alto: la società (sia uomini che donne) tende ancora a giudicare duramente le donne che vendono la propria immagine sessuale. Le donne impegnate nel sex work online subiscono pesanti forme di deumanizzazione e pregiudizio, venendo spesso etichettate in modo dispregiativo e diventando bersaglio di molestie. Questa stigmatizzazione – anche solo temuta, se non sperimentata direttamente – può portare le creator a isolarsi emotivamente, evitando di confidarsi con chi le circonda.

Un altro problema documentato è la pressione psicologica del dover produrre continuamente nuovi contenuti espliciti. Il pubblico di OnlyFans è famelico di aggiornamenti costanti – nuovi post, nuove foto, nuovi video – e l’algoritmo stesso della piattaforma, come emerso da un rapporto del 2021 dell’Avery Center, bombarda le creator di email e notifiche spingendole a pubblicare di più. Secondo questo report (basato su decine di interviste a creator e su un’indagine dedicata), il 30% delle creatrici ha indicato nella domanda incessante di nuovi contenuti la principale causa di ansia e depressione legata alla propria attività. In effetti, OnlyFans invia email automatizzate che avvertono le utenti: “Se non pubblichi spesso, il tuo account potrebbe essere disattivato”. Questa comunicazione aggressiva, unita alla concorrenza e al timore di perdere abbonati esigenti, fa sì che molte ragazze si sentano intrappolate in un ciclo di produzione forzata, con conseguente stress cronico. Si instaura quella che è stata definita la “ruota del criceto” del content creator: per non perdere visibilità bisogna essere costantemente attive, senza periodi di pausa – il che porta facilmente a burnout emozionale.

Collegate a questo vi sono le problematiche di ansia, umore depresso e calo dell’autostima. L’Avery Center riporta che oltre un terzo delle creator intervistate lamentava conseguenze negative sulla propria salute mentale, citando sintomi come ansia, depressione, vergogna, paura e sensazione di scarso valore personale. Particolarmente significativo è il dato sull’autostima corporea: paradossalmente, pur essendo OnlyFans uno spazio dove le donne guadagnano mostrando il proprio corpo, molte finiscono per sentirsi ancora più insicure riguardo al proprio aspetto. Il motivo? La pressione a soddisfare standard di bellezza irreali, simili a quelli del porno mainstream.

Il parallelo con Instagram e i social media visivi

Instagram sotto steroidi. OnlyFans incentiva la comparazione e la competizione estetica: sapendo che le top creator sono spesso modelle dal fisico perfetto, molte ragazze comuni sviluppano insoddisfazione verso il proprio corpo e sentono di dover “aggiustare” il proprio aspetto (magari ricorrendo a filtri estremi, interventi di chirurgia estetica, diete ferree). Il risultato è simile a quello osservato su Instagram, ma portato alle estreme conseguenze dalla natura sessuale della piattaforma: corpo e autostima diventano totalmente oggettificati, misurati in like e mance, e ogni piccola imperfezione può creare angoscia.

A tal proposito, è illuminante il parallelo con Instagram e i social media visivi, noti per avere effetti deleteri sulla salute mentale delle adolescenti.

OnlyFans può essere visto come un figlio “estremo” di Instagram: ne condivide i meccanismi di social comparison (confronto sociale) e di dipendenza dal feedback, ma li immerge in un contesto ancora più orientato al corpo e alla sessualità.

Facebook stessa (proprietaria di Instagram) ha ammesso, tramite studi interni trapelati, di essere consapevole che Instagram può danneggiare gravemente l’immagine di sé delle giovani. In una presentazione confidenziale di Facebook del 2019, una slide dichiarava: “Rendiamo i problemi di immagine corporea peggiori per una ragazza adolescente su tre”. Il riferimento era alle teenager che già avevano insicurezze sul proprio corpo: un terzo di esse attribuiva a Instagram un peggioramento del proprio malessere. Inoltre, oltre il 40% delle ragazze adolescenti che si sentivano “non attraenti” indicavano che quei sentimenti erano iniziati usando Instagram.

L’uso intenso della piattaforma è stato collegato a aumentata ansia e depressione: “Le adolescenti incolpano Instagram per l’aumento dei tassi di ansia e depressione” riportava un’inchiesta interna, notando che questa risposta era “spontanea e coerente in tutti i gruppi”. Ancora, tra gli adolescenti con pensieri suicidi, il 13% delle ragazze britanniche e il 6% di quelle americane collegavano quelle idee a problemi nati su Instagram.

Questi dati allarmanti su Instagram sono istruttivi: mostrano come un social basato sull’apparenza e sul confronto possa contribuire a demolire l’equilibrio mentale di milioni di ragazze, inculcando insicurezza, senso di inadeguatezza e dipendenza dalla validazione altrui. OnlyFans amplifica questi rischi. Se Instagram spinge le adolescenti a filtrare e perfezionare incessantemente le proprie foto per avere “like”, OnlyFans spinge le giovani donne a spingersi ancora oltre – togliersi i vestiti – per ottenere soldi. Ma psicologicamente, soldi e like in questo contesto finiscono per assomigliarsi: sono entrambi metriche esterne del proprio valore. E come abbiamo visto, per molte il denaro è pure scarso, quindi l’unica cosa che rimane è l’affannosa ricerca di approvazione.

In definitiva, il pedaggio mentale di OnlyFans può includere: stress costante, ansia da performance, disturbi dell’umore, perdita di autostima corporea, isolamento sociale, rischio di dipendenze psicologiche dall’attenzione, e confronto continuo con standard di bellezza/successo irraggiungibili. Un sondaggio citato su Psychology Today riassumeva: il 34% delle content creator interpellate riferiva effetti negativi fisici o mentali, tra cui ansia, depressione, vergogna, paura e scarso amor proprio. Non esattamente il ritratto di un’attività “empowerment e liberatoria” come viene a volte dipinta.

Ma il peggio potrebbe non essere questo.

La perdita del controllo sui propri contenuti intimi

Una volta chiuso l’account e archiviata la parentesi da creator, riprendere il controllo dei propri contenuti è quasi impossibile. Screenshot e clip vengono duplicati in circuiti pirata e su siti porno mirror: la fuga di materiale «è praticamente inevitabile» e avviene spesso all’insaputa del creator. Sul fronte normativo l’argine è fragile e quando le immagini finiscono in rete, rimuoverle richiede anni di battaglie legali e risultati parziali. Le conseguenze psicologiche e professionali sono pesanti: il 93 % delle vittime di diffusione non consensuale di immagini intime riferisce forte sofferenza emotiva, il 55 % teme di compromettere la propria carriera e oltre la metà arriva a pensieri suicidari thomsonreuters.com.

In pratica, quando sopraggiunge la maturità e si tenta di costruire un nuovo percorso di vita, quei contenuti possono riemergere nei motori di ricerca, nei controlli HR o nei gruppi Telegram di ex abbonati, trasformandosi in stigma sociale, ricatti economici e porte professionali chiuse. E poiché «una volta premuto “upload” non si può più tornare indietro»  l’apparente empowerment di ieri rischia di diventare la zavorra permanente di domani.

Dietro il modello di business OnlyFans: chi ci guadagna davvero?

Considerati i punti sopra, sorge spontanea una domanda: se la maggior parte delle creator guadagna pochissimo, dove va a finire tutta la ricchezza generata da OnlyFans? La risposta è semplice: nelle casse della piattaforma stessa e nelle tasche dei suoi proprietari. OnlyFans ha costruito un modello di business estremamente redditizio, che prospera proprio sulla partecipazione massiccia di creatori (anche non profittevoli per se stessi) e sull’attività di un relativamente piccolo zoccolo duro di utenti paganti.

La piattaforma trattiene una commissione fissa del 20% su ogni transazione. Ogni abbonamento pagato, mancia o contenuto venduto “a la carte” vede OnlyFans incassare il 20% e il creator l’80%. Può sembrare una quota relativamente equa (molti marketplace online trattengono percentuali simili o superiori), ma bisogna considerare l’effetto aggregato: con milioni di micro-pagamenti ogni giorno, quell’apparente 20% si traduce in profitti colossali per l’azienda. OnlyFans di fatto funge da intermediario ubiquo e monopolista: offre l’infrastruttura (sito, pagamento, hosting) e incamera una fetta di ogni guadagno altrui. È una tassa del 20% su tutti gli introiti dei sex worker digitali, un pappone 2.0 che arricchisce pochi per non dire uno solo.

Chi? Leonid Radvinsky, imprenditore tech ucraino-americano già noto per aver fondato il sito MyFreeCams. Onlyfans ha incassato commissioni per 1,3 miliardi: significa che il volume totale di pagamenti degli utenti quell’anno è stato di circa 6,5 miliardi di dollari. Si tratta di una somma enorme che transita sul sito, segno di una economia interna multimiliardaria mossa da abbonamenti, mance e contenuti premium.

Anche l’utile è da capogiro: OnlyFans ha registrato profitti per 525 milioni di dollari nel 2023 con un margine in crescita. E questi guadagni dove finiscono? In buona parte, ai suoi proprietari sotto forma di dividendi.

Le ultime notizie finanziarie dicono che Radvinsky si è versato oltre 1 miliardo di dollari di dividendi in soli tre anni. Nell’ultimo esercizio disponibile, 2023, si è staccato un assegno di 472 milioni di dollari come dividendo personale, il 40% in più rispetto ai 338 milioni incassati l’anno precedente. Sommando questi a circa 500+ milioni percepiti nei due anni precedenti, Radvinsky ha incamerato circa 1,3 miliardi di dollari dal 2020 ad oggi grazie ai profitti di OnlyFans. Stiamo parlando di guadagni nell’ordine di oltre un milione di dollari al giorno per il proprietario – su cui peraltro grava ben poco del lavoro effettivo di produzione di contenuti, che è svolto integralmente dai creator.

Oltretutto con $37,6 milioni di fatturato per dipendente, Onlyfans è probabilmente l’azienda con maggiore efficienza in termini di ricavi per dipendente.

Questi dati mettono in luce un elemento fondamentale: OnlyFans è estremamente profittevole per chi la possiede e la gestisce, molto meno per la media di chi la “usa” per guadagnare. Si potrebbe quasi parlare di un modello di “estrazione di valore” dove milioni di giovani, sperando di arricchirsi, in realtà alimentano il valore della piattaforma e la ricchezza dei suoi azionisti con il loro lavoro e la loro immagine. I fondatori/azionisti hanno creato una macchina che prospera sul volume: anche se la maggioranza dei creator guadagna briciole, l’importante per l’azienda è che continuino a provarci, che la base di creatori cresca, che gli utenti passino tempo sul sito – perché comunque OnlyFans incassa la sua commissione su qualsiasi transazione avvenga e trattiene i fondi degli abbonamenti non utilizzati dalla massa di utenti inattivi.

OnlyFans, una piattaforma di sfruttamento 2.0

La componente “tech” innovativa di OnlyFans sta proprio nell’aver portato il modello di social network nel mondo dell’intrattenimento per adulti: invece di poche case di produzione porno che vendono a milioni di spettatori, qui abbiamo milioni di piccoli “produttori” indipendenti che vendono direttamente a un numero inferiore di fan, ma con la piattaforma che intermedia e guadagna su tutti. Questo modello long tail rovescia la struttura tradizionale ma in fin dei conti accentra ugualmente il profitto verso l’alto, soltanto in forma di commissioni invece che di rendita da capitale umano. OnlyFans si presenta quasi come un “abilitatore neutrale” – noi diamo gli strumenti, il successo dipende da te – ma il risultato finale è che la stragrande maggioranza del rischio e del lavoro è a carico delle ragazze, mentre la società raccoglie guadagni sicuri e crescenti in virtù delle economie di scala digitali (costo marginale quasi nullo per servire ogni nuovo creator o utente).

Per “fare i conti” ai fondatori, come si suol dire, basta guardare i bilanci: OnlyFans ha redistribuito ai suoi proprietari circa il 90% degli utili sotto forma di dividendi, invece di investire significativamente in miglioramenti o tutele per i creator. Questo indica che il business è maturo e genera talmente tanto cash da poter arricchire enormemente chi lo possiede, a fronte di costi operativi relativamente modesti (principalmente infrastruttura web, pagamenti e moderazione)., OnlyFans ha creato miliardari al vertice, capitalizzando su un esercito di ragazze che spesso non arrivano a pagarsi l’affitto con i proventi del sito.

Siamo di fronte ad una piattaforma di sfruttamento 2.0 dove lo sfruttamento non è classicamente opera del produttore pornografico o del pappone, ma diventa quasi auto-sfruttamento facilitato dalla tecnologia – con la piattaforma che incassa il pedaggio. Un report di gennaio 2022 dell’organizzazione anti-sfruttamento Avery Center ha rilevato che molte donne, dopo aver provato OnlyFans, sono tornate al sex work tradizionale (es. prostituzione) perché online “non stavano guadagnando abbastanza, facevano troppo sforzo per troppo poco”. Alcune addirittura hanno iniziato l’attività offline proprio a causa di OnlyFans: “mi ha portato a cominciare incontri di persona; se già lo facevo online, tanto vale farlo dal vivo dove so di poter fare più soldi”. Questa è una prospettiva inquietante: lungi dall’essere un’alternativa sicura e più remunerativa alla prostituzione come i suoi promotori sostengono, OnlyFans in certi casi non funziona affatto come “uscita” dal sex work, ma anzi fa da porta d’ingresso.

Un equilibrio delicato tra innovazione, sfruttamento e vulnerabilità

OnlyFans si colloca all’incrocio tra tecnologia, economia dei creator, industria del sesso e cultura dei social media. Il suo impatto sulle giovani donne va analizzato tenendo conto di tutti questi piani.

Così come per gli altri Social Media l’impatto sulla psiche dei giovani può essere devastante. L’aver sottovalutato l’impatto che questi hanno sarà qualcosa che rischiamo di pagare molto caro in termini di salubrità psichica delle future generazioni. A livello collettivo, si potrebbe parlare di un grande inganno: viene venduto un sogno di emancipazione finanziaria e empowerment femminile che nella realtà si traduce spesso in auto-oggettivazione, guadagni scarsi, dipendenza psicologica dal giudizio altrui e possibili ripercussioni sulla salute mentale.

Il paragone con Instagram ci ha mostrato come i social possano minare la sicurezza di sé delle ragazze attraverso la dittatura dell’immagine; OnlyFans porta questa dinamica a un livello superiore, aggiungendo la componente sessuale e mercificata. Le insicurezze aumentano, non diminuiscono. Il potere passa di mano? Solo in parte: invece che dipendere da un produttore porno, ora dipendi dai capricci di migliaia di sconosciuti online e dagli algoritmi di una piattaforma.

Alla fine, cui prodest? Ad oggi, OnlyFans ha arricchito principalmente i suoi proprietari e una ristretta élite di creator, mentre ha esposto numerose giovani a nuove forme di vulnerabilità. Va detto che la piattaforma ha implementato alcune misure di sicurezza (ban di contenuti illegali, possibilità di bloccare regioni geografiche per non farsi vedere localmente, etc.) e che molte lo usano in modo consapevole e limitato senza subirne gravi conseguenze. Tuttavia, gli effetti sistemici iniziano a emergere nei numeri: ad esempio l’aumento di giovanissime che considerano la vendita di contenuti intimi come opzione di carriera, o i casi di adolescenti minorenni pizzicate a vendere materiale su OF mentendo sull’età. Senza moralismi, è importante però interrogarsi su cosa significhi per una generazione crescere con l’idea che la propria corporeità possa (o debba) essere messa a reddito online.

Per la comunità e i professionisti della tecnologia, OnlyFans rappresenta uno studio di caso emblematico: dimostra come un’innovazione digitale possa avere conseguenze sociali e psicologiche ambivalenti. Da un lato l’elogio della creator economy che disintermedia e democratizza; dall’altro, il riproporsi di antichi problemi – sfruttamento, disparità, impatto su soggetti vulnerabili – in nuove vesti. Il compito di chi informa e innova dovrebbe essere di riconoscere queste complessità. Non si può liquidare OnlyFans solo come “bigottismo vs libertà sessuale”, né solo come “sfruttamento vs emancipazione”: è un fenomeno sfaccettato, dove la tecnologia incontra fragilità umane ataviche (il bisogno di approvazione, la vanità, il desiderio, il potere dei soldi).

In definitiva, per la maggior parte delle giovani donne l’esperienza su OnlyFans sembra tradursi più in pressioni e rischi che in benefici duraturi. Come con Instagram, stiamo forse assistendo a un altro grande esperimento sui nostri costumi e sulla psiche collettiva: stiamo imparando a caro prezzo quanto l’economia dell’autopromozione intima possa essere seducente ma anche corrosiva. E mentre poche celebrità fanno titoli di giornale per i milioni incassati vendendo foto sexy, dietro le quinte milioni di ragazze comuni fanno i conti con la realtà ben diversa di un “lavoro” che non paga le bollette e può intaccare il loro equilibrio interiore.

OnlyFans, insomma, ci obbliga a riflettere su quale sia il prezzo – economico, psicologico, sociale – di una fama effimera costruita sul proprio corpo. E su chi, alla fine, ne trae il vero profitto. I numeri e le testimonianze suggeriscono che dovremmo guardare oltre la superficie scintillante della “rivoluzione hot” online e confrontarci seriamente con il suo lato oscuro: quello che coinvolge la salute mentale delle nostre giovani e i meccanismi di un mercato che rischia di confondere la liberazione con l’ennesima forma di sfruttamento.

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