infodemia

I no vax senza freni sui social: solo una nuova “cittadinanza digitale” ci può salvare

Contro l’infodemia, le bufale, la disinformazione e la misinformazione ci siamo trovati tutti spiazzati nel corso di questa lunga emergenza sanitaria, quando ognuno di noi, giustamente, era alla ossessiva ricerca di notizie per comprendere meglio l’evoluzione della pandemia. L’unica arma che abbiamo è l’educazione

Pubblicato il 02 Ago 2021

Antonio Guadagno

Ingegnere, consulente informatico, docente, formatore

infodemia

L’emergenza sanitaria legata al Covid-19, con le sue incognite, ha originato una forte esigenza informativa per comprendere al meglio sia i comportamenti da adottare per tutelare la propria e l’altrui salute sia le misure eccezionalmente restrittive adottate dalle Istituzioni nazionali e locali.

Proprio per questo, l’emersione della pandemia ha spinto tutti verso una ricerca quasi ossessiva di comunicati, che ha spesso generato un corto circuito informativo a causa della proliferazione di notizie poco attendibili, se non false, sul virus.

Il problema di fondo è che nella comunicazione web 2.0 non esistono più soggetti filtranti che garantiscano la verifica e quindi la selezione delle notizie.

Qui, allora, entra in gioco la nostra unica ancora di salvezza: l’educazione alla cittadinanza digitale.

La scuola antidoto contro l’infodemia: come sviluppare gli anticorpi della conoscenza

Infodemia, disinformazione e fake news durante la pandemia

Il web e soprattutto i social media già normalmente portano a un sovraffollamento comunicativo fatto di tante notizie dalla vita molto breve, alcune delle quali inventate, generando, in una fetta non trascurabile della popolazione, orientamenti e comportamenti controproducenti.

Non a caso, poco tempo fa, è stato coniato a tale proposito un neologismo: infodemia, dall’inglese infodemic (composto dalle parole information ed epidemic). Per la Treccani con tale temine si intende la “circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha voluto sottolineare che forse “il maggiore pericolo della società globale nell’era dei social media è la deformazione della realtà nel rimbombo degli echi e dei commenti della comunità globale su fatti reali o spesso inventati”.
In particolare, Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2020, ha affermato perentoriamente: “Non stiamo solo combattendo una pandemia; stiamo combattendo un’infodemia”.

Le folli storie dei no vax: gli studi

NewsGuard [1], una società di giornalismo e tecnologia che stima l’attendibilità delle notizie pubblicate sui siti web, ha creato un “Centro di monitoraggio della disinformazione sul Coronavirus” che ha identificato più di 400 siti tra Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, e Italia; inoltre, NewsGuard ha realizzato una pagina[2] in cui sono elencate e commentate alcune tra le principali bufale che sono circolate in rete. Eccone qualcuna:

  • Un gruppo finanziato da Bill Gates ha brevettato il virus del Covid-19,
  • La tecnologia dei telefoni cellulari 5G è collegata alla pandemia di coronavirus,
  • L’aglio può curare il Covid-19,
  • Limone e acqua calda possono curare il Covid-19,
  • È stato dimostrato che dosi massicce di vitamina C siano un trattamento efficace per il Covid-19,
  • Fare il vaccino antinfluenzale aumenta il rischio di contrarre il Covid-19,
  • Indossando una mascherina si spinge il virus del Covid-19 nel cervello,
  • Il virus del Covid-19 è stato creato in un laboratorio dell’Università della Carolina del Nord.

Uno studio della Fondazione Censis [3] ha evidenziato che questa “infodemia coronavirale” ha trovato impreparati i media tradizionali anche a causa dei “dissidi evidenti tra virologi ed esperti vari su origine e forme del contagio e sulle modalità per tutelarsi e tutelare gli altri; tra autorità sanitarie nazionali, regionali e locali sulle indicazioni e le cose da fare in caso di sintomi; tra autorità politiche di ogni livello sulle decisioni rilevanti da prendere per l’emergenza”.
Infatti per quasi la metà degli intervistati la comunicazione da parte dei media è stata confusa, se non addirittura ed eccessiva; solo il 13,9% pensa che sia stata equilibrata.

I dissidi, messi in luce dal Censis, tra virologi ed esperti, sono stati studiati anche da un gruppo di ricercatori del Centro di Ricerca e Alta Formazione in Health Administration dell’Università di Milano[4]: la contrapposizione mediatica, ad esempio tra Burioni, Lopalco, Bucci e così via, ha generato vere e proprie “arene virtuali”, e i social media ne hanno fatto da cassa di risonanza.

La “sporca dozzina” della disinformazione no vax

Negli Usa quasi due terzi delle notizie fuorvianti sui vaccini anti Covid pubblicate su Facebook e Twitter è associata solo a dodici account, raggiungendo nel solo mese di aprile scorso quasi trenta milioni di persone. Il rapporto, curato dal Center for Countering Digital Hate (CCDH)[5], ha evidenziato che direttamente sui profili dei dodici, chiamati dal sito Dagospia la “sporca dozzina”, o attraverso condivisioni sono stati pubblicati ben il 65% dei post cospirazionisti.
Tale presenza pressante sui social ha anche un fine economico: l’industria Anti-Vaxx vanta un fatturato annuo di almeno 36 milioni di dollari.

A tale proposito è intervenuto anche il Senato degli Stati Uniti che ha spinto i vertici di Twitter e Facebook (e Instagram) a prendere provvedimenti contro la cosiddetta “disinformation dozen”, ma i risultati non sembrano essere stati sufficienti.

Come uscirne?

L’informazione, soprattutto per temi legati alla vita dei cittadini, non può essere veicolata da chiunque che, seppur in buona fede, non fa altro che creare una maggiore incertezza.
Sia il Ministero della Salute italiano che la OMS, non tempestivamente purtroppo, hanno dovuto creare delle sezioni apposite cercando di mettere in luce, chiarire e sfatare le notizie false.

Nonostante gli sforzi (più o meno convinti) da parte delle aziende social e delle agenzie di stampa, la diffusione di fake news, attraverso il cosiddetto debunking non è facile da arginare. Occorre allora giocare d’anticipo attraverso un’accurata azione di pre-bunking, mettendo in guardia l’utente di Internet a monte, indicando i siti poco affidabili e gli account che divulgano le relative notizie.

I ricercatori del Centro di Ricerca ed Alta Formazione in Health Administration dell’Università di Milano hanno messo in luce che “Combattere l’infodemia non vuol dire, solo, eliminare le fake news”, poiché, pur essendo necessario controllare e filtrare le notizie per eliminare contenuti falsi e controproducenti attraverso attente procedure di fact-checking, diventa fondamentale che le informazioni corrette e affidabili non vengano surclassate ma siano veicolate in modo da assumere maggiore rilevanza.

Conclusioni

Esiste una soluzione?

Non è sufficiente concentrarsi solo sulla disinformazione, occorre circoscrivere la misinformazione, ovvero la condivisione inconsapevole e senza voler arrecare danni, di informazioni fuorvianti, anche solo pensando di poter essere utili.

E qui entra in gioco l’educazione alla cittadinanza digitale: investire nella formazione permanente in modo che le persone abbiano le competenze adatte per discernere le notizie false da quelle serie, sviluppando capacità di pensiero critico necessarie per analizzare il moderno ecosistema dell’informazione.

A tale proposito la Commissione europea ha recentemente sviluppato un kit di strumenti[6] per gli insegnanti delle scuole secondarie, contenente un insieme di risorse per avviare nelle classi una discussione mirata sui rischi rappresentati da una cattiva informazione, al fine di aiutare gli alunni a separare, quando sono online, ciò che è reale da ciò che è falso e imparare a reagire in maniera corretta.

Ognuno di noi, nel web 2.0, può essere sia consumatore che diffusore di informazioni; è quindi necessario collaborare in modo costruttivo a “sanificare” l’ambiente informativo legato alla nostra vita digitale, elaborando consapevolmente la qualità dei contenuti che ci vengono proposti.

Ciò può avvenire attraverso un percorso di news literacy, con l’obiettivo di tramettere competenze su come vagliare le notizie, attraverso la disciplina del sapere critico.

Note

  1. https://www.newsguardtech.com/it/
  2. https://www.newsguardtech.com/it/speciale-bufale-sul-covid-19/
  3. https://www.censis.it/sites/default/files/downloads/Rapporto%20Ital%20Communications-Censis_def.pdf
  4. http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=85402
  5. https://252f2edd-1c8b-49f5-9bb2-cb57bb47e4ba.filesusr.com/ugd/f4d9b9_00b2ad56fe524d82b271a75e441cd06c.pdf
  6. https://europa.eu/learning-corner/spot-and-fight-disinformation_it

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