tecnologie e studio

L’AI all’Università può essere alleata degli studenti: ecco come



Indirizzo copiato

La didattica universitaria evolve con gli studenti e i loro strumenti. L’uso critico delle tecnologie può rafforzare l’apprendimento

Pubblicato il 22 lug 2025

Francesco Calabrò

Professore associato di Analisi Numerica, Dipartimento di Matematica e Applicazioni, Università degli Studi di Napoli "Federico II", fondatore e socio dello Spin-off universitario D3C, socio della Camelia Tech



ragazze università (1) lauree in intelligenza artificiale

Nel dibattito attuale sull’evoluzione della didattica universitaria, tra lezioni a distanza, Intelligenza Artificiale e nuovi stili di apprendimento, vorrei portare una voce dal campo: quella di un docente di matematica applicata, con oltre vent’anni di esperienza in corsi di servizio, i famosi corsi di primo semestre – prim’anno, e in corsi di approfondimento del terzo-quarto anno rivolti non a futuri matematici, ma a studenti di altre discipline scientifiche.

Didattica universitaria tra contenuti stabili e bisogni in evoluzione

Nei corsi del primo semestre del primo anno, la mia funzione principale è quella di colmare lacune e fornire strumenti di base: concetti fondamentali che, per loro natura, non cambiano con il tempo. Eppure, allo stesso tempo, la scienza evolve, e con essa anche i bisogni formativi. Alcuni argomenti vanno aggiornati, adattati a ciò che è più utile per i corsi di laurea, per i colleghi, per la formazione degli allievi.

Insegnare matematica all’università oggi non è solo trasmettere saperi consolidati, ma essere in costante azione rispetto a ciò che serve davvero. Magari saranno necessari sempre gli stessi contenuti, ma il loro modo di essere inquadrati nel loro utilizzo, quello deve essere aggiornato.

Metodi di apprendimento e percezione del cambiamento

Accanto ai contenuti, però, si impone una riflessione altrettanto urgente: quella sul metodo. I ragazzi cambiano, i loro strumenti cambiano, le modalità di apprendimento si trasformano. La vecchia lamentela “gli studenti non sono più quelli di una volta” è una scorciatoia sterile: ogni generazione di adulti ha avuto la tentazione di arroccarsi davanti alle novità. Forse un tempo il mondo dell’istruzione poteva permettersi un’evoluzione lenta. Oggi, no.

La rivoluzione è troppo grande, riguarda il modo in cui si impara, spesso attraverso brevi video, ma anche il modo in cui si cercano risposte, ora mediate da strumenti intelligenti. Ricordo bene l’epoca in cui le ricerche scolastiche iniziarono a basarsi sul “copia e incolla”: un gesto allora visto con gran sospetto. Eppure, oggi quella mia amica, più piccola di me, che per prima portò una ricerca interamente frutto di un control C + control V da un sito internet oggi è una affermata cardiologa. Ma lei era una privilegiata, internet non era disponibile a tutti all’epoca.

In fondo, io stesso ho avuto accesso a più fonti rispetto ai miei coetanei, grazie ai libri scolastici presenti in casa per via del lavoro di mia madre. In sostanza, ho imparato presto a “incollare bene”. E invece i miei amici dovevano rendere in linguaggio comprensibile quanto riportato sulle enciclopedie presenti a casa dei nonni. Oggi come allora, gli studenti devono imparare a riscrivere bene, a selezionare con senso critico, a usare gli strumenti che hanno a disposizione con intelligenza.

Intelligenza artificiale come strumento didattico

Ecco allora che l’Intelligenza Artificiale può diventare un alleato. Gli strumenti che sintetizzano testi, individuano i punti chiave o riassumono contenuti possono essere utilissimi, purché se ne faccia un uso consapevole. Chi non studia l’intero contenuto non potrà mai parlarne davvero, ma chi si serve dell’IA per orientarsi, per organizzare le informazioni e per studiare meglio, ne trarrà un grande vantaggio.

Nel mio ambito, quando insegno matematica applicata a corsi di terzo-quarto anno, parte fondamentale dei contenuti è legata alla scrittura di istruzioni algoritmiche, i codici numerici, per la risoluzione di problemi matematici. Io non ostacolo l’uso dell’IA per la scrittura di codice numerico, anzi, incoraggio gli studenti a sfruttarla. Ma poi pretendo che sappiano spiegare cosa fa quel codice, come verificarlo su casi semplici, dove e quando applicarlo, come migliorarlo.

Il codice scritto dalla IA è una bozza che risponde a una domanda. Credo che si possa capire meglio quello che intendo pensando alle traduzioni, andando indietro a quelle prima di Chatgpt, fatte attraverso il traduttore automatico. Se c’è da mandare una lettera di lavoro in una lingua straniera, chi manda la traduzione automatica di Google, che equivale quasi a quella parola per parola, rischia di inviare un testo praticamente illeggibile. Chi ha una conoscenza della lingua straniera, magari non perfetta, usa con criterio lo strumento di traduzione e adatta il testo, lo corregge, lo mette nello stile che gli vuole dare… È per me lo stesso con un codice numerico: se non conosco almeno un po’ la lingua quello che mi scriverà la IA sarà utile in alcuni casi, ma spesso invece è inutilizzabile.

Il ruolo della lezione e della relazione in università

Oltre allo studio, va ripensato anche lo strumento della lezione. Alla scuola primaria e secondaria non mi sento di dare indicazioni: non ho competenza diretta. Immagino che a quella età l’apprendimento sia imprescindibilmente legato al rapporto/confronto tra coetanei, alla presenza dell’adulto che però non è il genitore. Immagino che ancora i bambini abbiano desiderio di avere il rapporto con la maestra come lo avevamo noi da bambini, immagino che gli adolescenti continuino a cercare “strategie per cavarsela” e continuino a innamorarsi delle prime scoperte: la retorica, la letteratura, la politica, l’arte, o magari la matematica … Certo, molto potrebbe essere veicolato dai nuovi mezzi, e insegnare a usarli o sfruttarli durante le lezioni è auspicabile. Da anni penso e dico che le strutture che non hanno all’interno laboratori “fisici” possano far vedere ai loro allievi esperimenti svolti da altri per motivarli alle scoperte scientifiche! e come sarebbe facile con le lavagne LIM…

All’università, però, le cose sono diverse. L’empatia tra docente e studente è più difficile da costruire, e forse meno necessaria. E i coetanei? Un tempo si andava a lezione anche per stare con i nuovi amici; oggi si può “stare insieme” anche tramite il cellulare. Dalla cattedra, vedo studenti più legati ai rapporti esterni che a quelli interni all’aula. Questo spinge una riflessione ulteriore sulla didattica.

Lezioni registrate, apprendimento e presenza in aula

Il lockdown ci ha imposto la didattica a distanza, ed è anche da notare che, per questa generazione di giovani adulti, i video sono un potente veicolo di apprendimento. C’è una differenza ovviamente tra la registrazione e il video “in diretta”, ma quest’ultimo è un ibrido che prende molti difetti sia dalla modalità in presenza che da quella a distanza, quindi direi che non è l’oggetto di questa mia riflessione. Le lezioni registrate permettono di fermarsi, tornare indietro, riascoltare. Sono controllate, curate, perfino “democratiche”: la spiegazione può essere affidata al docente più chiaro, e tutti gli studenti ne beneficiano allo stesso modo. Questo è un punto cruciale, soprattutto pensando all’accesso ai corsi a numero chiuso o ai semestri introduttivi comuni: registrare le nozioni di base potrebbe rappresentare un’ottima soluzione per garantire equità e qualità. E penso soprattutto ai contenuti di base: definizioni, risultati teorici come dimostrazioni o teoremi.

Resto però convinto che molte competenze non possano essere trasmesse con una registrazione. Alcune capacità si sbloccano solo in aula: vedere un docente che sbaglia, che riflette ad alta voce, che accoglie le domande, è un’esperienza insostituibile. Anche per noi insegnanti è fondamentale “sentire” l’aula: una reazione entusiasta o una perplessità collettiva possono spingerci a modificare in tempo reale ciò che spieghiamo. E poi ci sono i rapporti interpersonali, la possibilità di scambio tra i presenti in aula che non si possono “virtualizzare”. Inoltre, andare in aula e seguire aiuta l’apprendimento “incrementale”: l’autoregolazione dello studio è difficilissima quando manca una presenza, un orario, una routine. È già un enorme sforzo quello che serve ad un ragazzo, privato dell’obbligo legato al “l’appello del mattino”, di decidere di andare a lezione piuttosto che scegliere il mare o lo sport o la nullafacenza…

Il ruolo dell’Università in un mondo che cambia

In conclusione, credo che l’università debba imparare a usare con intelligenza i nuovi strumenti: non come scorciatoie, ma come opportunità. L’Intelligenza Artificiale, la didattica in video, i nuovi linguaggi degli studenti non sono nemici, ma elementi con cui dialogare. Conoscere ciò che cambia, senza dimenticare ciò che resta stabile, è oggi una delle sfide più affascinanti per chi fa didattica.

guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati