L’intelligenza artificiale e ChatGPT si fanno largo anche nelle nostre università. Gli strumenti di AI aiutano i professori a creare contenuti, rendendo le lezioni anche più dinamiche e coinvolgenti, e a venire incontro alle esigenze degli studenti, tuttavia la rapida diffusione, e il velocissimo progresso tecnologico, sollevano dubbi.
“L’intelligenza artificiale è la seconda grande rivoluzione dei nostri
tempi dopo l’avvento della rete”, commenta Leonardo Becchetti, professore di Economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, “Internet ha accelerato enormemente la velocità di circolazione delle conoscenze scientifiche. Chi pensa di
aver trovato qualcosa d’importante può istantaneamente caricarlo online come working paper ed essere citato, o può addirittura fare un post con un risultato ed un grafico su un social media per avere immediatamente impressioni da chiunque capisca la lingua in cui si esprime sul pianeta. Al momento, nonostante la grancassa della
propaganda, l’intelligenza artificiale non sembra dare novità così importanti ma si intravede che in futuro potrebbe essere così. La differenza è che ora non abbiamo più soltanto un bibliotecario che sui motori di ricerca ci porta immediatamente tutto ciò che si è scritto su un certo argomento, ma abbiamo a disposizione attori digitali che
possono fare per noi slide, presentazioni, risolvere problemi matematici e scrivere righe di programma oltre che fare testi”.
Ecco i progetti con l’AI in corso già oggi sia nelle università italiane che in ambito internazionale, comprese le business school post-universitarie.
ChatGPT in ateneo: le università a scuola di AI
ChatGPT non è apparsa dal nulla, ma è frutto di anni di investimenti, adesso è però giunta l’ora di sfruttarne le potenzialità ed analizzare le possibili minacce legate all’intelligenza artificiale. “Il principale vantaggio è di poter attingere a un mega archivio di conoscenza e informazioni connesse quale è Internet”, sottolinea Riccardo Puglisi, professore di Scienza delle finanze all’Università degli Studi di Pavia: “Tradurre un testo, semplificare testo, trasformarlo in un esame, manipolare testi: permette di fare tantissime cose velocemente, grazie alla ‘potenza della macchina’. In ambito universitario, l’aspetto interessante è la complementarietà fra le nostre buone idee e le sue capacità, ma – allucinazioni ed errori a parte, da controllare – è probabile che ChatGPT creerà nuove professioni come il Prompt Engineer, l’ingegnere che sa porre le domande nella maniera giusta, più circostanziata e più precisa: reiterando la richiesta, la risposta migliora”. ChatGPT usa infatti i modelli di generative AI language, in grado di abilitare a creare nuovi contenuti basati sull’informazione fornita nella forma di testo, immagini o audio. La qualità dell’output dipende dalla qualità dell’input che riceve.
School of Business della California
Zsolt Katona, professore di marketing alla Berkeley Haas School of Business della California, stava usando la versione GPT-2, a inizio 2019, sia per insegnare ai manager il programma sulle tecnologie emergenti sia per scrivere script per i video che accompagnavano il suo corso. “Era molto noioso scrivere gli script che avrei letto dal gobbo elettronico”, ricorda Katona. “Non sono mai stato bravo a scrivere testi allettanti, né in inglese né nella mia lingua nativa, l’ungherese. Ma, già l’antenato di ChatGPT eras in grado di generare script di buona qualità”.
Katona ha poco tempo per chi si oppone ChatGPT. “Amo il chatbot conversazionale, è un magnifico strumento educativo” afferma: “Ricordo com’era la scuola prima dell’avvento di Internet. Come la ricerca di Google Search è stata innovativa per la precedente generazione, ChatGPT cambierà il modo in cui le persone accedono alla conoscenza in questa generazione. Significa che potremo essere più efficienti nel settore educativo, compreso il settore delle business school o dell’executive education”.
L’Università della Pennsylvania
Christian Terwiesch, professore alla Wharton School presso l’Università della Pennsylvania, ha scoperto che il chatbot è in grado di passare l’esame finale dell’MBA della sua scuola. Prende un B- e un B al corso di Operations Management. Nel suo paper di ricerca, Terwiesch ha previsto che le significative capacità di ChatGPT di automatizzare alcune competenze avranno un impatto “fra i lavoratori della conoscenza altamente remunerati in generale. Ma, nello specifico, fra i lavoratori della conoscenza nell’ambito dei laureati MBA. Inclusi analisti, manager e consulenti”.
Business school divise: pro e contro l’uso dell’AI
Alcuni professori di Business school temono un effetto negativo della generative AI e cioè di sovraccaricare la cattiva condotta accademica nelle valutazioni accademiche. “Un rischio è legato a un problema pedagogico. Usando l’AI generativa potrei disimparare a fare le cose”, conferma Riccardo Puglisi, “un problema simile a quello degli adolescenti, la cui socializzazione è avvenuta in presenza dei social media. Oggi sono meno capaci di conversare, perché sono abituati a scrivere in chat, poi inviare un vocale su Whatsapp, di nuovo a scrivere un nuovo messaggio. Il risultato è che non sanno più conversare. Nell’età dell’apprendimento potrebbero dunque esserci rischi legati anche all’uso di ChatGPT”.
Altri docenti, come Katona, stanno già pianificando di creare attività di classe dove gli studenti usano ChatGPT per risolvere problemi ponendo domande. O lavorando in gruppi per analizzare l’accuratezza e la precisione delle informazioni che fornisce.
Si stima che le interazioni con l’AI generativa riesca ad alimentare la curiosità dei partecipanti e ad inspirarli a sollevare più questioni ed interrogativi.
“Un altro rischio è quello dei filtri con eccessi politically-correct e dei bias cognitivi legati all’AI“, mette in guardia Puglisi, “una tematica o un punto di vista potrebbe andare a detrimento di altri oppure essere sminuiti o censurati, ma l’innovazione è più rilevante dei bias: sarà la concorrenza, il mercato, a premiare le soluzione di generative AI con meno bias e meno filtri”.
L’approccio human-centric
Nel dettaglio, in ambito executive education, l’AI generativa potrebbe aiutare a creare simulazioni in grado di imitare le interazioni business del mondo reale, come per esempio le negoziazioni e un passo di vendita per soddisfare le esigenze di business dei potenziali clienti.
I manager potrebbero usare l’AI come un compagno di studio, con cui fare pratica di pensiero critico e competenze di problem-solving. La natura conversazionale delle risposte di di ChatGPT significa che i partecipanti potrebbero ottenere velocemente feedback immediati e personalizzati.
Simulazioni business, generazione di idee e dispute appaiono fra le attività potenziate dall’AI a Insead in Francia. Il professore aggiunto Adrian Johnson ha integrato ChatGPT in negoziazioni simulate, dove i manager contrattano con l’AI.
Il professore di Strategia a Insead, Phanish Puranam, guida lezioni di design per le organizzazioni, in cui gli studenti usano ChatGPT per aiutare a generare un’ampia gamma di soluzioni possibili. Sta anche pensando di usarla come “compagno d’allenamento“, con algoritmi che criticano i pensieri dei manager e chiedono loro più spiegazioni. “Nei loro business, i manager do ranno vedere l’AI attraverso un doppio filtro”, spiega Puranam, che si chiede se l’intelligenza artificiale migliorerà effettivamente il lavoro delle loro organizzazioni, ma non si sa se li renderà più o, forse, meno human-centric ovvero centrati sull’uomo.
L’incontro tra umani e chatbot
Sull’aspetto della centralità del tema umano-centrico concorda anche il professor Leonardo Becchetti. “Nei testi, la versione attualmente disponibile di ChatGPT ha ancora enormi limiti”, mette in guardia l’economista Becchetti: “Scrive in modo originale attingendo dalla rete testi a livello di uno studente di liceo (non certo capaci di profondità scientifica) e quando azzarda a citare dati o riferimenti bibliografici scopriamo con sorpresa che quelle citazioni sono verosimili ma non vere (sono false)”.
Tuttavia, “in attesa di ulteriori progressi dobbiamo tenere conto di tutto questo quando facciamo prove di esame per i nostri studenti. I cellulari devono essere spenti in classe durante le prove d’esame oppure dobbiamo ripensare nuove prove, dove si parta proprio dall’assunto dell’interazione studente-AI e si giudica la capacità dello studente di usare al meglio l’assistente digitale. In fondo, potrebbe essere questa la direzione giusta”, conclude Becchetti: “Ed è proprio da gruppi di lavoro tra umani ed assistenti digitali che arriverà la creatività del futuro e un nuovo salto di produttività“.
Migliorare la produttività
L’Adaptive learning può aiutare gli studenti a trascorrere meno tempo su cose che già conoscono e migliorare gli altri aspetti. Lo confermano Russell Miller, Imperial College Business School di Londra, Alain Goudey, socio decano per il digitale presso il Neoma Business School in Francia. “L’AI può analizzare le preferenze di apprendimento, i punti di forza e le debolezze degli studenti individuali, permettendo alle business school di rendere su misura esercizi, contenuti e curriculum” .
La scuola usa l’AI per identificare chi apprende, dividendo studenti veloci da quelli lenti, per aiutare entrambi i gruppi a esprimere il proprio potenziale. “L’AI agisce come compagno di studio e aiuterà le facoltà a focalizzarsi su sfide specifiche o esperienze di apprendimento dei migliori della classe”.
L’Adaptive learning non-lineare: ChatGPT
Russell Miller, direttore dell’Innovazione per l’education dei manager all’Imperial College Business School di Londra, non vede l’ora che le Business School usino l’AI per creare adaptive learning non-lineare, basato sulle esigenze degli studenti. Crede che possa valutare le lacune conoscitive e dove è necessario un supporto extra: “Potrebbe voler dire che gli studenti possano apprendere risparmiando tempo su ciò che già sanno”. La generative AI può aiutare le business school ad offrire esperienze più inclusive, secondo René Eber, lecturer alla HEC Paris Executive Education. “Le competenze di presentazione in inglese rappresentano una barriera importante per alcune partecipanti”, spiega Eber. “Li incoraggiamo a usare ChatGPT per raccontare una storia più convincente quando raccolgono le idee davanti a una giuria o scrivono un report. Significa offrire pari opportunità per tutti i partecipanti a prescindere dai loro background”.
Scenario: ChatGPT nelle università italiane, chi lo usa e chi progetta di usarlo
Per capire come si stanno muovendo le università italiane, abbiamo intervistato alcuni professori per raccontare ad Agenda Digitale le sperimentazioni che hanno in corso e come si stanno preparando per evitare che intere tesi siano di ChatGPT, invece di essere frutto del lavoro individuale dei propri studenti universitari. “Per evitare i plagi, stiamo utilizzando un software Compilatio.net“, spiega Giovanni Boccia Artieri è un sociologo e saggista italiano. Professore di Scienze della Comunicazione presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, “dove il sistema anti-plagio controlla anche l’eventuale uso dell’intelligenza artificiale generativa e le sue procedure algoritmiche. Infatti, anche il mondo dell’università usa da tanto i sistemi anti-plagio”.
Sull’antiplagio, interviene anche Alessandro Neri, professore di Teoria dell’informazione e codici dell’Università di Roma Tre, che conferma che “una soluzione oggi valida, ammesso che esista, già domani non funziona più. L’unico controllo vero, l’unica vera difesa è la valutazione continua dello studente, anche durante la tesi”.
Anche Riccardo Puglisi ritiene che, per prevenire queste problematiche, si andrà verso “vincoli più stretti sull’uso del computer (dalla sola presenza di un editor di testo oppure a Pc dove non c’è accesso a ChatGPT e suoi cloni”.
Ma l’utilizzo di ChatGPT in università non ha solo controindicazioni, bensì offre opportunità. “Trovo interessante poter sperimentare la scrittura con ChatGPT, in corsi come comunicazione di pubblicità per le organizzazioni”, spiega Giovanni Boccia Artieri: “Sperimenteremo l’AI generativa per la scrittura pubblicitaria, per mostrare anche la differenza del lavoro di creatività con la scrittura con ChatGPT, le potenzialità, rendendo trasparente ciò che ora magari ora si fa di nascosto”.
Per Alessandro Neri, “la vera sfida è riuscire ad immaginarne un uso controllato: nel campo della ricercas in ingegneria, nel contesto dei sistemi a guida autonoma, stiamo utilizzando l’intelligenza generativa per eseguire test in forma automatica con i digital twin di un treno: L’AI generativa permette di creare casi su cui addestrare la macchina. In ambito universitario, inoltre, l’intelligenza artificiale potrebbe fornire un supporto continuo agli studenti (una forma di tutoraggio h24 e 7 giorni su 7) per ridurre drasticamente gli abbandoni”.
Accademia di Belle Arti
All’Accademia di Belle Arti di Roma, dove insegna, Enrico Bisenzi utilizza l’AI generativa nella didattica AFAM (alta formazione artistica e musicale): “Come docente dei corsi di Layout, Web e Brand Design dell’Accademia di Belle Arti di Roma, ho iniziato già da qualche anno (ChatGenerativePreTrained è solo l’ultima novità dirompente di uno
scenario di machine learning in azione già da diversi anni) ad usare i cosiddetti sistemi di intelligenza artificiale per: realizzare immagini ed illustrazioni tramite prompt testuali per supporti didattici; controllare l’originalità e la creatività umana di elaborati e tesi.
Contemporaneamente, coinvolgo gli studenti in esercitazioni tecnico-pratiche inerenti:
il fact checking di layout attraverso procedure di pattern recognition e reverse image search; il riconoscimento semantico di loghi; l’analisi della leggibilità ed efficacia comunicativa di testi e payoff”.
Flexa: alla School of Management del Politecnico di Milan
La School of Management del Politecnico di Milano usa uno strumento basato sull’AI, chiamato Flexa, sviluppato con Microsoft, in grado di supportare il lavoratore nelle scelte professionali e lungo il suo percorso di carriera. I partecipanti usano la piattaforma per decidere dove e come per accedere a percorsi di apprendimento personalizzato, iniziando da un fase di valutazione sulle competenze da migliorare.
“Su Flexa si inizia con l’assessment su tre dimensioni: su hard skill, soft skill e competenze digitali”, spiega Riccardo Mangiaracina del Politecnico di Milano: “Con un questionario, si valutano le hard skill nell’ambito manageriale (finanza, marketing, supply chain eccetera). Ci sono competenze mappate e si valutano i candidati. La fotografia dell’utente è un primo passo, prima di chiedergli qual è il suo obiettivo di carriera: abbiamo mappato le competenze a seconda del profilo dell’utente e degli obiettivi di carriera. Grazie alla fotografia dell’utente con le competenze attuali e le competenze da acquisire in base alle sue aspirazioni da raggiungere, la piattaforma calcola il divario e suggerisce un percorso di studi per colmare il gap. Dunque, raccomanda contenuti, in maniera progressiva, da studiare per conseguire l’obiettivo prefissato”.
Flexa usa l’AI per creare programmi su misura di ogni utente. Ha accesso a 800 mila unità di materiale di apprendimento, inclusi i corsi digitali, webinar, podcast, articoli e casi di studio. “Tutto il materiale ha fonti autorevoli”, dunque non c’è il rischio di allucinazioni ed errori da controllare.
“La selezione di fonti autorevoli e premium migliora la piattaforma, che funziona meglio più è utilizzata e più ‘matcha’ il contenuto suggerito con quello gradito dall’utente“.
“Altre funzioni di Flexa sono: la ricerca libera, il networking (il club della Business school ed altre iniziative), i contatti con le aziende utili per gli alunni (domande di lavoro e colloqui)”.
Conclusioni
L’uso di ChatGPT in università e accademie è solo agli esordi, ma promette di offrire grandi vantaggi per migliorare il coinvolgimento degli studenti, ridurre gli abbandoni e aumentare la produttività. L’importante è un uso regolamentato per evitare i rischi connessi con questa tecnologia.