Competenze digitali

Open data e cultura: le buone pratiche e gli ostacoli nel progetto Gioconda

Digitalizzazione del settore culturale e fruizione dei beni passano dagli open data: il progetto europeo GIOCOnDa tra nord Lombardia e Canton Ticino si è focalizzato su scambi di pratiche e ostacoli da superare dando voce agli operatori del settore. I dettagli

Pubblicato il 19 Ott 2022

Riccardo Nanni

researcher, Digital Society Center - Fondazione Bruno Kessler

Maurizio Napolitano

head of unit Digital Commons Lab - Fondazione Bruno Kessler

OpenTusk: l'iniziativa Open Data che trasforma la regione Puglia

GIOCOnDa (Gestione Integrata e Olistica del Ciclo di vita degli Open Data) è un progetto europeo Interreg focalizzato sull’area insubrica (nord Lombardia e Canton Ticino). Dopo una prima fase incentrata sull’utilizzo dei dati aperti per il settore mobilità, i partner di progetto hanno condotto un ulteriore focus group per studiare le potenzialità, gli ostacoli e le pratiche dell’uso di open data nel settore culturale.

Per una vera smart mobility servono dati e competenze: il progetto Gioconda

La collaborazione pubblico-privato nel settore culturale

Il settore culturale vede una forte collaborazione tra pubblico e privato, dove gli organi pubblici competenti per la tutela dei beni culturali interagiscono con enti gestori del patrimonio storico di carattere sia pubblico sia privato. In questa complessa interazione giocano un ruolo importante anche le università, con programmi di studio e ricerca sulla tutela e la valorizzazione dei beni culturali. L’uso degli open data nel settore culturale, così come più in generale il processo di digitalizzazione del patrimonio culturale, ha ricevuto una visibile accelerazione con lo scoppio della pandemia da Covid-19: basti pensare ai numerosi musei che hanno creato percorsi online interattivi fruibili da casa, così come ai nuovi strumenti digitali prima sconosciuti e ora ampiamente utilizzati nel mondo dell’istruzione.

Il focus group condotto nell’ambito del progetto GIOCOnDa ha portato figure provenienti da tutta l’area insubrica e affiliate a enti locali e nazionali, pubblici e privati, a discutere ostacoli, pratiche e potenziale inespresso dell’utilizzo degli open data nel settore culturale. Tra le figure partecipanti erano presenti esperti ministeriali, provinciali e provenienti da settori culturali quali il teatro, l’istruzione secondaria superiore pubblica, l’università e il privato sociale. La discussione, della durata di circa un’ora, ha evidenziato tutta una serie di benefici nell’utilizzo di dati aperti, ma anche una serie di ostacoli legati a competenze e aspetti regolatori nel riuso dei dati.

I benefici degli open data

Sull’aspetto relativo ai benefici degli open data, il focus group ha messo in mostra importanti sinergie fra enti pubblici e privati. Ad esempio, il Ministero dei Beni Culturali italiano utilizza Wikidata come strumento per espandere il proprio catalogo digitale: se un autore presente nel catalogo ha una voce su Wikidata, il catalogo effettua un collegamento e permette così all’utente di visualizzare opere dello stesso autore anche se non presenti in musei italiani. Questo permette di ampliare la gamma di prodotti culturali a disposizione dell’utente. Pur non sostituendo l’esperienza di fruizione dal vivo, questi strumenti rendono più inclusivo l’accesso ai beni culturali.

Tra i casi d’uso virtuosi vi è anche l’utilizzo dei dati aperti per l’istruzione secondaria di secondo grado. In particolare, con la figura dell’animatore digitale introdotta dalla cosiddetta legge “Buona Scuola” del 2015, gli istituti hanno potuto introdurre attività di alfabetizzazione digitale (e di alfabetizzazione ai dati) per studenti e studentesse.

Gli ostacoli al riuso dei dati

Nello svolgimento del focus group si è registrato anche un forte interesse da parte di attori locali del mondo culturale nell’utilizzo di open data. Tuttavia, è proprio tra i piccoli attori che si registrano i principali ostacoli al riuso: in enti con un personale ridotto, ogni singolo membro svolge più ruoli e non può avere un profilo iperspecializzato.

Inoltre, in molti casi, possono mancare i fondi per la formazione. Questo implica che l’avvio di azioni basate sull’uso e il riuso dei dati è spesso rinviato a causa di mancanza di competenze. Quando le competenze sono presenti, invece, sono spesso confinate a poche persone, con il rischio che tali competenze si perdano nel momento in cui questi membri del personale cambiano lavoro.

Una simile tipologia di ostacoli emerge anche nel mondo dell’istruzione. Se è vero che istituti di grandi dimensioni, in luoghi centrali come Milano, hanno saputo fare uso dei dati aperti a fini educativi, in realtà più periferiche e piccole resta il problema della costruzione delle competenze e della disponibilità di spazio da dedicare a questo tipo di attività. Inoltre, in realtà periferiche, spesso, persiste anche un problema di accesso agli strumenti digitali più ampio rispetto al solo uso e riuso dei dati aperti.

Altri ostacoli all’utilizzo di open data, invece, sono di natura regolatoria. In particolare, l’aspetto delle licenze è stato sollevato a più riprese: l’incompatibilità tra licenze, infatti, impedisce il riuso di dati in forma combinata. Molti partecipanti hanno indicato la licenza CC0 come strumento utile per superare quest’impasse regolatorio. Questa tipologia di licenza, infatti, permette il totale riutilizzo dei dati anche senza obbligo di attribuzione, costituendo di fatto la forma massima di dato aperto.

Conclusioni

In breve, persistono una serie di ostacoli di natura organizzativa, formativa (in termini di costruzione delle competenze) e regolatoria rispetto al pieno utilizzo del potenziale dei dati aperti nel settore culturale. Tuttavia, stanno emergendo una serie di buone pratiche trasferibili.

In particolare, è positivo osservare come enti istituzionali quali il Ministero dei Beni Culturali abbiano fatto uso degli open data per mettere a disposizione del pubblico il patrimonio culturale, dando agli stessi un forte riconoscimento istituzionale. Maggiori risorse per la digitalizzazione, insieme a un incremento dell’alfabetizzazione digitale, possono contribuire a liberare un potenziale economico (e culturale) dei dati aperti che altrimenti resta inespresso.

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