Nonostante le ambizioni della Riforma Cartabia che puntava ad accelerare i tempi della giustizia e ad allineare il sistema processuale italiano agli standard europei, la transizione verso un processo penale interamente telematico sta affrontando ostacoli significativi.
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Processo penale telematico, l’iter della riforma
Dal primo gennaio 2025 infatti avrebbe dovuto prendere il via una nuova fase del progetto, con l’introduzione dell’obbligo di deposito esclusivamente telematico degli atti nelle fasi dell’udienza preliminare, dei riti alternativi e del dibattimento.
Questa innovazione, iniziata in periodo post Covid per far fronte alle esigenze di gestione delle udienze, ha poi trovato una codificazione appunto nella c.d. riforma Cartabia, che ha modificato l’art. 111 del Codice di Procedura Penale e ha introdotto gli artt. 111 bis e 111 ter CPP, che in sintesi prevedono che tutti gli atti processuali devono obbligatoriamente essere “geneticamente” informatici (o laddove impossibile, acquisiti mediante scansione del documento cartaceo) e prevedono anche le modalità di formazione del fascicolo, di consultazione e di estrazione delle copie, nonché di conservazione e immodificabilità degli atti.
La soluzione tecnica prescelta è stata quella della realizzazione di una piattaforma (APP – Applicativo del Processo Penale) che è in sostanza un hub con il quale si interfacciano i diversi portali utilizzati dai diversi soggetti del processo.
Decreti ministeriali e processo telematico
La stessa riforma ha poi delegato a decreti ministeriali la regolamentazione dei tempi di entrata in vigore, in ragione del fatto che l’infrastruttura informatica è in fase di elaborazione e completamento, tanto è vero che sono stati istituiti dei tavoli tecnici dallo stesso Ministero.
Ad esempio, l’ultimo in ordine di tempo di tali decreti ministeriali, il DM Giustizia n° 206 del 27 dicembre 2024, ha previsto a decorrere dal primo gennaio 2025 obbligatorietà dei depositi telematici in tutti gli uffici di primo grado e in procura generale presso la corte di appello, limitatamente al procedimento di avocazione. Tuttavia, lo stesso DM ha previsto diverse ipotesi di doppio binario.
Il problema dei malfunzionamenti di APP
Attenzione: per modalità non telematica si intende anche il deposito con PEC agli indirizzi indicati dalla DGSIA (Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati). In particolare, l’art. 1 comma 4 ha previsto fino al 31 marzo 2025 un doppio binario per i soggetti interni per le iscrizioni di notizie di reato (Art. 335 CPP) e per i soggetti sia interni che esterni per il deposito di atti, documenti, memorie e richieste limitatamente ai procedimenti celebrati con giudizio abbreviato, con giudizio direttissimo e con giudizio immediato (LIbro VI, Titoli I, III e IV).
Come noto, un considerevole numero di Capi degli Uffici Giudiziari (Presidenti di Tribunale e Procuratori della Repubblica) hanno di fatto sospeso, con provvedimenti della cui legittimità è lecito dubitare, l’efficacia nei rispettivi circondari del DM 206/2024 a fronte di altrettante attestazioni di malfunzionamento da parte di RID (Referenti Distrettuali per l’Innovazione) e MAGRIF (Magistrati di riferimento per l’Innovazione) e hanno poi prorogato a fine marzo tali provvedimenti.
Le inefficienze nel processo penale telematico
Considerato che l’APP è ancora in corso di messa in opera permangono ancora tantissime le inefficienze, dovute tanto a ragioni tecniche che al mancato adeguamento alla normativa, che incidono su un effettivo esercizio della funzione difensiva.
Tra questa, soltanto per elencare le più macroscopiche:
- il lungo lasso di tempo con il quale le Procure iscrivono a RNR (Registro Generale Notizie di Reato) determina che i depositi delle nomine, specie se contestuali alle denunce o querele, rimangano in “fase di verifica” anche per mesi
- la mancata annotazione delle nomine già depositate prima dell’entrata in funzione di APP che non rendono possibile il deposito di atti successivi
- la pretesa (del tutto irragionevole, posto che viene richiesto che l’atto riporti i dati identificativi del procedimento e non è sufficiente un atto – ad esempio, un verbale di identificazione da parte della PG (Polizia Giudiziaria) con il quale l’indagato o la Persona Offesa vengono a conoscenza dell’esistenza del procedimento) che, ai fini del c.d. “atto abilitante” venga sistematicamente richiesto un certificato ex art. 335 CPP
- la mancata attivazione di intere funzionalità
- la mancata o intempestiva accettazione dei depositi
- l’insufficienza dei tipi-atto tra i documenti successivi e l’inesistenza di un “atto generico” da poter utilizzare laddove manchi la tipologia (per fare un esempio, nella fase dibattimento non è prevista una richiesta di riunione dei procedimenti)
Processo penale telematico, la necessità di chiarezza normativa
A ciò si aggiungano le più diverse interpretazioni della normativa ad opera dei magistrati che vanno dalla asserita inammissibilità, ad esempio, della costituzione di Parte Civile o delle produzioni documentali non depositate preventivamente su PDP (Portale Deposito Atti Penali) ancorché le norme sui termini di deposito degli stessi (ad esempio, gli artt. 77 e 78 CPP) non siano state affatto modificate, alla pretesa che al deposito cartaceo segua quello telematico nella stessa giornata, senza considerare che le altre parti processuali non hanno alcuna possibilità di accedere al fascicolo telematico per verificare il deposito, alla sistematica disapplicazione della Circolare DGSIA dell’8 gennaio 2025.
Proprio a fronte del sollevamento di scudi degli Uffici Giudiziari aveva previsto quali “modalità di acquisizione di atti, memorie o comunque documenti prodotti dalle parti processuali nel corso delle medesime udienze in camera di consiglio e dibattimentali, … ai fini della completezza del fascicolo informatico” che il personale di cancellerie debba procedere al “deposito telematico previa acquisizione tramite “scansione” dell’originale analogico), anche al termine dell’udienza e comunque senza ritardo, salvo che si tratti di documenti che per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possano essere acquisiti o convertiti in copia informatica”.
Il nodo dell’interruzione dei sistemi
Altra importante criticità è rappresentata dal fatto che le interruzioni dei sistemi per interventi manutentivi o evolutivi soltanto di raro vengono tempestivamente comunicate, cosicché accade sovente che il giorno della scadenza del deposito il difensore possa trovarsi nell’impossibilità tecnica di effettuarlo per una causa a lui non imputabile.
A tali criticità, vanno senza dubbio aggiunte quelle di matrice “culturale” rappresentate da una manifesta avversione – verosimilmente dovuta sia a una scarsa formazione, sia a una preconcetta diffidenza verso lo strumento informatico – da parte della magistratura e, soprattutto, da parte del personale amministrativo.
Tutte queste criticità rendono di fatto impossibile l’esercizio delle prerogative difensive e conseguentemente comportano una limitazione o compressione delle prerogative difensive e delle regole del giusto processo.