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Mercato della formazione troppo saturo, serve una svolta: ecco i dati



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I numeri di un rapporto dell’Osservatorio per la Formazione Continua e del Baromètre de la Formation Professionnelle 2025 restituiscono l’immagine di un mercato della formazione un po’ zoppicante: ecco come porre rimedio

Pubblicato il 29 mag 2025

Davide Conforti

Managing director Edflex Italia



mercato della formazione; commercialista per la sostenibilità delle PMI
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A cinque anni dalla pandemia, il settore della formazione 5.0 o meglio, in generale, il mercato della formazione professionale in Europa si trova a un punto di non ritorno. Se la crisi sanitaria ha accelerato la transizione verso il digitale, oggi le imprese sono vittime di un problema di saturazione.

Non mancano i contenuti, anzi: sono troppi, dispersi, difficili da organizzare in percorsi coerenti e ad alto impatto. E il risultato è un Roi formativo troppo spesso deludente. I dati congiunti dell’Osservatorio per la Formazione Continua e del Baromètre de la Formation Professionnelle 2025 restituiscono un’immagine chiara: il 98% dei lavoratori considera cruciale l’aggiornamento delle competenze per il proprio futuro professionale, ma solo il 47% sa cosa offre effettivamente la propria azienda in termini formativi.

Mercato della formazione, perché è saturo

Un paradosso comunicativo che inizia a costare in termini di engagement, retention e produttività. Per anni le imprese hanno accumulato contenuti formativi, spesso acquistati a catalogo, oppure prodotti internamente. Oggi si ritrovano con una media di oltre 500 titoli a disposizione, distribuiti su 3 o 4 piattaforme diverse, con la gestione affidata – in media – a una sola persona ogni 500 dipendenti. In queste condizioni, l’idea stessa di personalizzazione formativa diventa un miraggio.

Le conseguenze della learning fatigue

Eppure è proprio questo il punto: uscire dal paradigma della formazione “disponibile” e passare a quello della formazione “rilevante”. Non bastano i cataloghi ricchi se poi l’esperienza di apprendimento è impersonale, dispersiva e faticosa. La learning fatigue è un fenomeno ormai evidente: i lavoratori sono disposti a formarsi, ma chiedono percorsi più agili, pertinenti e vicini alle loro reali esigenze.

L’Ai può giocare un ruolo decisivo, permettendo di creare percorsi di upskilling e reskilling personalizzati su larga scala. Un’opportunità che non possiamo permetterci di trascurare, specie in un contesto di rapida evoluzione delle competenze richieste. In Francia, per esempio, il 65% delle imprese ha adottato un modello formativo misto – in presenza e digitale – con una crescita significativa rispetto al 2024. Ma allo stesso tempo, il numero medio di corsi seguiti dai dipendenti è in calo: segno che non basta digitalizzare, bisogna anche coinvolgere.

Come coinvolgere i lavoratori nei percorsi formativi

E il coinvolgimento passa da contenuti di qualità, da una narrazione formativa coerente e da una chiara visione di sviluppo. L’Intelligenza Artificiale è centrale, ma anche i temi Esg e il benessere lavorativo restano in cima all’agenda. In Italia, il 42% delle richieste formative negli ultimi due anni ha riguardato l’applicazione dei criteri Esg e delle politiche DEI compliance, seguiti dalle nuove tecnologie (39%) e dalle competenze digitali di base (37%).

Un riflesso naturale dell’accelerazione dell’Industria 5.0 e del lavoro ibrido, che ha rivoluzionato il modo in cui le persone comunicano e collaborano in azienda. In Francia, i trend si ribaltano: i responsabili Hr spingono su Ai e tecnologie emergenti (38%), ma i lavoratori mettono al primo posto il benessere (41%) e le competenze trasversali. Questo scarto tra priorità percepite e priorità organizzative è un altro segnale da non sottovalutare. Anche perché l’impatto sociale della formazione aziendale è ormai un dato strutturale: il 91% dei lavoratori ritiene che i corsi debbano contribuire agli obiettivi Esg, e l’84% delle aziende ha già integrato contenuti su questi temi.

Budget e mercato della formazione

Un cambio di paradigma culturale che chiama in causa non solo i contenuti, ma l’intera architettura strategica della formazione. Il budget, certo, resta un fattore chiave: il 41% delle imprese ha aumentato gli investimenti nel 2025, ma le risorse restano scarse. Il 54% continua ad affidarsi a risorse interne, mentre il 41% dei responsabili indica la mancanza di tempo come principale ostacolo.

Subito dopo, mancano risorse finanziarie e umane. In sintesi, le aziende si trovano in una condizione ibrida: più consapevoli dell’importanza della formazione, ma ancora frenate da modelli organizzativi inadatti alla velocità di cambiamento del contesto. Da un lato, cresce l’aspettativa dei lavoratori su percorsi formativi mirati, dinamici, realmente utili. Dall’altro, permane una distanza tra l’offerta e la capacità di renderla accessibile, chiara, motivante.

Il futuro del mercato della formazione

La sfida dei prossimi anni sarà quella di riconciliare queste due spinte. Non si tratta più solo di aggiornare i cataloghi, ma di trasformare la formazione in un asset strategico, integrato nei processi di business, capace di generare valore tangibile per l’azienda e senso per la persona. Le imprese che sapranno farlo, costruendo un’offerta formativa flessibile e una strategia di apprendimento continuo, centrato sulle reali esigenze delle persone e potenziata dall’Ai, conquisteranno un vantaggio competitivo solido e duraturo. Non è solo una questione di budget o di piattaforme. È un fatto di vision.

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