norme e tecnologia

Ddl AI, l’intelligenza artificiale entra nel codice penale



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Il Ddl AI introduce una nuova aggravante e una inedita fattispecie di reato nel codice penale, per punire comportamenti illeciti derivati dall’uso dell’intelligenza artificiale: ci sono però diversi aspetti da chiarire

Pubblicato il 16 mag 2025

Marco Cartisano

Studio Polimeni.legal



Agenti AI tecnologie emergenti - genai in azienda soluzioni di intelligenza artificiale; AI codice penale AI generativa in azienda

Dopo il passaggio al Senato del 20 marzo 2025, la Commissione Giustizia della Camera sta esaminando il testo del d.d.l. n. 2316 recante «Disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale», il cosiddetto Ddl AI volto a regolamentare l’intelligenza artificiale, testo che, a meno di sorprese dell’ultima ora, dovrebbe essere approvato nella formulazione attuale.

Fra gli aspetti di interesse, spiccano le modifiche al Codice penale previste dall’art. 26 nonché la delega al Governo contenuta all’art. 24. In particolare, si cita l’aggravante dell’utilizzo dei sistemi di IA e la nuova fattispecie di illecita diffusione di contenuti creati con l’IA.

DDL AI, la nuova aggravante in codice penale

Come accennato, l’art. 26 introduce una nuova aggravante dopo il n. 11 novies dell’art. 61 c.p. che così recita «11-decies) l’avere commesso il fatto mediante l’impiego di sistemi di intelligenza artificiale, quando gli stessi, per la loro natura o per le modalità di utilizzo, abbiano costituito mezzo insidioso, ovvero quando il loro impiego abbia comunque ostacolato la pubblica o la privata difesa, ovvero aggravato le conseguenze del reato».

Si tratta di un’aggravane comune (ossia applicabile a tutti i reati) contestabile quanto l’agente abbia impiegato sistemi di IA per commettere il fatto che, in base alle caratteristiche tecniche proprie o in relazione alle modalità di utilizzo, siano particolarmente insidiosi, ovvero abbiano ostacolato la pubblica o privata difesa oppure aggravato le conseguenze del reato.

AI, codice penale e tutela della libertà politica

È, invece, mirata a tutelare le libertà politiche del cittadino l’aggravante specifica prevista per l’art. 294 c.p. («Attentati contro i diritti politici del cittadino», n.d.r.) che prevede la reclusione da due a sei anni se vengono impiegati sistemi di IA per commettere l’inganno.

AI, reato di aggiotaggio e violazione diritto d’autore

Continuando, sono previste aggravanti per l’utilizzo dell’IA per il reato di aggiotaggio societario e bancario (art. 2637 c.c.), per l’aggiotaggio e manipolazione dei mercati (art. 185 TUF) nonché è prevista una specifica punibilità in tema di violazione del diritto di autore se l’agente «riproduce o estrae testo o dati da opere o altri materiali disponibili in rete o in banche di dati in violazione degli articoli 70-ter e 70-quater, anche attraverso sistemi di intelligenza artificiale ». (lett. a-ter comma 1 art. 171 L. 633/1941), norma questa che necessiterà di un commento ad hoc qualora fosse approvata nella presente formulazione.

Il nuovo reato nel codice penale: illecita diffusione di contenuti creati con l’IA

Infine, il legislatore ha codificato la nuova fattispecie di reato di seguito riportata:

« Art. 612-quater. – (Illecita diffusione di contenuti generati o alterati con sistemi di intelligenza artificiale)

Chiunque cagiona un danno ingiusto ad una persona, cedendo, pubblicando o altrimenti diffondendo, senza il suo consenso, immagini, video o voci falsificati o alterati mediante l’impiego di sistemi di intelligenza artificiale e idonei a indurre in inganno sulla loro genuinità, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio ovvero se è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, o di una pubblica autorità a causa delle funzioni esercitate».

Le criticità della nuova aggravante

Non sembra convincere la formulazione dell’aggravante di cui al n. 11 decies citata in quanto la formulazione «quando gli stessi, per la loro natura o per le modalità di utilizzo» potrebbe creare problemi di compatibilità costituzionale, quantomeno dal punto di vista del principio di tassatività a mente dell’art. 25 Cost.

Il concetto di “messo insidioso”

Nello specifico, il legislatore, non potendo formulare in maniera dettagliata e specifica le caratteristiche tecniche dei sistemi di IA “incriminati”, ha demandato al giudice il gravoso compito di individuare, caso per caso, non solo lo specifico software utilizzato, ma anche il perché sia ritenuto “insidioso” agli effetti della legge penale.

Continuando, il concetto di “mezzo insidioso” era stato affrontato dalla giurisprudenza in tema di aggravante del reato di omicidio in quanto definito come quello «che, per la sua natura ingannevole o per il modo o le circostanze che ne accompagnino l’uso, reca in sè un pericolo nascosto, tale da sorprendere l’attenzione della vittima e rendere alla stessa impossibile, o comunque, più difficile che di fronte ad ogni altro mezzo la difesa. » (Cass. pen., Sez. I, 07/04/2022, n. 15838); nello specifico, l’insidia non può essere mai considerata solo “in re ipsa” ma va commisurata al livello di attenzione della persona offesa, che, nel caso di specie dell’utilizzo dell’IA non sempre appare facilmente determinabile.

In buona sostanza, il giudice dovrebbe motivare il perché un dato applicativo utilizzato per commettere il reato appare, sia per le caratteristiche tecniche di funzionamento o in base a come sia stato utilizzato, idoneo a sorprendere l’attenzione della persona offesa. Come si può ben intuire, la ricostruzione di cui sopra potrà essere operata solo grazie all’apporto di un esperto con la conseguenza che si è lasciata un’eccessiva discrezionalità al giudice non determinando gli esatti confini dell’aggravante che devono, invece, allinearsi ai rigidi canoni del principio di tassatività o minima determinazione della legge penale.

AI e reato di truffa

Un’altra problematica potrebbe emergere in relazione alla contestazione di truffa nella forma aggravata di cui all’art. 640 comma 2-ter) ovvero «se il fatto è commesso a distanza attraverso strumenti informatici o telematici idonei a ostacolare la propria o altrui identificazione» che, in buona sostanza, coinciderebbe con l’aggravante di cui abbiamo già parlato (n. 1 decies, ndr) in presenza di un travisamento o di un camuffamento del volto o della voce con l’IA al fine di trarre in inganno la persona offesa, ferma restando, in ogni caso, la possibile applicazione dell’art. 68 c.p. in tema di concorso apparente fra circostanze aggravanti; in ogni caso, il legislatore appare “smemorato” trattandosi, quest’ultima, di un’aggravante introdotta dalla L. 90/2024 (Disposizioni in materia di rafforzamento della cybersecurity nazionale e di reati informatici.)

AI nel codice penale e tutela della libertà d’espressione

Particolarmente preoccupante è, invece, la formulazione della nuova fattispecie introdotta dall’art. 612 quater c.p. in quanto potenzialmente in contrasto con l’art. 21 Cost. che tutela la libera espressione del pensiero, nella specifica declinazione del diritto di satira e della libertà di espressione artistica.

In buona sostanza, l’applicazione della fattispecie incriminatrice è subordinata alla verifica del solo danno alla persona offesa, invece buon senso avrebbe dovuto determinare il legislatore a prevedere solo il dolo specifico finalizzato al danno, con enormi ricadute sostanziali in ordine all’accertamento della condotta incriminatrice.

Si faccia l’esempio del ragazzino che per dileggio utilizzi l’immagine di un personaggio pubblico per produrre un video satirico, ma che poi ha cagionato un danno reputazionale alla persona offesa la quale potrà proporre querela per diffamazione: il giudice, in base alla normativa attuale, dovrebbe mandare assolto l’imputato sulla scorta della granitica giurisprudenza in tema di satira e di rappresentazione del dolo, ma con l’introduzione del reato di cui sopra l’assoluzione non appare più così scontata.

Ulteriore critica riguarda il problema dell’esatta determinazione di come potrebbe essere cristallizzato il concetto di “idoneità” dei sistemi di IA al fine di trarre in inganno la persona offesa: anche in questo caso l’eccezione di incostituzionalità è dietro l’angolo.

Infine, non appare ragionevole prevedere la punibilità d’ufficio in caso di fatto commesso nei confronti di persona che rivesta una pubblica Autorità ed a causa delle funzioni esercitate, trattandosi di soggetti che di certo non avrebbero bisogno di una tutela “rafforzata” da parte dello Stato.

AI e codice penale, stato dell’arte e prossimi passi

Va precsiato che il Parlamento ha delegato il governo di emanare entro dodici mesi (art. 24 d.d.l. cit.):

  • Idonei provvedimenti tendenti a disciplinare l’utilizzo dell’IA nel corso delle indagini preliminari;
  • Fattispecie specifiche a titolo di dolo o colpa in ipotesi di danno «incentrate sull’omessa adozione o sull’omesso adeguamento di misure di sicurezza per la produzione, la messa in circolazione e l’utilizzo professionale di sistemi di intelligenza artificiale, quando da tali omissioni deriva pericolo concreto per la vita o l’incolumità pubblica o individuale o per la sicurezza dello Stato».

Tuttavia, attese le premesse esposte, i dubbi circa la prossima determinazione delle fattispecie delegate sono più che legittimi.

In conclusione, le scelte del legislatore riguardanti il disegno di legge sono, ancora una volta, figlie di una bulimia penalistica che nulla ha che fare con i principi di un diritto penale liberale, minimo e certo, oltre al fatto che tali scelte cozzano con le ben note carenze strutturali del sistema giudiziario e carcerario.

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