Il punto di vista

NFT, perché ne abbiamo bisogno: una disamina epistemologica

Un oggetto digitale unico come un NFT risponde al bisogno degli esseri umani di sentirsi speciali e di poterlo dimostrare agli altri: analizziamo il fenomeno dei non fungible token in chiave epistemologica, per cercare di capirne la portata e l’impatto sociali

Pubblicato il 11 Apr 2022

Lorenza Saettone

Filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons

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Quella degli NFT è una febbre che sta colpendo tutti i settori: arte, musica, sport. Dal punto di vista epistemologico, proviamo a spiegare su cosa si basi questa istituzione e la fiducia nei confronti di quella che è a tutti gli effetti una scommessa, un azzardo.

Bisogna ricordare che un non-fungible token è un oggetto digitale unico, non sostituibile; si tratta di un codice verificabile sulla base di quell’altra pratica sociale che costituisce la blockchain. Gli NFT, allora, sono in grado di autentificare il nostro bisogno di sentirci speciali e soprattutto di dimostrarlo agli altri perché essenzialmente sono gli altri ad attestarcelo grazie all’invidia che un NFT suscita.

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Le conseguenze pragmatiche degli NFT

Se l’omaggio e la cerimonia del baciamano investivano qualcuno dello status di vassallo e un ciuffo d’erba conferito da chi ne aveva l’autorità valeva come metonimia per l’intero feudo ceduto così in usufrutto, adesso un token funge da certificato di proprietà per una certa sequenza di bit registrata sulla rete blockchain decentralizzata. Come ai tempi un qualunque contadino poteva strappare un altro pezzo di terra senza che però contasse come atto dichiarativo, come simbolo per certificare la propria autorità su di esso, oggi chiunque può continuare a condividere immagini, cryptopunk, Yat senza pagare i diritti a chi è riconosciuto sulla rete come l’unico possessore dell’NFT corrispondente.

Benché il ciuffo d’erba in mano al feudatario e in mano al servo della gleba siano materialmente identici, a livello pragmatico gli effetti che portano con sé sono assolutamente opposti. Analogamente sebbene Paris Hilton abbia pagato per acquistare la corona degli emoji, io continuerò a utilizzarla nei miei messaggi, con la differenza che quando lei la esibisce online ha un significato differente rispetto a quando la uso io per esprimere un concetto tramite chat. Ogni segno ha un significato che dipende dal contesto di vita in cui viene impiegato; è l’uso in una catena di istituzioni, intenzioni, implicazioni che socialmente e reciprocamente riconosciamo per valida. Ecco quindi che una parola, come il significato di un’opera d’arte o di una tecnologia non saranno mai neutrali o assoluti, dipendendo dalle relazioni su cui si fondano in una certo contesto storico, linguistico, spaziale.

Paris Hilton comunica la sua unicità tramite lo Yat da lei acquistato, il suo privilegio, la sua potenza economica; io impiego quella corona per tutt’altro motivo. Ecco dunque che non sono lo stesso oggetto, benché un approccio riduzionistico che consideri l’oggetto di per se stesso, svincolato dal macro-ambiente in cui si colloca, non sappia ricavarne alcuna differenza: il codice binario che descrive l’oggetto digitale e l’equivalente registrato su blockchain è identico.

C’è da dire che le conseguenze pragmatiche degli NFT, come di tutte le altre attestazioni di status sociale, esistono finché gli altri continueranno a credervi. La valenza del Doomsday Book che riconosceva le proprietà feudali dei baroni inglesi, come quella dei token su blockchain esistono e mantengono i loro effetti sociali, finché a tutti conviene supporre che esistano davvero. Ecco dunque che gli Stati, i ruoli sociali, il denaro, la guerra e ogni altra istituzione umana si ergono su una scommessa sempre precaria, un azzardo che potrebbe cambiare improvvisamente al mutare delle utilità condivise.

NFT e bisogno di unicità

Ma allora perché scommettere sugli NFT? A quale bisogno rispondono? Molti esseri umani hanno la profonda necessità di sentirsi unici. In realtà ci dividiamo dialetticamente tra il bisogno di essere identici solo a noi stessi e di essere identici agli altri, di imitarli, per non sentirci in fin dei conti troppo unici e quindi soli. Infatti da un lato l’NFT assicura la nostra identità, il fatto di essere speciali, dall’altro ci consente di seguire la moda, cioè la pratica sociale condivisa di assegnare un prestigio a un asset che da solo non avrebbe alcun tipo di valore. Insomma ricalca la tensione tra tesi e antitesi di memoria hegeliana.

Su cosa si fonda l’unicità? Su nient’altro che sull’invidia. Un’invidia che è riconosciuta da altri sulla base di dichiarazioni aventi la seguente formula: “Questa cosa materiale x conta come y in questo contesto C”. Nella catena delle costruzioni sociali, man mano che la società umana si amplia in divisioni del lavoro e burocrazia, la x materiale risulta un appannaggio molto remoto. È chiaro allora che la nostra comunità non sia altro che una rete di costruzioni simboliche, reciproche, che valgono solo perché gli esseri umani sanno ragionare in termini di “semiosi illimitata”: di segni linguistici che stanno sempre per altro, che fanno le veci di altro. La nostra società è tutta una pratica di “prestanomismo”.

Ma se la convenienza di credere in questi simboli, in queste rappresentazioni svanisse? Beh, gli NFT, come ogni altra costruzione simbolica, scomparirebbero con essa e così anche l’invidia, la quale si basa proprio sulla dialettica della percezione di un possesso in relazione a una qualche idea di mancanza.

Archetipo e copia nell’arte

Chi è il fornitore di questa unicità, di questa Ecceità alla Scoto, dell’assoluta unicità di ogni ente? Spesso i “grossisti” del principium individuationis sono proprio gli artisti. Il motivo deriva dal fatto che in primo luogo loro siano percepiti come unici, perché posseggono un’aura carismatica, uno slancio creativo in grado di infondere unicità alle loro opere e di garantirla a chiunque sia in grado di avere una qualche esperienza con la loro arte. Chi le sa apprezzare, comprare, comunicare ottiene una certificazione della propria unicità grazie all’esclusività infusa dall’arte. Ecco il motivo sociologico alla base del discorso di Benjamin: egli sosteneva che la replicabilità della fotografia e del cinema avessero distrutto l’aura dell’artista, della sua arte, portando il pubblico stesso a cadere in una condizione omologante.

L’impossibilità di discernere archetipo e copia conduce a distruggere la garanzia di unicità conferita dall’artista e con essa il valore sociale che possiede. Essa non può più fungere da base per le pratiche di simbolizzazione “x conta come y in C”. Questa perdita di valore è ancora più vera nella società dell’informazione. Ecco quindi che spunte blu e altri strumenti con cui barattiamo e competiamo per il riconoscimento del Sé, della nostra specialità rispetto alla massa, rispondono al vuoto lasciato dall’arte. Diventano strategie per non sentirci persi nella folla. Gli NFT, grazie alla tecnologia blockchain, rispondono allo stesso bisogno, e finché questo reciproco credervi apporta un qualche vantaggio, essi rimarranno carichi di valore sociale.

È tragico che l’identità sia una “sostanza” assicurata solo dagli altri. Ricordo la figura del servo-padrone e il conflitto tra le autocoscienze per essere riconosciute tali dagli altri. Un conflitto, perché il riconoscimento da parte degli altri passa sempre attraverso l’invidia, attraverso la bramosia verso quello che non ho e che tu hai La differenza tra me e te, e quindi la mia identità, nasce dal fatto che esiste un oggetto percepito socialmente come “cool” che possa essere fonte di invidia e quindi di riconoscimento di status. L’Io dipende dal Tu e anche quando la relazione che conferisce ecceità è l’amore: alla base c’è sempre la percezione di una potenzialità e quindi di una mancanza che si desidera che l’Altro possa attualizzare. L’autocoscienza vuole essere percepita come libera e identica solo a se stessa, ma questo è il più grande inganno: siamo liberi nel dipendere dagli altri per tale riconoscimento e siamo unici quando ci conformiamo a una pratica socialmente condivisa.

Il bisogno di potere

La domanda fondamentale è dunque la seguente: perché? Da dove nasce questo bisogno? Cosa creiamo con queste costruzioni simboliche? Searle molto esplicitamente risponde che il motivo è il potere. Le dichiarazioni di funzioni di status “x conta come y in C” creano distribuzioni di potere. Il potere è quello deontico: diritti, doveri, obblighi. Questo tipo di potere è una costruzione simbolica che fornisce agli esseri umani alternative alle inclinazioni, agli istinti, motivi astratti tra cui scegliere per regolare il proprio comportamento. Le dichiarazioni simboliche alla base degli NFT e delle altre istituzioni sono ciò che crea la morale, il Super ego freudiano, la nascita della civiltà. Conferiscono ragioni indipendenti da inclinazioni altre, fungendo da collanti molto forti per i rapporti umani. “Oggi ho sonno, ma credo nel mio ruolo di insegnate, quindi scelgo razionalmente di andare contro la prima volontà di dormire adempiendo al mio pool di doveri, obblighi, diritti di docente”.

Il linguaggio degli NFT

Il vocabolario è molto importante per creare nuove funzioni di status, e ciò è palese anche per i non-fungible token e la pletora di terminologie ad essi legate: anche solo comprenderle crea una divisione sociale tra i gruppi, offrendo così un attestato di unicità, di specialità. Quando i bolscevichi presero il potere introdussero termini per distinguersi e legittimarsi: partito comunista invece del generico termine socialista che radunava ideologie utopistiche di vario tipo, ma anche i riformisti o gli ortodossi marxisti. Le femministe, come ogni gruppo che vuole prendere il potere inventa le proprie parole per legittimarsi e distinguersi, per creare una propria unicità, ma sempre relativa – cioè nata sul rapporto con i termini degli altri. L’identità assoluta non è altro che il terrore di solipsismo, la base di partenza da cui si tenta di fuggire attraverso queste stesse pratiche sociali “accettiamo tutti che x conti come y in C”.

Il linguaggio di per sé non è creato dal linguaggio. Esso è l’istituzione più importante, quella che permette alle istituzioni di esistere. Il linguaggio impone significati, allora dall’inizio nasce come un’imposizione, un dominio capace di creare ulteriori domini, cioè ulteriori realtà in grado di sommarsi tra loro, sostituendo addirittura quella di base, mascherandola come farebbe un mantello dell’invisibilità: un mantello che deve essere invisibile tanto quanto ciò che intende nascondere, altrimenti la rimozione inconscia della realtà di base non avrebbe luogo.

Conclusione

Insomma è chiaro che tutto si erga sul conflitto. C’è una progressiva creazione di domini e disuguaglianze, gruppi che hanno in rapporto a quelli che non hanno. Gli NFT esistono perché necessitiamo di etichette per distribuire il prestigio, per legittimare comportamenti di potere e stratificarci in ulteriori ruoli disuguali. Come spesso accade la fiducia in una pratica, negli altri, nell’accoglimento di tecnologie cela motivi di cui paradossalmente fidarsi poco.

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